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Per un momento, quelle parole rimasero sospese tra loro, prive di forza.

— Altrimenti — continuò lui — sarei morto qui, sul tuo focolare. Ho preso parte a una grande battaglia, ho dovuto combattere di notte, senza aspettarmelo, da solo, ma non ho mai visto la morte così vicina come poco fa, qui nella tua casa.

“Aveva il colore della notte e non potevo respirare perché non era d’aria, ma sapevo che se fossi riuscito a darle un nome non avrebbe più potuto farmi del male.

“Tutti i miei pensieri erano di morte… volavano in cerchio, come uccelli spaventati… ma sapevo che non potevo incontrare la morte nella tua casa, accanto al tuo focolare.

“Perciò, una parte di me ha continuato a cercare tra tutti i nomi antichi che conoscevo. E infine ho capito cos’era. Non era la morte, ma la paura. Rommalb. La paura che conduce gli uomini alla morte.”

Riaprì gli occhi per qualche istante, fissandola dalla profondità di un abisso senza nome.

— Sybel, non potevo lasciarmi uccidere da qualcosa che non poteva farmi del male.

— Moltissimi uomini sono stati uccisi da quella cosa — bisbigliò lei. — Fin da epoche immemorabili.

— Ma io non potevo lasciarmi uccidere. Avevo qualcosa per cui vivere.

— Drede? — chiese lei.

Lui scosse la testa e per un po’ non disse niente. Teneva gli occhi chiusi, e lei pensò che si fosse addormentato. Poi raddrizzò la schiena, si sporse verso di lei e la baciò.

Lei si tirò indietro, stupita.

— Non credevo che esistesse uno come te — disse. — Mi aspettavo di vederti morire o impazzire nella mia casa, e poi di trovarmi alla porta i tuoi cinque fratelli, a chiedermi spiegazioni.

“Invece, hai restituito il nome al Rommalb e hai voltato le spalle alla morte per ritornare qui a baciarmi, seduto sul mio pavimento.”

— Mi pareva una soluzione di gran lunga preferibile — disse lui sorridendo. Ma poi un terribile ricordo gli gelò il sorriso sulle labbra e gli svuotò gli occhi, che divennero freddi come stelle perdute. Scosse la testa per liberarsi da quel ricordo, e cercò di alzarsi, rigidamente. Sybel lo aiutò e mettersi in piedi, corrugando con preoccupazione la fronte.

— Nella mia casa — gli disse — hai sempre avuto un’accoglienza spaventosa. Ti preparerò il letto di Ogam. E poi prenderò il Cinghiale Cyrin e ne farò salsicce.

— No, Sybel. Mi ha rivolto un indovinello, e sono stato io a chiedergli la risposta. Lui, perciò, me l’ha data.

— Niente affatto — disse lei. — Con un inganno, ha fatto in modo che te la dessi io. E non aveva alcuna ragione di trattare così un mio ospite, venuto a trovarmi per pura gentilezza di cuore.

Coren tornò a sedere, poi si curvò a raccogliere i cocci della scodella.

— Se non riesci a trovare la ragione — disse — vuol dire che non ce n’era nessuna.

— Non riesco a trovarla. Lasciamo perdere, Coren; cercherò di chiarirla in separata sede, quando sarai andato a dormire.

— No. Questa sera non voglio dormire al buio. Lasciami sedere qui, accanto al fuoco. Sybel…

— Come?

Lui la guardò.

— Non hai mai paura di niente? — le chiese. — Che cosa sei, visto che lo stesso Rommalb obbedisce al tuo richiamo?

— Di alcune cose, ho paura. Ho avuto paura per te. Ho paura per Tamlorn. Ma non mi è mai passato per la mente di avere paura del Rommalb.

Si inginocchiò sul pavimento, per pulirlo della minestra rovesciata. Coren continuò a guardare il gioco della luce verde delle fiamme tra i bianchi capelli di lei, finché si confusero in una sola macchia: s’era addormentato.

L’indomani mattina, Sybel lo trovò accanto al fuoco, con il Leone Gules accucciato ai piedi. La neve non cadeva più; il mondo, dietro le colonne di ghiaccio delle finestre, aveva un’opalescenza lunare.

Sul tavolino c’era una pagnotta sbocconcellata; il vino era finito. Lui le sorrise, e lei, nel vedere i suoi occhi cerchiati di rosso, gli disse gentilmente:

— Non hai dormito bene?

— Mi sono svegliato e, vedendo che non c’eri, non sono più riuscito a prendere sonno. Ho parlato con il Cinghiale Cyrin; mi ha raccontato alcune storie.

— Spero che si sia limitato a quelle.

— Mi ha detto del Principe Lud, che poteva avere qualsiasi fiore da lui desiderato, ma che voleva soltanto la rosa fiammeggiante che cresce sulla Punta Nera di Fyrbolg. E che, una volta ottenuto ciò che desiderava, fu soddisfatto per tutta la vita. Perciò, qualche speranza l’ho ancora.

Lei arrossì leggermente.

— Non mi pare che queste cose riguardino il Cinghiale Cyrin — gli disse. — Inoltre, tu stesso dicevi che non sono una rosa fiammeggiante, ma un fiore di ghiaccio cresciuto in un mondo senza vita. Tu appartieni al mondo dei viventi, e laggiù, secondo me, troverai la tua rosa.

Coren sospirò.

— Come hai detto — rispose — a volte sono uno sciocco. Credo di essere io quello vissuto in un mondo senza vita. Questa notte ho sognato Norrel.

“Le altre volte, quando lo sognavo, non lo vedevo mai come era in vita, ma solo come era in punto di morte, allorché, isolato da tutti, immerso nel dolore della sua ferita mortale, vedeva Drede allontanarsi da lui e cercava di chiamare qualcuno, ma non aveva più la voce e non c’era nessuno che lo ascoltasse.

“Nei miei sogni, Norrel mi chiama e non mi vede, e io non riesco mai a raggiungerlo. Ma questa notte, quando mi sono addormentato, avevo negli occhi la tua immagine e ho sognato Norrel come era da vivo, quando rimanevamo svegli a parlare fino a notte inoltrata.

“Lui mi diceva di Rianna e del suo amore per lei. E io sorridevo, ascoltavo, assentivo, perché capivo tutto ciò che provava, tutto ciò che diceva.

“Quando mi sono destato, avevo ancora nelle orecchie l’eco della sua voce, e in quel momento ho pensato a Drede e ho provato una grande pietà per lui. Perché non aveva mai potuto avere quel che aveva avuto Norrel. Drede è solo un vecchio impaurito, con nessuno che lo ami a eccezione di Tamlorn. E anche se pensavo che fosse come il Rommalb, un dispensatore di morte…”

— Vuoi ancora ucciderlo?

— Ormai, credo di essermi stancato di pensare a lui.

Si alzò, si avvicinò a Sybel e rimase fermo accanto a lei, senza toccarla.

— Ti amo — le disse. — Quando avrai bisogno di me, io verrò.

— No, Coren — disse lei, confusa, e si accorse di avergli preso la mano. — Non sono molto capace di amare. In tutta la mia vita, ho amato solo Maelga, Tamlorn e Ogam, benché non fosse neanche lui molto capace di amare. Rimani nel Sirle, dove ci sono donne che possono darti quel che ti occorre. Il mio posto è qui.

— Mi occorri tu — le disse lui, semplicemente.

Si voltò a prendere il mantello e continuò:

— Quando il Principe Rurin inseguiva la strega Glower che gli aveva trasformato in maiali tutti i servitori, lei…

— Lo so. Innalzò sul suo cammino una grande montagna di vetro, che lui non poteva né aggirare né scalare. Perciò dovette fare ritorno a casa, scornato.

— Proprio così — disse Coren. Si chinò a darle un bacio d’addio, e lei lo accettò con freddezza.

— Che differenza può esserci — le chiese — tra il vetro e il ghiaccio?

— Oh, va’ a casa! — disse lei, irritata. Poi, anche se non ne aveva l’intenzione, sorrise.

Lo accompagnò fino al cancello, e rimase immobile a rabbrividire, nella mattinata silenziosa, per guardarlo mentre scendeva l’erto sentiero.

Il Cinghiale Cyrin si fermò accanto a lei, e il suo caldo respiro fiorì a sbuffi nell’aria. Lei lo fissò.

— Hai corso un grave rischio — gli disse, concisa.

Il Cinghiale dalle setole argentee emise il grugnito che era il suo equivalente di una risata. Poi, per la prima volta, si servì con lei della sua voce musicale.