Ripeté questo avvertimento fino alla noia… poi improvvisamente si interruppe: — Comunicato urgente! Avvistamento radar dell’incrociatore nemico, traiettoria rasente al suolo, velocissimo. Probabile obiettivo Luna City. Attenzione! Ha lanciato i missili contro il foro dell’uscita della…
Immagini e voce si interruppero di colpo.
Sarà bene che dica subito quello che noi della Fionda di Davide riuscimmo a sapere solo più tardi. Il secondo incrociatore, viaggiando su un’orbita veloce e bassa, la più stretta permessa dal campo gravitazionale della Luna, fu in grado di iniziare il bombardamento al foro di uscita della vecchia catapulta, a cento chilometri di distanza dalla testa della catapulta stessa dove si trovavano le artiglierie di Brody. I missili sconvolsero la parte terminale della catapulta nello spazio di tempo necessario all’astronave per giungere in vista e a tiro delle perforatrici-cannoni installate a cerchio intorno ai radar e alla testa della catapulta. Immagino che il Comandante dell’astronave si sentisse sicuro. Non lo era. I ragazzi di Brody bruciarono gli occhi e anche le orecchie della nave. Fece quasi un’altra orbita intorno alla Luna e precipitò presso Torricelli, apparentemente nel tentativo di atterrare, dato che i suoi retrorazzi si accesero poco prima della caduta.
La prima notizia che ricevemmo alla nuova catapulta veniva invece dalla Terra; la tonante radio delle Nazioni Federate proclamava che la nostra catapulta era stata distrutta (vero), e che la minaccia della Luna era finita (falso); faceva inoltre appello ai Lunari di prendere prigionieri i loro falsi capi e di arrendersi alla mercé delle Nazioni Federate (inesistente… la mercé, voglio dire).
Ascoltai il comunicato terrestre e controllai di nuovo la programmazione del calcolatore, poi entrai nella sala dei radar. Se tutto funzionava come previsto, stavamo per far cadere un altro uovo nel fiume Hudson, primo di una serie di tiri che si sarebbero succeduti per tre ore da un capo all’altro del continente nordamericano. Uno dopo l’altro, perché Junior non era in grado di controllarne due contemporaneamente. Mike lo aveva programmato in conseguenza.
Il fiume Hudson fu colpito all’ora stabilita. Chissà quanti newyorchesi stavano ascoltando la radio delle Nazioni Federate proprio nell’istante in cui vedevano l’esplosione che sbugiardava l’annuncio di vittoria.
Due ore dopo, la stazione delle Nazioni Federate avvertì che i ribelli della Luna avevano ancora alcuni missili in orbita quando la catapulta era stata distrutta e che dopo pochi altri tiri il bombardamento sarebbe finito. Quando la terza scarica sul Nord America fu finita, chiusi il radar. Anche prima non era rimasto in funzione continuamente; Junior era programmato in modo tale da ricorrere all’osservazione visiva soltanto quando era necessario, ogni volta per pochi secondi.
A questo punto avevo a disposizione nove ore prima del prossimo bombardamento della Grande Cina.
Ma non c’erano nove ore di tempo per prendere la decisione più urgente, cioè se colpire di nuovo la Grande Cina. Non avevo informazioni tranne quelle che venivano dalla Terra (che potevano essere false). Maledizione! Non sapevo nemmeno se le grotte erano state bombardate e se Prof era vivo o morto.
Sentii bussare alla porta. Mi alzai e l’aprii. Era Wyoh che mi portava il caffè. Non disse una parola. Me lo porse e se ne andò.
Bevvi il caffè. Eccoti qua, pensavo, ti piantano da solo e sperano che tu cavi un miracolo dal cappello. Non mi sentivo davvero all’altezza della situazione.
Preparai alcuni di quei programmi alternativi che Mike mi aveva affidato… nessuna difficoltà. Dovevo solo stare attento a leggerli senza sbagliare e inserirli nella tacca apposita. Ordinai a Junior di ristamparmene una copia per prova prima di dargli il segnale di esecuzione.
Quando ebbi finito, quaranta minuti dopo, i massi in volo diretti su un bersaglio desertico erano stati deviati sulla più vicina città costiera. Junior avrebbe potuto riportarli sul bersaglio destinato a un mio nuovo ordine. Scopo di quella decisione era di poter deviare i massi in mare fino all’ultimo momento prima dell’impatto. Avevo guadagnato tempo per riflettere.
Poi convocai il mio Consiglio di Guerra: Wyoh, Stu e Greg, mio Comandante delle Forze Armate. Ci riunimmo nell’ufficio di Greg, e Lenore ebbe il permesso di entrare e uscire per portarci il caffè e da mangiare e anche di rimanere con noi, senza intervenire nella discussione. Lenore è una donna intelligente e sa quando tenere la bocca chiusa.
Incominciò Stu.
— Signor Primo Ministro, non penso che questa volta si debba bombardare la Grande Gna.
— Lascia da parte i titoli roboanti, Stu. Forse sono il Primo Ministro e forse no. Ma non c’è tempo per le formalità.
— Molto bene. Posso esporre la mia proposta?
— Più tardi. — Spiegai loro che cosa avevo fatto per guadagnare tempo; Stu fece un cenno di assenso e non insistette. — Il nostro peggiore inconveniente è che siamo isolati, non possiamo comunicare né con Luna City né con la Terra. Greg, hai notizie della squadra addetta alle riparazioni?
— Non sono ancora tornati.
— Se il guasto è vicino a Luna City rimarranno via per molto tempo. Se pure riusciranno a ripararlo. Dobbiamo perciò presumere che saremo costretti a prendere decisioni da soli. Greg, hai sottomano un tecnico elettronico capace di improvvisare una trasmittente per parlare con la Terra? Con il loro satellite ripetitore, voglio dire. Non dovrebbe essere difficile, con l’antenna giusta a disposizione. Posso dare una mano anch’io e poi quel tecnico che ti ho mandato non è affatto un inetto. — Era ottimo, anzi, per normali problemi elettronici… quel povero disgraziato che un giorno avevo falsamente accusato di aver fatto entrare una mosca nei circuiti di Mike. Lo avevo scelto io per il lavoro alla nuova catapulta.
— Harry Biggs, il direttore della centrale atomica, può farlo benissimo — disse Greg pensoso. — Purché abbia il materiale necessario.
— Digli che si dia da fare. Può fare a pezzi tutto quello che vuole, a eccezione del radar e del calcolatore, una volta che abbiamo lanciato i massi dalla catapulta. Quanti proiettili abbiamo ancora?
— Ventitré, e neanche un grammo d’acciaio per costruirne altri.
— Allora ventitré sono e ventitré saranno, qualsiasi cosa accada. Che preparino i lanci. È probabile che li mettiamo tutti in orbita entro stasera.
— Sono pronti. Possiamo ricaricare la catapulta alla stessa velocità con la quale la scarica il suo calcolatore.
— Bene. Ancora una cosa. Non so se ci siano nel nostro cielo altri incrociatori delle Nazioni Federate, uno o magari più di uno. E ho paura di guardare, con il radar, voglio dire. Se perlustriamo il cielo con il radar rischiamo di rivelare la nostra posizione. Però dobbiamo controllare ugualmente. Puoi cercare volontari da mandare in superficie?
— Io mi offro — disse Lenore.
— Grazie, tesoro, accettata.
— Troveremo volontari — disse Greg. — Non ci sarà bisogno di esporre le donne.
— Lasciala fare, Greg, siamo tutti in ballo. — Spiegai poi che cosa volevo. Il Mare delle Onde si trovava ora nella mezza Luna buia: il sole era già tramontato. Il limite invisibile fra la luce del sole e l’ombra della Luna passava sopra di noi. Le navi che eventualmente fossero passate sulla nostra testa, sarebbero improvvisamente apparse alla vista se dirette a ovest, sarebbero scomparse se dirette a est. La parte visibile della loro orbita andava dall’orizzonte fino a un determinato punto nel cielo. Se gli osservatori di superficie fossero riusciti a identificare i due punti, uno in rapporto all’orizzonte, l’altro in rapporto alle stelle, e avessero calcolato il tempo impiegato approssimativamente dalla nave per trasferirsi da uno all’altro, Junior avrebbe potuto cominciare a calcolare l’orbita. Al secondo passaggio Junior avrebbe conosciuto esattamente il periodo e approssimativamente la forma dell’orbita. A questo punto io avrei avuto i dati sufficienti per sapere quando sarebbe stato sicuro utilizzare radio e radar e quindi la catapulta. Non volevo scagliare un masso mentre l’incrociatore delle Nazioni Federate si trovava sopra l’orizzonte: il radar della nave avrebbe potuto guardare dalla nostra parte.