— Sybel.
— Sì?
Il ragazzo cercò le parole. — Ha detto… che voleva farmi diventare Re di Eldwold.
— Desidera servirsi di te per ottenere un maggiore potere: per sé e per la sua famiglia.
— Dice che alcune persone mi cercano, per vendermi a mio padre, e che devo stare attento. Dice che nel Sirle sarebbero in grado di proteggermi.
— Mi chiedo come — disse Sybel. — Nella Piana di Terbrec, gli uomini del Sirle sono stati sconfitti da Drede.
— Pensa di servirsi di te, credo. Ha detto che c’era posto per entrambi, un posto che nel suo mondo è molto importante; basta volerlo.
“Non so come si faccia, per voler essere Re. Non so neppure cosa sia un Re, ma lui mi ha parlato di bei cavalli, di falchi bianchi e altre cose… ma, Sybel, non so cosa fare! Credo che sarebbe una vita molto diversa da quella che vivo adesso, pascolando le pecore con Nyl e arrampicandomi sulle rocce con lui.”
La fissò come per chiederle aiuto. Poi, visto che lei non rispondeva, le prese le braccia e le scosse piano, disperatamente.
— Sybel…
Lei, per qualche momento, si coprì gli occhi. — È come un sogno, Tamlorn. Presto lo rimanderò a casa e ci dimenticheremo di lui. E, allora, a tutti gli effetti, sarà stato davvero solo un sogno.
— Fa’ presto.
— Certo.
Le lasciò le braccia, più calmo di prima. Guardandolo, a Sybel parve di vedere per la prima volta certe sue caratteristiche fisiche: l’alta statura, la promessa di larghe spalle, il gioco di muscoli sulle sue braccia irrobustite dalle scalate. Adesso quei muscoli erano contratti dalla tensione nervosa.
Lei bisbigliò: — Presto.
Il ragazzo annuì. Poi riprese a camminare accanto a lei, ma senza abbracciarla, spostando con i piedi scalzi le pigne, fermandosi per scrutare qualche cespuglio che avesse visto muoversi.
— Come farai per l’oro del Drago Gyld? — le chiese poi. — L’ha già trasportato tutto?
— Non credo. Dovrò lasciarlo volare di notte.
— Quell’oro potrei portarlo io, accompagnato da Nyl.
— Oh, Tamlorn! — esclamò lei, sorridendo. — Come sei ingenuo!
— Nyl non gli ruberebbe l’oro!
— No, ma non si scorderebbe della sua esistenza. L’oro è potente, terribile. Serve a creare i Re.
Tamlorn fece una smorfia.
— Non voglio pensare a questa parola — disse.
Si fermò a guardare nel cavo di un albero.
— L’anno scorso — disse — qui c’era un nido di uova azzurre… Sybel, vorrei essere tuo figlio, perché potrei parlare con il Falco Ter, il Cinghiale Cyrin e il Leone Gules e nessuno riuscirebbe a portarmi via.
— Nessuno ti porterà via. Il Falco non permetterà a Coren di farlo.
— Che cosa farà? Ucciderà Coren? Per vendicare Aer, ha ucciso molte persone. Gli impedirai tu di farlo? — le chiese all’improvviso, e lei non seppe cosa rispondere. — Sybel…
— Sì!
— Be’, preferirei che tu fermassi il Falco — le disse, cercando di consolarla. — Ma se quell’uomo non fosse mai venuto, sarei più contento. Coren è… preferirei non averlo mai visto.
All’improvviso si allontanò, correndo veloce e leggero come un gatto verso le alte cime del Monte Eld.
Lei lo vide sparire tra gli alberi, e, bruscamente, notò che il vento d’autunno le si avventava ai piedi, ruggendo.
Si sedette su un tronco caduto e chinò la testa sulle ginocchia. Sentì che un grande, morbido tepore la proteggeva dal vento; alzò gli occhi e scorse gli occhi tranquilli e dorati del Leone Gules.
“Che cosa c’è, Bianca Padrona?” le chiese.
Lei si inginocchiò accanto al Leone e serrò tra le braccia la sua folta criniera, seppellendovi il viso.
“Vorrei avere le ali” gli disse “per volare senza sosta, senza più tornare indietro”.
“Che cosa ti preoccupa, o possente figlia di Ogam? Come può giungere a preoccuparti un essere debole come Coren?”
Per un lungo istante, lei non rispose. Poi riprese, serrando le dita sul suo pelo dorato:
“Mi ha rubato il cuore e si è offerto di ridarmelo. E io, che l’avevo giudicato innocuo!”
Dopo che il Leone Gules si fu allontanato, Sybel rimase lungamente a sedere sotto gli alberi. Il cielo si scurì; le foglie secche presero a girare attorno a lei, in mulinelli interminabili.
Il vento era freddo come le legature di ferro dei suoi libri di magia. Scendeva dalla vetta coperta di neve del Monte Eld, e dopo avere attraversato l’umida nebbia, veniva a gemere in mezzo ai grandi alberi del giardino di Sybel.
Le tornò in mente l’immagine di Tamlorn, che correva a braccia nude, scalzo, fra l’alta erba e i piccoli fiori di campo dell’estate; Tamlorn che alzava il suo grido in direzione del grande falco, e il coro di grida degli altri ragazzi della montagna che gli faceva eco.
Poi i suoi pensieri tornarono alle stanze silenziose abitate dai maghi a cui aveva rubato i libri. Li udiva discutere tra loro, li osservava mentre operavano, e poi, con un sorriso, si allontanava silenziosamente, portando con sé un libro di valore inestimabile, prima ancora che si accorgessero che era entrato qualcuno.
“Che cosa desideri veramente?” mormorò a se stessa, disperata, e non appena ebbe finito di bisbigliare queste parole si accorse che una Creatura senza nome la osservava dall’ombra degli alberi.
Lentamente, Sybel si alzò in piedi, nel vento che soffiava attorno a lei, vuoto e veloce. Continuò ad attendere in silenzio, con la mente simile a un laghetto liscio e immobile, in attesa di scorgere l’onda suscitata da un’altra mente.
E alla fine, senza il minimo fruscio che ne tradisse il movimento, la Creatura se ne andò. Sybel si voltò lentamente, ritornò nella casa e si diresse alla stanza di Coren.
Lui voltò la testa quando la vide entrare, e la donna scorse le scure linee di dolore sotto i suoi occhi, notò che aveva le labbra secche.
Si sedette accanto a lui e gli posò una mano sulla fronte.
— Non dovete morire nella mia casa — gli bisbigliò. — Non voglio che la vostra voce venga a turbarmi nella notte.
— Sybel…
— Avete già detto tutto. Adesso, ascoltate. In questa casa, io potrò diventare vecchia e rugosa come la faccia della luna, ma non intendo mettere in vendita la felicità di Tamlorn per comprarmi la libertà.
“L’ho visto correre nei campi di erba alta, con il Falco Ter sul pugno; l’ho visto giacere addormentato senza sogni nella notte fonda con le braccia attorno alla Gatta Moriah o al Leone Gules.
“Non intendo accompagnarlo con voi nel Sirle per poi vedermelo confondere, ferire, usare dagli uomini; per vedergli promettere un potere che risulterà vuoto; per vederlo esporre a ostilità, a menzogne, a guerre che lui non potrebbe capire.
“Voi intendete fare di lui un Re, ma intendete anche amarlo? Avete guardato nel mio cuore con i vostri occhi strani e penetranti, e vi avete trovato alcune verità. Sono lieta e orgogliosa di usare il mio potere, ma devo pensare anche a un’altra persona, e non a me sola: questo per causa vostra.
“Perciò, adesso dovete andarvene, e non dovete tornare più.”
Coren la guardò, e lei non riuscì a leggere nei suoi occhi.
— Drede verrà a cercare suo figlio — disse il Principe del Sirle. — Nella sua corte c’è una vecchia, una donna di altissimo rango che gli ha giurato che Rianna e Norrel non sono mai stati soli, neppure per un momento.
“Lei aveva cercato di aiutarli: più volte i due amanti hanno tentato di rimanere soli per un’intera giornata, o anche solo per parte di una notte, ma ogni volta, a impedirglielo, sopraggiungeva qualche imprevisto che mandava in fumo i loro piani.
“Noi portammo via il bambino, dopo la morte della madre, temendo per la sua vita, e la vecchia pensò che l’avremmo ucciso se ci avesse detto la verità, ossia che era figlio di Drede.