Scesi da cavallo, si fermarono per qualche tempo a riposare. Coren prese tra le mani la faccia di Sybel, la fissò negli occhi scuri.
— Sei felice? — le chiese.
Poi, al sorriso di lei, la sua gioia sbocciò come un fiore. Le baciò le palpebre, mormorando:
— Occhi più neri della gemma che ornava il pomo della spada di Re Pwill… la gemma che era sempre stata bianca come il fuoco, ma che divenne improvvisamente nera alla sua morte…
— Coren!
La lasciò, ridendo. La neve ingioiellata dal sole pareva stendersi abbagliante fino ai confini del mondo. Tutt’attorno a loro, le uniche cose che si muovessero erano il respiro dei cavalli e il fumo che usciva pigramente dai comignoli del castello.
Sybel fissò quella lontana costruzione, socchiudendo leggermente gli occhi per proteggerli dalla luce.
— Quella sarà la mia casa… — disse. — Sarà strano vivere in una pianura, fra tante persone. Io non sono abituata alla presenza della gente. Ed è una costruzione così grande e così grigia. A che cosa servono le torri che sorgono lungo le mura di cinta?
— Guardiole per le sentinelle, magazzini per le scorte di cibo, armerie per un eventuale attacco o per un assedio. I Signori del Sirle non si sono mai sentiti molto tranquilli, fra i loro vicini. Ma da quando siamo stati sconfitti nella Piana di Terbrec, parliamo tanto e combattiamo poco.
— E come sono i tuoi fratelli? Sono tutti uguali a te?
— In che senso, uguali a me?
— Generosi, gentili, saggi…
— E io — disse lui — sarei tutte queste cose? In passato ho ucciso e ho odiato, e di notte sono rimasto sveglio a sognare la vendetta…
— Ho incontrato tanta e grande malvagità — disse lei — ma in te non ne ho vista.
Gli sorrise, ma il ricordo l’aveva amareggiata. Lui le accarezzò i capelli.
— Dietro le spesse e antiche mura della casa di Rok non ti troverebbe nessuno, se tu non volessi farti trovare. Vieni. I miei fratelli parlano a voce alta e sono segnati dalle cicatrici delle battaglie, sono sciocchi e impulsivi come me, ma nella loro casa si ride: ti daranno il benvenuto semplicemente perché ti amo.
Cavalcarono lentamente lungo i campi addormentati sotto la crosta di neve, e videro che, nei punti maggiormente esposti al sole, qualche fazzoletto di neve si era già sciolto, rivelando la terra scura. Seguivano una strada che passava sulla riva del Fiume Slinoon e che portava al castello dei Signori del Sirle. Un ragazzo con un arco sulla spalla, che correva lungo i campi vuoti, li vide arrivare, e gridò una parola che rimase sospesa nell’aria come un respiro d’inverno. Poi si mise a correre verso il castello, precedendoli; il cappuccio, sollevandosi a tratti sulla sua testa, rivelò una folta massa di capelli neri.
— Quello è Arn — disse Coren. — Il figlio di Ceneth.
— Ci sono molti bambini? — chiese Sybel.
Lui annuì. — Ceneth ha anche due bimbe più piccole. Il primogenito di Rok, Don, ha quindici anni ed è ansioso di prendere parte alla sua prima battaglia. Oltre a Don, Rok ha quattro figlie. La moglie di Eorth ha appena messo al mondo il primogenito, Eorthling. Herne e Bor abitano nella zona settentrionale del Sirle. E anche noi, tu e io, avremo dei figli: tanti piccoli maghi, che ci riempiranno la casa.
Lei annuì, sovrappensiero. Davanti a loro, al di là delle porte aperte, si vedevano varie persone che attraversavano in tutte le direzioni il cortile coperto di neve. Ai piedi delle mura si scorgeva un largo fossato, colmo dell’acqua del Fiume Slinoon, e che poi andava a irrigare i campi.
Nel cortile c’erano alcuni cavalli sellati, pronti per partire; da una bottega di maniscalco subito dietro le mura uscì improvvisamente una grande nuvola di vapore, che subito svanì. Arn attraversò di corsa il ponte levatoio e scomparve. Ricomparve qualche minuto più tardi, accompagnato da un uomo che si fermò accanto alla porta del castello, in attesa del loro arrivo.
— Rok.
L’uomo li raggiunse sul ponte. Prese le redini del cavallo di Coren e fissò Sybel. Coren smontò di sella. Rok era un uomo di alta statura, con le spalle molto larghe, folti capelli color oro chiaro e la faccia coperta di rughe, imperturbabile come i suoi occhi castani. La sua voce, nonostante la spropositata ampiezza del suo petto, era straordinariamente dolce.
— Ti aspettavo di ritorno da Hilt, quattro giorni fa. Cominciavo a preoccuparmi. Ma adesso vedo che non ce n’era ragione.
Si avvicinò a Sybel e le prese la mano.
— Voi siete Sybel — disse.
— Come lo sapete?
— Perché abbiamo combattuto sulla Piana di Terbrec per una donna che vi assomigliava. Siate la benvenuta nel Sirle.
Lei sorrise, e guardandolo negli occhi vi lesse, al di sotto della calma, un debole, rovente senso di trionfo.
— E voi — gli disse — siete il Leone del Sirle, come vi chiama Coren. Sono lieta che mi abbiate dato il benvenuto, dato che il mio arrivo era inatteso.
— Ho imparato ad attendermi da mio fratello Coren le cose più inattese.
— Rok — disse Coren, tranquillamente. — Siamo qui per sposarci. Sybel viene qui per essere mia moglie.
Rok, per un momento, guardò in basso, poi sollevò nuovamente gli occhi, sorridendo.
— Capisco — disse. — Come hai fatto a convincerla?
— Non è stato facile. Ma alla fine ci sono riuscito.
Alzò le braccia verso Sybel e la posò a terra. Arn si avvicinò a loro per prendere i cavalli, e fissò la sconosciuta incuriosito. Dietro il ragazzo giunse una donna alta, dai capelli rossi pettinati in due grandi trecce che si perdevano tra le pieghe della sua ricca veste verde e oro. Coren fece le presentazioni:
— Lynette, ti presento…
— Lo so, lo so. — Abbracciò il cognato, ridendo. — Credi che non riconosca quei capelli chiarissimi e quegli occhi scuri? Lei è Sybel e siete venuti per sposarvi. Ecco cosa stavi complottando, mentre noi eravamo preoccupati per te.
— Non vedo perché preoccuparsi. Sybel, ti presento la moglie di Rok, Lynette.
— Andare in qualche strano luogo a inseguire un sogno ad occhi aperti è una cosa — disse Lynette, baciando Sybel sulla guancia. — Ma andare a Hilt e non fare ritorno è un’altra. Sybel, mi sembrate stanca. Dev’essere molto faticoso viaggiare con questo freddo.
Coren le mise un braccio sulle spalle e Sybel si appoggiò a lui, senza pensare a niente, limitandosi ad assaporare la levigatezza del mantello di pelliccia contro la sua pelle.
Coren spiegò: — In questi ultimi giorni ha avuto molte preoccupazioni. C’è qualche posticino dove può riposare un poco?
Sybel raddrizzò la schiena.
— No, Coren — disse — mi fa piacere sentire tante voci amiche. E devo ancora conoscere gli altri tuoi fratelli e i loro figli.
Lynette rise.
— Li conoscerete — disse. — Venite. Potrete riposare nella mia stanza, mentre faremo preparare delle camere per voi e per Coren.
Percorsero il ponte levatoio, seguiti da Arn con i cavalli, e il trambusto che regnava nel cortile s’interruppe al loro passaggio.
Una porta più piccola conduceva al cortile interno: un vasto spazio quadrato, con alberi senza foglie che incidevano sulla neve un bassorilievo di ombre. Un uomo aprì il doppio battente da cui si accedeva all’interno del castello e scese alcuni scalini verso di loro. Aveva i capelli neri come l’ala di un corvo; i suoi occhi, verdi come smeraldi, sorrisero a Coren.
— Poco fa è arrivato Arn, dicendo che eri tornato. Era eccitatissimo; ho pensato che, dopo avere disturbato qualche misterioso mago nei tuoi vagabondaggi, tu fossi tornato a casa con due teste.