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— Due sciocchi sapienti si capiscono sempre tra loro — disse.

Tamlorn venne a trovarla qualche giorno più tardi. Lei, nell’udire il grido del Falco Ter, sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo e lo vide che volava in cerchio, al di sopra della cupola di cristallo.

Si mise addosso il mantello e corse in giardino, e il Falco venne a posarsi sulla sua spalla, mentre Tamlorn, accompagnato da cinque uomini, giungeva al suo cancello.

Il ragazzo scese da cavallo e le andò incontro gridando gioiosamente, e Sybel notò il pesante mantello di pelliccia ricamato in filo d’oro, gli stivali morbidi, i guanti imbottiti. Aprì il cancello, e lui corse ad abbracciarla, ridendo.

— Sybel, Sybel, Sybel…

Si strinse a lei, e poi, veloce come un turbine, si allontanò.

— Guarda il mio cavallo! Me l’ha scelto mio padre: grigio come la tempesta, grigio come il velluto. Si chiama Drede come lui. Non voleva lasciarmi venire, perché temeva per me, ma ho continuato a implorarlo finché non mi ha accontentato. Non posso fermarmi a lungo, però.

— Oh, Tamlorn, sono così contenta di vederti! Entra in casa.

Fissò il Falco negli occhi scintillanti e gli chiese:

“Sta bene?”

“Il Re è gentile con lui.”

Tamlorn le camminava al fianco, raggiante, e a ogni passo affondava profondamente i piedi nella neve.

— Sybel, sono così felice di vederti! Il palazzo di Drede è tanto grande… c’è gente dappertutto, e tutti sono cortesi con me, perché sono il figlio del Re. E ho dei ricchi abiti. Ma sento la mancanza del Leone Gules e di Nyl.

— È buono con te?

— Certo. Sono la sua protezione dai Signori del Sirle.

Lei lo guardò, sorpresa. Lui le sorrise con i suoi occhi limpidi.

— Vedo che sei maturato — gli disse Sybel.

— Drede dice sempre che ti assomiglio. Sai, Sybel, è molto gentile con me, e io sono felice. Qualche volta, quando siamo soli insieme e facciamo cose semplici… qualche volta ride.

Così dicendo, il ragazzo aprila porta. La Gatta Moriah venne ad accoglierlo, facendo rumorosamente le fusa. Lui si inginocchiò e le strofinò la guancia contro la testa, poi accarezzò la criniera del Leone Gules e lo fissò negli occhi d’oro.

— Gules, Gules… — mormorò, e dalla profonda gola del Leone uscì un commosso brontolio.

— Sai cos’altro mi manca, Sybel? Il fuoco verde del tuo focolare. È così bello.

Si tolse il mantello e ne scosse la neve. Sybel gli accarezzò i capelli chiari, luccicanti di minuscole gocce di neve disciolta.

— Sei davvero cresciuto — gli disse, pensosa, e lui rise.

Anche la voce gli si era fatta più profonda.

— Lo so — disse. — Sybel, voleva che ti portassi a Mondor con me, ma gli ho detto che mi sarei limitato a chiedertelo… che non ti avrei pregato di farlo. Adesso che te l’ho chiesto, possiamo parlare d’altro. Gli animali stanno bene?

Nello sguardo di Sybel si affacciò un sorriso.

— Benissimo — disse, mettendosi a sedere accanto a lui, vicino al fuoco. — Dimmi, cosa fai tutto il giorno?

— Oh, Sybel! Non avrei mai pensato che potesse esistere tanta gente! Abbiamo attraversato a cavallo la città, in un giorno di mercato, e la gente gridava il nome di mio padre… e, sai, gridava anche il mio… Ne sono rimasto talmente sorpreso che mio padre si è messo a ridere. Mi piace vederlo ridere.

Lei lo lasciò parlare come se si fosse trattato di un ruscello tranquillo, dolce, confortevole; lo osservò, gli sorrise, non sempre ascoltò le sue parole. La faccia di Tamlorn era diventata più adulta e decisa, e si illuminava e cambiava espressione continuamente: rideva e ridiventava seria, poi tornava a sorridere con un sorriso strano, aperto, che però pareva suggerire qualcosa di segreto.

Mentre lo guardava, Sybel non pensava a niente: la sua mente si rilassò e si abbandonò come non le succedeva da molti giorni, contenta del calore del focolare che giungeva fino a lei, delle pareti bianche che la circondavano, della presenza di Tamlorn che parlava e accarezzava la testa di Moriah.

Poi qualcosa di minuto, di lontano e di indesiderato s’introdusse nella sua mente, increspandone la superficie. Tamlorn la toccò e lei trasalì involontariamente.

— Sybel, non mi stai ascoltando. Ti ho portato un regalo: un mantello di lana bianca con un ricamo di fiori azzurri. Drede l’ha fatto fare per te dalle donne del castello.

S’interruppe per un istante.

— Che cos’hai?

Lei scosse la testa.

— Niente. Sono un po’ stanca. Un mantello? Tamlorn, ricordati di ringraziare Drede per me. E il Falco Ter, si comporta bene? Temevo che avesse già divorato qualcuno che gli dava fastidio.

— Oh, no. Quando il tempo è bello, andiamo a caccia insieme, È molto gentile con i falchi di Drede, ma si lascia prendere solo da me. Sybel…

Ma lei non gli rispose, perché aveva di nuovo sentito quello strano movimento della mente, fioco e rapido come il tremolio di una stella nel cielo di mezzanotte.

Serrò lentamente le mani sui braccioli della sedia.

— Sybel — disse Tamlorn, aggrottando le sopracciglia. — Hai male? Dovresti parlarne con Maelga.

— Gliene parlerò. — Staccò le mani dai braccioli, allargò le dita. Con gli occhi grandi, luminosi, fissò le fiamme. — Gliene parlerò.

Poi si udì bussare alla porta, e il ragazzo cambiò immediatamente espressione.

— Così presto? Sono appena arrivato.

Lei si voltò a guardarlo. — Oh, Tamlorn. non andrai già…

— Come ti ho detto, non posso fermarmi molto.

Si alzò in piedi, sospirando.

— Sybel, quando i tempi saranno più tranquilli, mi fermerò di più. Ho il tuo mantello nella borsa della sella.

Tornarono a bussare alla porta. Tamlorn alzò il tono di voce:

— Sto arrivando! Sybel, parla con Maelga del tuo male. Lei riesce a curare qualsiasi cosa.

— Principe Tamlorn…

— Arrivo!

Mentre attraversavano il giardino, silenziosamente seguiti dalla guardia personale, Tamlorn pareva non volersi mai staccare da lei. Poi il Falco Ter venne nuovamente a posarsi sulla spalla del ragazzo.

— Sybel, la prossima volta mi fermerò di più. Io… spero che tu venga a farmi visita.

— Forse mi deciderò a venire — promise lei.

— Ti prego, vieni.

Aprì la borsa della sella e ne trasse un morbido mantello color perla, ricamato con volute azzurre.

— Questo è per te.

Lei accarezzò la stoffa.

— Oh, Tamlorn — disse — è bellissimo. È così soffice…

— Ha il bordo di ermellino — spiegò lui, ponendoglielo sulle braccia.

Poi le diede un rapido bacio.

— Ti prego, vieni a trovarci. E parla con Maelga.

Lei sorrise. — Certo, Tamlorn. Adesso, posso dire una parola al Falco Ter?

Tamlorn rimase fermo per qualche istante, e lei spostò lo sguardo dagli occhi grigi e sorridenti del ragazzo a quelli azzurri e duri del Falco.

“Ter.”

“Che cosa c’è, figlia di Ogam? Ti vedo turbata.”

Tamlorn, che la stava osservando, vide che la sua faccia rimaneva immobile per un istante e che i suoi occhi severi si fissavano duramente in quelli di Ter.

“Qualcuno mi sta chiamando a lui. Devi fermarlo.”

5

Quel pomeriggio, Sybel si recò a far visita a Maelga. Le bianche tortore si appollaiarono sulle travi del soffitto per osservarla, e il corvo continuò a entrare e a uscire da un foro della finestra. La piccola casa era piena di strani odori; Maelga bisbigliava frasi magiche, china sul calderone, e il vapore le inumidiva i bianchi capelli fino a incollarglieli sulle guance.

Quando Sybel entrò nella stanza, vide che la vecchia non sollevava lo sguardo dalla sua pozione: anche lei, perciò, non le rivolse parola. Ma era inquieta, e per sfogare il proprio nervosismo si aggirò per tutta la casa, aprendo e chiudendo i libri, curiosando nei vasi pieni di misteriose sostanze, passeggiando avanti e indietro nella stanza, con la fronte aggrottata. Infine, Maelga smise di bisbigliare le sue formule magiche e voltò la testa verso di lei.