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— Sì.

— E voi non glielo avete ridato. Eppure mi hanno descritto l’astuzia delle sue parole, la dolcezza dei suoi sorrisi…

Sulle guance della donna, il rossore si accentuò ancora di più. Gli disse con asprezza:

— Credete che il mio amore per Tamlorn sia così piccolo da essere disposta a darlo al primo che viene a chiedermelo con qualche parolina dolce? Non ve lo darei, se già non vi volesse bene.

— Mi avreste lasciato morire senza un erede?

— Che importanza può avere, per me, il vostro destino? O quello di Coren? Che pace potremmo avere, io e la mia casa, se badassi a tutte le lotte che si intrecciano nelle corti della pianura? Sono cose che non capisco. Capisco solo quel che c’è dentro la mia abitazione.

Il Re la fissava con severità, come se, in quel momento, la vedesse per la prima volta.

— Eppure — le disse — avete tanto potere… Mi avete fatto uscire dalla mia casa senza che io lo volessi. Potreste fare qualsiasi cosa di me e io non sarei in grado di oppormi. Coren del Sirle voleva anche voi, oltre a Tamlorn?

— Certo — disse lei, imperturbabile, — Mi ha chiesto il prezzo dei miei poteri.

— E voi?

— E io gliel’ho detto: la felicità di Tamlorn, e un grande uccello bianco, con lunghe ali soffici, che sventolano come bandiere. Non essendo in grado di darmi queste due cose, se ne è dovuto andare a mani vuote.

Drede tornò ad appoggiarsi allo schienale. Sybel, per qualche tempo, continuò a fissarlo in silenzio. I capelli grigi del Re, bagnati di neve disciolta, si erano appiccicati sulla sua fronte scura e coperta di rughe; una gemma azzurra, su una delle sue dita, rifletteva la fiamma del focolare.

Dopo qualche tempo, accorgendosi di essere osservato, lui la fissò negli occhi.

— A che cosa pensate? — le chiese.

— Al Leone Gules. E al Falco Ter. E anche un poco al Drago Gyld…

Lui sorrise.

— Anche voi — disse — siete attirata dalle creature potenti.

Sybel si affrettò a distogliere lo sguardo, sorpresa da quell’osservazione, e si sentì imporporare le guance. Drede la guardò, e, standogli così vicino, lei avvertì in quell’uomo un potere che non conosceva, ma che era capace di turbarla. Poi Drede le sfiorò la guancia, costringendola a guardarlo.

— Venite con noi. Venite a Mondor con Tamlorn e con me.

— A lavorare contro il Sirle?

— A lavorare per Tamlorn. Portate i vostri animali, in modo che a Mondor, con voi, ci siano tutte le creature che amate. Faremo di Tamlorn un Re. Venite con noi. E, se vorrete, io farò di voi una Regina.

Sybel si sentì pulsare il sangue alle tempie.

— È più di quanto mi ha offerto Coren — mormorò.

Poi, d’improvviso, si alzò in piedi, si allontanò da lui e guardò le care, fredde, bianche pareti che la circondavano.

— No.

— Perché?

— Non lo so — rispose. — Ma non potrei… non potrei agire contro il Sirle.

— Ah.

Sybel si affrettò a voltarsi verso di lui.

— Non ha niente a che vedere con Coren — cercò di spiegargli. — Non voglio aiutare uno di voi e combattere contro l’altro. Qui, sulla mia montagna, non devo prendere questo genere di decisioni. Non voglio condividere la vostra guerra, ma non dovete avere paura di me: non lavorerò mai per i nemici del padre di Tamlorn. Siete al sicuro. E così lo è il Sirle, perché non voglio che il vostro odio diventi il mio.

Lui non disse niente; ma aggrottò la fronte, cosicché lei non poté leggergli nello sguardo.

— Siete troppo potente — mormorò Drede — e troppo bella. Pensando a voi, mi sento a disagio. Ma vi credo. Non operereste mai contro l’interesse di Tamlorn.

Anche lui si alzò in piedi, nervosamente, ma poi si voltò di scatto, nell’udire la porta che si apriva.

Era Tamlorn: si scosse la neve dal mantello, chiuse la porta e si diresse verso il fuoco. Solo allora li vide.

Il ragazzo s’immobilizzò, arrossendo. Drede gli fece un cenno con la mano.

— Vieni.

Tamlorn rimase fermo ancora per qualche istante. Dubbioso, continuò a guardare prima l’uno e poi l’altra. Infine Drede gli sorrise, e il ragazzo gli restituì il sorriso, inghiottendo a vuoto.

Si avvicinò, si fermò in mezzo ai due, accanto al fuoco, e tese le mani verso le fiamme.

Drede disse gentilmente:

— Guardami.

Il ragazzo obbedì.

— Dimmi il tuo nome.

— Tamlorn.

— E quello di tua madre.

— Rianna.

— E quello di tuo padre.

Il ragazzo si morse nervosamente le labbra; poi, con sicurezza, disse:

— Drede.

Tornò in città con il Re, quel pomeriggio. Sybel, dal cancello, li guardò partire. La neve non cadeva più; l’unico suono che si udiva al mondo era quello della loro voce pacata.

Per un lungo istante, Tamlorn rimase fermo davanti a Sybel, senza trovare le parole da dirle, mentre il Re attendeva in sella dietro di lui.

Sybel, con le ciglia bagnate di pianto, ma sorridendo, lo guardò ancora una volta negli occhi. Gli accarezzò la fronte, gli ravviò una ciocca di capelli ribelli che era andata fuori posto. Poi gli disse:

— Ho un regalo per te.

Pronunciò il nome di Ter, e il grande Falco andò a posarsi sulla spalla di Tamlorn. Il ragazzo trasalì.

— No, Sybel… sentirà la tua mancanza.

— No — disse lei. — È un uccello adatto ai sovrani. Se correrai dei pericoli, ti proteggerà, e quando lo chiamerò per nome mi dirà da lontano che stai bene e che sei felice.

Fissò gli occhi azzurri del Falco Ter, ma, per un istante, il rapace non le disse niente. Poi le giunsero i suoi pensieri:

“Non pensavo che nel mondo degli uomini ci fosse ancora posto per me.”

“C’è un solo posto” disse lei. “Custodisci Tamlorn, con amore e con saggezza.”

“Così farò, o più potente di tutti i figli di Heald. E se avrai bisogno di me, chiamami, e io verrò subito.”

Lei gli sorrise.

“Addio, grande Signore dell’Aria.”

Tamlorn l’abbracciò così forte che la nebbia del loro respiro, nell’aria gelida, divenne un unico alone. Poi montò a cavallo dietro Drede, e il Falco gli si posò sulla spalla.

Il Re si chinò su Sybel e le prese la mano.

— Se verrete a Mondor, per voi ci sarà sempre un posto. Ma, anche se non vi vedrò più, serberò il vostro nome nel cuore, in silenzio.

Per un istante, si portò alle labbra la mano di lei. Poi, tirando le briglia, avviò verso il sentiero montano il suo grande cavallo nero, e Sybel rimase ferma a osservarli finché la faccia di Tamlorn, girata all’indietro, non scomparve fra gli alberi.

Solo allora, sentendo qualche brivido di freddo, ritornò nel giardino. La neve riprese a cadere leggera, senza rumore, interminabile. Accanto a lei, altrettanto silenzioso, comparve il Leone Gules; lei gli accarezzò la criniera, distrattamente.

Entrò nella casa tranquilla e buia e si mise a sedere davanti al fuoco. La Gatta Moriah venne a riposare ai suoi piedi, ma lei continuò a sedere immobile, mentre la fiamma si spegneva e il fuoco continuava a pulsare segretamente nelle braci, e infine anche le braci diventavano nere e fredde.

Poi scese su di loro la notte, gelida, e la neve si accumulò nel giardino, cancellando le ultime impronte lasciate da Tamlorn e le mezzelune del cavallo del Re.

Per tutta quella notte, e il giorno seguente ancora, Sybel rimase lì a sedere senza muoversi, con le mani posate sui braccioli della sedia e gli occhi fissi, come se fosse ancora in grado di vedere la fiamma verde e danzante. La bianca stanza di marmo divenne sempre più fredda e silenziosa intorno a lei.

Alla fine si scosse, batté gli occhi. Scorse intorno a sé tutti gli animali: anche la massa lucente del Drago Gyld era raggomitolata sulla pietra. Il bellissimo cigno dagli occhi indecifrabili la guardava dalla soglia della stanza che aveva per soffitto la cupola di cristallo. Lei si voltò, e scorse alle proprie spalle gli occhi rossi del Cinghiale Cyrin. Sorrise a tutti, e si accorse di essere intorpidita dal freddo.