Выбрать главу

Una mattina, quando ormai l’inverno era inoltrato, il ragazzo entrò nella stanza sotto la cupola e vi trovò Sybel ancora immobile sul pavimento, dopo una notte passata a chiamare. S’inginocchiò accanto a lei e la sfiorò. Sybel ritornò in sé, con un lieve trasalimento.

— Tamlorn, che cosa c’è?

— Niente — disse lui, in tono un po’ meditabondo. — Ma ormai sono passati vari giorni dall’ultima volta che ci siamo visti. Pensavo che fossi preoccupata per me. Lei si strofinò gli occhi con il palmo della mano.

— Oh, già. Che cosa hai fatto? Sei stato con Nyl?

— Sì. L’ho aiutato a dar da mangiare alle pecore. Ieri abbiamo riparato una parte del recinto che era stata buttata a terra dalla neve, e poi ho accompagnato Nyl nelle caverne. D’inverno, là dentro fa abbastanza caldo. E là dentro, Sybel…

Lei lo fissò senza parlare. Aspettò che riprendesse il discorso, e vide che corrugava la fronte, che guardava il pavimento, che si passava le mani sulle cosce: su, giù.

— Gli ho raccontato di Coren e di quello che mi ha detto — riprese il ragazzo — e Nyl dice che se lui fosse l’erede del Re, non starebbe quassù, a dar da mangiare alle pecore d’inverno e a correre scalzo sui prati d’estate. E poi non ha più detto niente per tutto il giorno. Ma domani dobbiamo andare di nuovo a giocare nelle caverne.

Sybel sospirò. Seduta in terra, appoggiò il mento sulle ginocchia e per qualche tempo rifletté sulle parole di Tamlorn.

— Oh, come sono stanca di tutto questo — disse infine. — Tamlorn, ne hai parlato soltanto con Nyl?

— Solo con Nyl e con il Falco Ter.

— Allora, fatti promettere da Nyl di non dirlo a nessuno. Altre persone potrebbero venire a cercarti, e potrebbero portarti via contro la tua volontà. Potrebbero addirittura farti del male, quelle che non vogliono averti come loro Re. Di’ queste cose al tuo amico Nyl. Digli di non rispondere alle domande di estranei. Mi farai questo favore?

Il ragazzo annuì. Poi disse piano, fissandola:

— Sybel, mio padre verrà a cercarmi?

— Può darsi. Tu desideri che venga?

— Penso… che vorrei vederlo, Sybel.

— Sì?

— È una cosa così brutta, volerlo vedere? — bisbigliò. — Dimmi, lo è davvero?

Lei tornò a sospirare, passandosi distrattamente le mani fra i lunghi capelli.

— Oh, se soltanto tu fossi un po’ più grande… — sospirò. — Non è una brutta cosa, in sé e per sé, ma è brutto essere usati dagli altri uomini, far scegliere a loro che cosa dovrai o non dovrai diventare, lasciargli decidere la tua vita. Se fossi più grande, potresti scegliere da solo. Ma sei così giovane e conosci così poco la gente… e io la conosco poco più di te.

Trasse un profondo respiro.

— Tamlorn, vuoi che lo faccia? Lui si affrettò a scuotere la testa.

— Non voglio lasciare te e gli animali — disse.

Tacque per un attimo, con lo sguardo perduto in lontananza, come se riflettesse.

— Ma gli occhi di Nyl… — continuò — erano così grandi e tondi, quando gli ho raccontato di Coren: grandi come quelli di un gufo. E anch’io mi sono sentito molto strano. Sì, penso che vorrei vedere mio padre.

Tamlorn guardò Sybel negli occhi.

— Potresti chiamarlo — suggerì. — Non è necessario che lui mi riconosca; mi basta vederlo… vedere che aspetto ha.

Lei si massaggiò delicatamente gli occhi, con la punta dei polpastrelli. Il ragazzo continuava a fissarla attentamente, con una luce di speranza nello sguardo.

— Se io lo chiamassi — disse Sybel — forse non potresti più decidere di fermarti qui.

— Ma lui non saprà chi sono! Dirò di essere il fratello di Nyl. Guardami, Sybel! Come può capire che sono suo figlio?

— E se in te riconoscesse i lineamenti di tua madre? Tamlorn, gli basterebbe vedere una volta i tuoi occhi chiari per capire tutto, ancor più che dal colore dei tuoi capelli o dalla forma del tuo viso.

Si alzò in piedi. Tamlorn la prese per il braccio.

— Ti prego, Sybel — le bisbigliò. — Ti prego…

Fu così che, quello stesso mattino, lei chiamò il Re di Eldwold, che sedeva nella sua calda reggia dai pavimenti coperti di ricchi tappeti e dalle pareti decorate di antiche leggende, ricamate sui suoi grandi arazzi nel corso dei secoli.

Tre giorni più tardi, il Re risaliva a cavallo, con due guardie del corpo, la crosta di neve che copriva il sentiero montano: tre piccole figure scure sullo sfondo bianco, che assomigliavano a foglie secche accartocciate. Il vento stesso si era congelato e pendeva dai rami coperti di una patina di ghiaccio; il respiro dei tre uomini si fermava davanti al loro viso come nebbia.

Avanzavano lentamente, sul tortuoso sentiero che saliva dalla città. Sybel, dalla sua alta finestra, li vedeva spuntare e scomparire fra gli alberi. Provò a sondare la mente del Re: una mente possente e inquieta come quella del Falco Ter, piena di frammenti di volti e di avventure, di frammenti di passione guerresca e di passione amorosa, con un duro strato di gelosia simile a una distesa di pietra nera, e, in un angolo, un nucleo di paura e di solitudine, velato da una perpetua nebbia, grigio, gelido, indistruttibile come una sfera di acciaio.

Quando vide che il gruppo si stava ormai avvicinando, Sybel ordinò al Falco Ter, che volava con Tamlorn, di riportare a casa il ragazzo.

Più tardi, il Cinghiale Cyrin l’avvertì che i visitatori erano arrivati. Si recò con lei fino al cancello, nel cortile coperto di neve: per l’occasione, Sybel gli aveva messo sulla schiena una calda gualdrappa, bianca come l’argento.

“Una volta, un uomo si è buttato in un pozzo per controllare quanto fosse profondo” commentò il Cinghiale “ma certo tu sai quello che fai”.

Sybel scosse la testa. “Quando si tratta di Tamlorn, non lo so affatto” gli rispose.

“È facile chiamare un uomo perché salga fino alla tua casa, ma poi non è altrettanto facile mandarlo via.”

“Lo so” disse lei. “Credevi forse che non me ne rendessi conto? Ma Tamlorn desidera vedere suo padre.”

Aprì il cancello e si recò ad accogliere i tre uomini.

— Siete la maga Sybel? — le chiese il Re di Eldwold.

La fissava dall’alto del suo grande cavallo nero; nelle mani, protette da spessi guanti, teneva la briglia. Indossava un mantello scuro e un vestito senza pretese, non molto diverso da quello dei due uomini che lo accompagnavano.

Sybel lo fissò negli occhi grigi e stanchi, circondati da una rete di rughe; gli osservò le labbra immobili e decise, la grande massa di capelli grigi e si rivolse solo a lui.

— Sono Sybel.

Il Re rimase in silenzio per un istante, e lei non riuscì a leggere i pensieri che gli passarono nello sguardo. Poi Drede smontò di sella e le si fermò davanti senza lasciare le redini. Nella grande immobilità di quel mondo, anche lui pareva in soggezione.

— Sapete chi sono? — le chiese, incuriosito.

Lei gli rivolse un leggero sorriso.

— Volete che pronunci ad alta voce il vostro nome? — gli domandò.

Drede si affrettò a scuotere la testa.

— No — disse.

Poi, anche lui sorrise, e le rughe gli si raccolsero tutte agli angoli degli occhi.

— In voi c’è davvero qualcosa che mi ricorda la mia prima moglie — commentò Drede. — Siete sua nipote. Lo saprete certamente anche voi.

— Lo so — rispose Sybel — ma conosco ben poco di lei e degli altri miei parenti. A dire il vero, conosco poche persone, al di fuori di questa montagna. Non mi occupo delle cose degli uomini.

— Mi è difficile crederlo — rispose Drede. — Avreste un grande potere, se decideste di occuparvene, soprattutto in questi tempi inquieti. Non ve l’hanno mai offerto?