— Sybel, vieni con me… te ne prego.
— Tamlorn… — disse lei, disperata, e il ragazzo si alzò, si allontanò di corsa e uscì nel giardino. Da laggiù le giunse il grido con cui chiamava il Falco, mentre la neve riprendeva a cadere.
Anche lei si alzò lentamente in piedi, chiusa nei propri pensieri; si avvicinò al fuoco e tese le mani verso le fiamme. La Gatta Moriah l’osservò in silenzio; i suoi occhi di smeraldo non battevano ciglio. Poi, Sybel indossò il mantello e uscì, dirigendosi verso il sentiero che portava alla casa di Maelga.
Quando vi fu giunta, si accomodò accanto al focolare, sulla pelle di pecora, senza parlare, e appoggiò il mento alle pietre, fissando le fiamme che guizzavano sotto il calderone.
La fattucchiera si muoveva qua e là per la casa, mettendo in ordine le sue cose, seguita dal gatto grigio. Dopo qualche tempo, venne a sedersi accanto a Sybel e l’abbracciò; lei nascose la faccia sulla sua spalla.
— Bambina, che cos’hai? — le chiese Maelga. — Che cos’è questo gelo che hai negli occhi, e che non ti permette neppure di piangere?
Le accarezzò i lunghi capelli chiari finché Sybel le mormorò, con voce lontana e priva di emozione:
— Tamlorn vuole lasciarmi. Hai un incantesimo che gli impedisca di farlo?
— Oh, Bianca Signora, in tutto il mondo non esiste un incantesimo simile!
Nei giorni seguenti, Tamlorn si limitò a scambiare con lei poche parole. Lo vide raramente: solo quando veniva per mangiare e per dormire, e quando poi se ne andava, taciturno, scuro in faccia, con il Falco Ter sul pugno e Nyl al fianco per riprendere a scorrazzare sul Monte Eld avvolto nella sua cappa di ghiaccio.
Non riuscì a lavorare molto, in quei giorni, e passò le ore a guardare il ricamo che teneva in grembo senza mai terminarlo, o a passeggiare attorno al fuoco, prigioniera nella sua irrequietezza.
Attorno a lei, anche gli animali tacevano: si aggiravano per la casa con passo silenzioso e furtivo, la osservavano dalle altre stanze o dalle finestre del giardino.
Infine, una grigia mattina, Sybel si recò sotto la cupola di cristallo e posò lo sguardo sul mondo gelido e bianco che la circondava, sulla lunga teoria di fiocchi di neve che scendeva dal cielo senza sosta e senza rumore.
E da quella stanza inviò fino alla città di Mondor il richiamo che doveva far presa sul cuore del Re di Eldwold.
Quella volta, il Re era solo, quando salì a lei. Sybel andò ad accoglierlo al cancello, seguita dal Leone Gules e dal Cinghiale Cyrin venuti a proteggerla.
Il Re la guardò in silenzio, leggermente perplesso, e lei gli spiegò:
— Sono stata io a chiamarvi.
Drede rimase a bocca aperta, stupito e incredulo. — A chiamarmi? — chiese.
— Vi ho chiamato e siete venuto. Nello stesso modo, mio padre e mio nonno chiamarono a sé gli antichi animali dell’Eldwold.
Il Re scosse la testa, prima da un lato e poi dall’altro.
— Non è possibile — disse.
Ma vide che le labbra di Sybel, bianche per il gelo, gli sorridevano.
— Vi avevo già chiamato perché Tamlorn, vedendovi, potesse fare la sua scelta.
Il Re corrugò la fronte, nell’udire un nome di cui si era dimenticato, e lei proseguì, piano:
— Dodici anni fa… questa primavera saranno tredici anni… Coren del Sirle portò un bimbo a questo cancello e mi implorò, per amore di una mia parente che non avevo mai conosciuto, di prendermene cura. Io ho amato quel bambino, mi sono presa cura di lui e l’ho visto crescere, e adesso… dietro sua richiesta… vi ho chiamato quassù perché lo riportiate nel mondo degli uomini.
Il Re chiuse gli occhi. Rimase immobile; la neve gli si accumulò sulla faccia e sulle spalle, il fiato gli uscì con lentezza dalle labbra, come una lunga nebbia bianca.
Poi smontò di sella.
— Dov’è? — bisbigliò.
— In giro, con il Falco Ter. Lo richiamerò presto, dopo che avremo parlato un poco.
Aprì il cancello per farlo passare.
— Venite accanto al fuoco — gli disse. — Avrete freddo. E anch’io mi sento gelare.
Drede la seguì all’interno della casa. Sybel prese una sedia e la mise accanto al fuoco, per lui. Il Re si tolse il mantello e lo pose ad asciugare sulle pietre, levando le mani verso la fiamma. Poi, accorgendosi che tremavano, le lasciò ricadere e si mise a sedere.
— Tamlorn — mormorò.
— Siete contento di lui? Sperava che lo foste.
Pensando a quel che la donna gli stava chiedendo, lui sorrise; anche la maschera di tensione, sul suo volto, si alleggerì.
— Come può dubitarne? È così alto, così forte e libero, con i capelli e gli occhi della madre…
— No, quelli sono i vostri — disse lei con convinzione, e vide allargarsi il suo sorriso, brillargli gli occhi come due polle d’acqua colpite dal sole. Poi Drede superò la distanza che li separava e le prese una mano fra le sue, grandi e coperte di cicatrici.
— Mi chiedo come possiate darmelo.
Lei sospirò.
— Come potrei negarvelo, se è lui che vi vuole? — sussurrò. — Non vorrei darlo a nessuno, perché so che giungeranno uomini potenti a turbarlo, per cose che lui non conosce. Voi ne farete un Re, e lui conoscerà l’odio, le bugie e le passioni senza nome che giacciono in fondo al cuore degli uomini.
“Ma lui vi ha guardato, e l’ho visto sorridere. È vostro figlio. Non ha niente di mio. Io l’ho amato per dodici anni, e voi per… dodici minuti, ma non posso trattenerlo qui. Posso tenere un grande Falco e un antico e possente Leone, ma non posso tenere qui, contro la sua volontà, un solo ragazzo dagli occhi sinceri.”
Drede, nell’udire queste parole, aggrottò leggermente le sopracciglia.
— Siete così strana, Sybel — disse. — Non mi chiedete niente, eppure sapete che lo cercavo disperatamente.
— Niente di ciò che possedete — si affrettò a dire lei — poteva farmi rinunciare a Tamlorn.
— Può darsi. Uomini potenti lo stavano cercando per venderlo a me. Non sarebbero certo stati gentili, con un vecchio leone coperto di cicatrici. Chiedetemi… qualsiasi cosa.
— Vi chiedo solo di volergli bene — bisbigliò Sybel.
Lui le strinse le mani.
— Mi dispiace… — mormorò, ma lei scosse la testa.
— No — gli disse. — Siate felice. È bello avere un ragazzo da amare. Lui si fa amare facilmente, e gli piacciono le creature potenti. Per questo, penso, è stato tanto attirato da voi. Voi siete un po’ come il Falco Ter.
— Oh. — Sorrise, e dalla bocca e dagli occhi gli scomparve ogni traccia di durezza. Sollevò una mano verso di lei, ma poi la lasciò ricadere e gli occhi gli si velarono di ricordi.
— Rianna — disse — aveva la pelle bianca come la vostra… Rianna. Non pronunciavo il suo nome da dodici anni. Prima non volevo pronunciarlo perché ero in collera con lei, e poi per la tristezza che mi dava.
“Lei era come un vento, tiepido e dolce, che spirava nel mio cuore; lei era un posto dove riposarmi, il tempio di pace dove potevo dimenticare tante cose… Finché un giorno la vidi rivolgere un’occhiata a Norreclass="underline" un’occhiata che era come il tocco delle labbra. Perdetti allora la mia oasi di pace e di tranquillità. Qui, seduto nella vostra casa serena, ne ho ritrovato un poco.”
— Ne sono lieta — disse lei, in tono cortese. — E sono lieta che…
S’interruppe, arrossendo.
— Lieta che…? — la incoraggiò lui.
— Lieta che Coren del Sirle si sbagliasse. Diceva che eravate un uomo amareggiato e ormai incapace di amare. Ma ora sono convinta che saprete voler bene a Tamlorn.
Dagli occhi di Drede scomparve il sorriso.
— Coren — disse, senza alcuna intonazione particolare. — È venuto qui. Per Tamlorn?