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“Drede, adesso.”

“No.”

“Drede.”

“No.” Si recò alla porta, aprì con mani febbricitanti il saliscendi e spiegò al Falco:

“Drede è mio.”

7

Sybel fece ritorno a casa, cavalcando lentamente sulla neve, con il Falco che descriveva grandi cerchi nell’aria al di sopra della sua testa: a volte Ter saliva fino ad altezze tali da ridursi a una debole stella nera del cielo pomeridiano, poi, da lassù, calava in picchiata, veloce come il lampo.

Sybel non parlò con nessuno e continuò a cavalcare con lo sguardo assente; nessuno di coloro che l’incontravano sulla strada pensò di fermarla. Quando giunse al sentiero che portava alla sua montagna, il sole era al tramonto.

La sera stendeva sulla neve una luce argentea quando lei s’inoltrò nella sua foresta; e le stelle iniziavano la lenta ascesa che le avrebbe portate sulla grande, oscura cima del Monte Eld. Non spirava il minimo alito di vento; intorno a Sybel, le alte cime degli alberi rimanevano immobili e i loro rami coperti di neve brillavano alla luce delle stelle. Infine, in mezzo ai tronchi, comparve la casa di Maelga, minuscola, con le finestre illuminate dalla luce del focolare.

Sybel diresse il cavallo verso il cortile della casetta. Quando smontò di sella, Maelga si affacciò alla porta, tra lo sfavillio degli anelli che portava alle dita.

— Sybel — disse.

Sybel la fissava senza parlare, e Maelga le si avvicinò, scrutandola con i suoi occhi acuti. Le accarezzò il viso pallido e immobile.

— Sei proprio tu?

— Il mago è morto.

— Morto! E come è successo, bambina? Temevo di non rivederti più.

— Il Rommalb.

Maelga si portò la mano alla bocca.

— Hai catturato anche quello?

— Sì. E adesso il mago Mithran giace stritolato sul pavimento della sua torre, e credo… credo che neppure un osso delle sue dita sia rimasto intero.

— Sybel…

La giovane donna rabbrividì. — Fammi entrare. Devo riposarmi, almeno per qualche momento.

Maelga la prese sottobraccio e la condusse all’interno della casa, accanto al focolare. Sybel si lasciò scivolare accanto al fuoco. Faticava a tenere gli occhi aperti. Sentì che qualcuno le sfiorava la gola per toglierle il mantello e trasalì involontariamente.

— No…

Maelga si fermò. Sospirò, poi le accarezzò la guancia, e Sybel si alzò in piedi. Si sciolse i lacci del mantello e lo diede a Maelga.

— Mi ha strappato il vestito. Coren è ancora a casa mia?

— Te lo cucirò io. Sì, Coren è ancora lì. Quando si è accorto che eri sparita, è venuto a dirmelo. Se la prendeva con se stesso perché non è riuscito a rimanere sveglio.

— Io, invece, sono lieta che si sia addormentato.

Per un lungo periodo non disse più niente, limitandosi a fissare le fiamme. Maelga continuò a guardarla, dondolando silenziosamente sulla sedia, mentre la notte si infittiva attorno alla casa e la faccia di Sybel si riduceva a un profilo d’ombra sullo sfondo del fuoco.

Infine, la vecchia disse piano:

— Sybel, a cosa stai pensando? Quali pensieri cupi?

Sybel si scosse dalle sue riflessioni.

— Cupi come la notte — bisbigliò.

In quel momento si udì un calpestio di passi, nel cortile, e poi il nitrito allegro del cavallo di Coren.

Sybel si alzò in piedi, e la veste strappata le si aprì sul petto. Andò alla porta, e Coren, che stava accarezzando il collo del cavallo, si girò e la vide incorniciata nella luce. Corse verso di lei, la avvolse nel suo mantello, l’abbracciò e affondò la faccia nei suoi capelli, finché lei si sentì correre sulle guance le lacrime del Principe.

— Anch’io ho pianto e sofferto.

— Sybel, ti sei allontanata da me come un sogno, silenziosamente e irrevocabilmente… non resistevo, non resistevo…

— Adesso sono al sicuro.

— Ma… come hai fatto, Sybel? Chi era?

— Vieni dentro. Ti spiegherò.

Coren sedette accanto a Sybel, vicino al focolare di Maelga, e intrecciò le dita nelle sue, incapace di staccarsi da lei. Anche Maelga, che si muoveva silenziosamente nella stanza per affettare del pane e per preparare qualcosa di caldo, ascoltò con interesse il racconto della sua ragazza.

— È stato il mago Mithran. Hai mai sentito questo nome?

Coren scosse la testa.

— Mi ha visto una volta, molto tempo fa, quando gli ho rubato un libro. Mi desiderava, e non mi ha lasciato scelta. Gli ho chiesto di avere pietà di me, ma in lui non ne era rimasta.

“Aveva una mente grandissima, anche se da tempo non trovava avversari degni di lui ed era indebolito dalla noia e dall’amarezza. Io non sarei mai riuscita a sfuggirgli, non avrei mai potuto combatterlo, e sarei sempre vissuta nel timore di lui.

“Ma ha fatto un errore. Si è dimenticato del Rommalb. E quello è stato l’unico nome che mi è venuto in mente, quando ha perso il controllo di se stesso e mi ha lasciato libera per un attimo. Così, è morto.”

— Ne sono lieto.

— Anch’io… a parte il rimpianto per il grande sapere di quell’uomo. Mi spiace di non averlo incontrato in qualche altra occasione. Era addirittura più potente di Heald, e avrebbe potuto insegnarmi molte cose.

Coren, accanto a lei, cambiò leggermente posizione.

— Non hai bisogno di un così grande potere per tenere i tuoi animali — disse. — Che cosa te ne faresti?

— Il potere crea nuovo potere. Io non posso cancellare il mio desiderio di conoscere cose nuove, di imparare. Ma non sarei mai riuscita a vivere con lui. Quell’uomo… non mi amava.

— Allora — chiese Coren — questo ha importanza per te!

— Certo — rispose Sybel.

Si voltò a guardarlo, sorridendo, e ripeté:

— Ha importanza.

Coren trasse un lungo respiro, rabbrividendo.

— Morivo dal desiderio di venire a cercarti — mormorò — ma non sapevo dove. Persino la neve era scesa a coprire le tue tracce. Quando mi sono svegliato, il fuoco era spento e tu eri sparita.

— Coren — disse lei — non avresti potuto fare niente. Per te, Mithran non avrebbe avuto nessuna pietà. Non l’ha avuta neppure per me, e io sarei stata costretta ad assistere, impotente, mentre ti uccideva. E allora, al mio ritorno, non avrei trovato nessuno ad abbracciarmi.

— Sybel… — S’interruppe, per trovare le parole giuste. — Tutto il mio amore è tuo. Per te avrei dato la vita. E adesso, per te, intendo rinunciare a un’altra cosa: ai miei anni di odio per Drede.

“Se accetterai di venire con me nel Sirle, nessuno ti chiederà cose che non desideri fare. Non voglio più sentirti avere bisogno di me e non sapere dove cercarti. Non voglio dover scoprire, svegliandomi, che sei partita.”

Lei lo fissò in silenzio, e il giovane, per un momento, ebbe l’impressione di scorgerle negli occhi un’ombra di distacco.

Poi l’ombra svanì, e Sybel si portò alle labbra la mano di Coren.

— E io — sussurrò — non voglio più vederti partire per il Sirle senza di me.

Lasciarono insieme il Monte Eld, l’indomani mattina, per andare a sposarsi nel castello della famiglia di Coren.

Il lungo inverno stava per finire e le nevi cominciavano a sciogliersi. Cavalcarono avvolti in pesanti mantelli di pelliccia, sotto un cielo illuminato dal sole, in mezzo alla neve bianca. Il Falco Ter volava alto sopra di loro, e le sue ali erano nere sullo sfondo del cielo.

Passarono vicino a Mondor, attraversarono la vasta Piana di Terbrec, e giunsero infine nelle foreste del Sirle, dove passarono la notte in una casa che sorgeva ai margini di una radura e che era per metà una fortezza: un avamposto del Sirle.

Nel corso della mattinata seguente giunsero nel cuore della regione, una distesa di campi attorno alla grande ansa del Fiume Slinoon. Da lì, scorsero in lontananza le mura e le grigie torri di pietra e i camini fumanti della dimora dei Signori del Sirle.