— Bambina — le disse — sto perdendo il conto delle mie Arcane Cose.
— Mi dispiace — disse Sybel.
Teneva in mano un oggetto e, giocandoci sovrappensiero, lo spezzò. Senza capire cosa fosse successo, fissò i due pezzi, turbata.
Maelga vuotò il mestolo e lo posò sull’orlo del calderone.
— Il mio osso… — disse.
— Che osso?
— La falange dell’indice destro di un mago. Mi sono occorsi tanti anni per trovarla.
Sybel tornò a fissare i pezzetti che teneva in mano. Poi disse:
— Ti porterò tutte le ossa di mago che vuoi, se ti servono. Anche il teschio, se troverò il cervello che cerco.
Maelga la fissò, aggrottando la fronte.
— Che cosa è successo? — le chiese.
Sybel posò l’osso e afferrò la strega per le braccia.
— C’è qualcuno che mi sta chiamando — rispose. — Non so chi sia, ma non posso chiudere la mia mente al suo richiamo. Mi sta cercando con la stessa abilità con cui io stessa chiamerei un animale. Sono stupita e offesa, ma è lo stupore che potrebbe provare un pesce preso all’amo: quello di chi non può fare niente per opporsi al suo destino.
Maelga prese a torcersi nervosamente le mani, tra lo scintillio dei suoi gioielli. Poi si mise lentamente a sedere sulla sedia a dondolo.
— Lo sapevo — disse infine. — Un giorno ti saresti messa nei guai, a furia di rubare quei volumi.
Sybel smise di camminare avanti e indietro.
— Credi che si tratti solamente di questo? — le chiese, in tono ansioso.
Poi scosse la testa.
— No — proseguì. — La mente che mi sta cercando è più potente della mia. Questo mi spaventa. Per dei semplici libri, non si darebbe tanta pena.
“Maelga, non so proprio cosa fare. Di fronte a questo tipo di richiamo, non esiste nessun nascondiglio sicuro. Se venisse qualcuno con l’intenzione di farmi del male, i miei animali mi difenderebbero, ma non si può lottare contro questo genere di cose.”
— Oh, cara — disse Maelga, passandosi una mano nei capelli. Poi, d’improvviso, le sorrise.
— Posso fare una cosa per te — disse. — Manderò il mio corvo a scrutare, con i suoi occhi scuri e acuti, nelle finestre dei maghi.
Sybel annuì.
— L’ho già fatto — disse. — Ho mandato il Falco Ter.
Poi sospirò, e, con le palme delle mani, si coprì gli occhi.
— È stata una sciocchezza, però. Se quell’uomo è in grado di chiamare me, allora è anche in grado di chiamare Ter.
— Se conosce il suo nome.
— Lo conosce certamente. Chi sarà mai? Ho rubato libri a maghi di scarso potere, nelle loro torri gelide, tra materassi di paglia e banchi coperti di polvere; li ho rubati a maghi importanti, grassi e sussiegosi per le ricchezze accumulate al servizio dei Principi, ma non ho mai trovato qualcuno che mi facesse paura. Non so perché, adesso, questo grande mago mi stia chiamando.
Fissò Maelga, disperata.
— Che ragione può esserci? — chiese. — Non posso fare niente, contro un mago così potente.
— È davvero così potente? — chiese Maelga. — Forse, se tu non gli rispondessi, lui rinuncerebbe.
— Forse… Ma è entrato in me mentre ero sovrappensiero, e adesso non posso più seguire le sue tracce. Se non riesco a trovarlo, non posso neanche dargli un nome.
Riprese a passeggiare nervosamente avanti e indietro, con le braccia conserte e i capelli che ondeggiavano dietro di lei come un manto bianco.
— Sono così in collera… ma la collera non serve a niente, e neppure la paura. Non so cosa fare. Spero soltanto che il mio ignoto nemico non sia talmente forte da riuscire a togliermi il nome.
— Hai un posto dove recarti per qualche tempo? — chiese Maelga.
— Dove? Anche se andassi oltre i confini dell’Eldwold, lui potrebbe trovarmi e chiamarmi a sé.
In preda a una profonda angoscia, si sedette accanto al fuoco.
— Oh, Maelga — bisbigliò — non so cosa fare. Se soltanto avessi il Liralen… potrei volarmene alla fine del mondo, ai bordi delle stelle…
— Non piangere — le disse Maelga con ansia. — Quando ti vedo piangere, mi spavento anch’io.
— Non piango. Le lacrime sono inutili. Posso soltanto attendere.
Poi si voltò verso la strega e la guardò negli occhi:
— Maelga, se un giorno non riuscissi a trovarmi e nessuno ti sapesse dire dove sono, ti occuperesti tu degli animali?
Maelga si alzò in piedi, con le mani nei capelli.
— Oh, Sybel — disse — non penserai che si arrivi a questo! Il mio corvo lo troverà. Il Falco Ter lo troverà, e preparerò un incantesimo che gli scioglierà le ossa dentro la carne.
— Non tutte, spero. Ti serve una sua falange…
Con la faccia appoggiata alle pietre del focolare, continuò a fissare le fiamme che danzavano sotto il calderone, senza vederle.
Infine, trasse un lungo sospiro:
— Ora vado — disse. — Ti lascio lavorare. Tu non puoi fare niente per me, e anch’io posso fare poco. Forse Ter lo troverà prima che lui trovi me, e allora, forse, potrò fare qualcosa.
Si alzò in piedi. Maelga la guardò con grande preoccupazione.
— Bambina mia, cerca di stare attenta — le raccomandò.
Quella notte fu destata da qualcosa che le sfiorava la mente con la delicatezza della punta di un dito che increspa uno specchio d’acqua.
Si rizzò a sedere sul letto, con gli occhi spalancati, e scrutò l’oscurità che la circondava, mentre, sulla sua testa, le stelle illuminavano con le loro sagome glaciali la cupola di cristallo.
Tornò a sentire lo strano solletico mentale, come un pensiero informe e indesiderato. Poi udì, come un bisbiglio che infrangeva l’immobilità della notte, la debole, indubitabile evocazione del suo nome:
“Sybel.”
Emise un gemito nell’oscurità. Poi, in un punto accanto a lei, scorse un movimento; gli occhi dorati del Leone Gules scintillarono come gemme dalle infinite sfaccettature.
“Di che cosa hai paura, figlia di Ogam?”
“Ho fatto un brutto sogno…”
E la voce ritornò, in un monotono sussurro:
“Sybel.”
Trascorse un giorno e una notte nella stanza dal soffitto di cristallo, senza mangiare e senza dormire, cercando negli antichi libri il nome di un mago così potente, ma non ne trovò traccia.
All’alba lasciò che i libri le scivolassero dalle mani e fissò il cielo che si andava progressivamente schiarendo. Una linea rosa segnava i confini del suo mondo; nubi bianche dai bordi argentei luminosissimi afferrarono i raggi del sole e li rifransero sulle Terre Incolte, sulla Piana di Terbrec, sulla città di Mondor, con la sua cerchia di mura, dove andarono a riscaldare le fredde e cupe pareti delle torri.
Desolata, pensò al Liralen e alle sue ali bianche e luminose, e provò per qualche istante a chiamarlo, dirigendo il richiamo verso il bianco mondo dell’alba. Gli animali cominciarono a destarsi nella casa. Poi udì la voce di Maelga, che era salita fino al suo cancello:
— Sybel! Sybel, svegliati!
Si alzò lentamente, rigidamente, e attraversò le stanze fredde. Il sole dipingeva strisce di fuoco sulla neve; quando aprì la porta, la luce le balzò dolorosamente agli occhi. Batté le palpebre, cercando di fissare il mondo davanti a sé.
— Entra, Maelga.
— Oh, Sybel. Hai lasciato spegnere il fuoco.
Entrò, e Sybel fissò a occhi sbarrati la creatura morta che la fattucchiera teneva in mano.