— No.
Si diresse verso quella voce. In fondo al corridoio c’era una porta aperta, da cui giungeva il mormorio di numerose voci maschili. Si fermò accanto alla soglia e spiò nella stanza, alla ricerca di Coren.
Lo scorse infine accanto al fuoco, all’altra estremità della sala. Poi, lentamente, sentendoli parlare, diede un nome anche ai cinque uomini che gli stavano attorno.
— Coren, adesso lei è qui. Per quale altro motivo l’avresti portata, altrimenti?
Colui che aveva detto queste parole, in tono offeso, era un uomo che parlava lentamente; era più alto di tutti gli altri e aveva i capelli color dell’oro e gli occhi verdi come le ali del Drago Gyld. Coren, un po’ irritato, ma paziente, gli rispose:
— Eorth, l’ho portata perché l’amo. Prova a pensare a lei come a un’altra qualsiasi donna del castello…
— Ma lei non è affatto come le altre donne del castello — disse Ceneth. — Pensi che si accontenterebbe di essere considerata una donna comune? Ha dei poteri; deve usarli. Perché allora non può usarli per noi?
— Contro Drede, eh? Ve l’ho già detto e ridetto. Non vuole che si combatta contro Tamlorn.
— E allora? Possiamo mettere Tamlorn sul trono di Eldwold con la stessa facilità con cui può mettercelo Drede.
— Grazie a lei — disse un uomo massiccio, con la faccia arrossata dal gelo e corti capelli argentei — possiamo avere aiuto da Hilt… perfino da Niccon. Nessuno oserebbe opporsi a noi.
— No, Bor.
— Coren — disse Rok — quest’autunno ti sei recato lassù appositamente per convincerla a venire qui. Adesso che l’hai fatto…
— Sì, ma non l’ho fatto per quello! Rok, due giorni fa, ho rischiato di perderla. È stata chiamata, attaccata da un mago potentissimo, e ho temuto di non vederla più. Quando l’ho vista tornare, le ho giurato che, se mai fosse venuta qui nel Sirle, nessuno avrebbe cercato di usarla contro la sua volontà.
— Coren, nessuno desidera usarla contro la sua volontà. Non vogliamo certamente renderla infelice — disse Bor. — Ma certo potresti parlarle… non dico subito, ma un po’ più avanti, quando tra voi ci sarà una buona armonia…
— Credevo che fosse la cosa che desideravi più di ogni altra al mondo. — Colui che aveva interrotto Bor era un uomo piccolo, muscoloso, che fissava Coren con occhi azzurri e scintillanti. — Vendicare la morte di Norrel!
Cadde un breve silenzio. Coren, con i lineamenti tirati, disse:
— Lo pensavo anch’io. Ma adesso preferirei spendere le mie energie pensando alla vita. Per Sybel ho rinunciato a ogni altra cosa. Compreso il mio odio.
“Ho dovuto farlo. Non posso spiegarvene il motivo. In quella sua casa bianca mi sono successe molte cose strane, e la più strana di tutte è che adesso preferisco pensare a Sybel, invece che a Norrel. Se volete fare la guerra contro Drede, dovete rassegnarvi a farla senza di lei. Gliel’ho promesso. Se non potete accettarlo, mandateci pure via tutt’e due da questa casa.”
Dal gruppo si levò un mormorio di dissenso. Rok appoggiò per un istante la mano sulla spalla di Coren.
— Non pensare male di noi — gli disse. — Siamo dei leoni irrequieti e affamati… se ci getti un briciolo di speranza, noi ci buttiamo subito a sbranarlo. Non le chiederemo niente, se è questo che lei desidera. Anche se la tentazione è fortissima.
— Lo so.
Ceneth aggiunse:
— Ci sarà comunque di grande aiuto, anche solo per la luce che porta nella nostra casa… e per la preoccupazione che fa sorgere nell’animo di Drede!
Coren annuì. Si guardò attorno, fissando il cerchio di facce silenziose.
— Non dovrei fidarmi di nessuno di voi — disse. — Ma mi fiderò. Non posso fare altro. Quanto a voi due, Eorth e Herne, aspettate di vederla. Capirete perché le ho promesso una cosa simile.
— Io non lo capirò mai — disse Eorth, schiettamente. — Ma se dici che non ci aiuterà, allora significa che non ci aiuterà. Questo sono in grado di capirlo.
— La cosa che più mi stupisce — disse Ceneth — è che abbia accettato di sposarti, visto come la pensa a proposito di Tamiorn e di Drede. Deve avere un grande coraggio… o un grande amore… per venire in questa tana di lupi senza altri difensori che te.
Coren gli rivolse un sorriso obliquo.
— È perfettamente capace di prendersi cura di se stessa — disse. — Avete visto il Falco Ter.
— Se può chiamare un Falco che ha ucciso sette uomini — rifletté Eorth — allora potrebbe chiamare anche Drede. E noi allora potremmo…
— Eorth — brontolò Bor. — Piantala.
Sybel si allontanò senza fare rumore. Ritornò nella stanza al piano superiore e trovò Lynette, i suoi vestiti, un vassoio di cibo e cinque bambini che la guardarono mangiare.
Rok li sposò quella sera, nella grande sala, che per l’occasione era illuminata da candele sorrette dai bambini dei Principi. Nella penombra, il fuoco crepitava e mandava grandi piogge di faville; lo scoppiettio del focolare era l’unico rumore che si potesse udire oltre la voce precisa e sonora di Rok.
Sybel indossava un vestito rosso fiamma e Lynette le aveva pettinato i capelli in due grandi trecce che poi aveva raccolto in alto, in modo da formare un’argentea corona. Ferma accanto a Coren osservava il riflesso delle fiamme del focolare sui capelli di Rok e sulla pesante catena d’oro che portava al collo, e pensava che la voce del Signore del Sirle si mescolava al rumore del fuoco come il vento con la voce della foresta.
E le ritornò in mente la casa di Maelga, dove lei e Coren, due giorni prima, immersi nel grande silenzio del Monte, avevano ascoltato l’antica formula pronunciata dalla fattucchiera per unire le loro vite:
“Questo legame impongo tra voi: che anche se le vostre menti o i vostri corpi saranno separati, nel vostro cuore sorgerà un richiamo che vi riporterà l’uno all’altra. In nome dei segreti della terra e dell’acqua, questo legame è infrangibile e irrevocabile; per la legge che ha creato il fuoco e il vento, impongo in voi questo richiamo, nella vita e oltre la vita…”
Più tardi, quella sera stessa, prima di partire per il Sirle, lei era rimasta sveglia a lungo; a osservare lo scintillio delle stelle, sotto la cupola di cristallo della sua stanza bianca, e ad ascoltare il suono del respiro di Coren. E, accanto a lui, aveva sentito dileguarsi tutto il buio di quel giorno, aveva sentito scorrerle via dalle ossa la stanchezza.
Infine, quando si era addormentata, aveva dormito profondamente, senza sogni.
— E adesso — disse Rok — affidatevi reciprocamente il vostro nome.
— Coren.
Lei lo guardò e, nella luce rossastra che gli illuminava il viso, scorse una profonda fiamma di ironia, che in passato non aveva visto mai. Gli rivolse lentamente un sorriso, come per accettare la sfida.
— Sybel.
8
Quando la neve si fu sciolta sulla terra sempre più intiepidita dall’approssimarsi della primavera, Rok cominciò a parlare di costruire nel Sirle un giardino in cui accogliere gli animali di Sybel. Un giorno, lei gli mostrò alcuni progetti: i disegni per la caverna del Drago, per il lago del Cigno Nero, e anche quello della sua bianca casa con la grande cupola di cristallo. Il figlio di Ceneth e le figlie di Rok si raccolsero attorno a lei per ascoltare la storia degli animali.
— Il Drago Gyld ha bisogno dell’oscurità e del silenzio; il Cigno, naturalmente, deve avere un laghetto. Il Leone Gules e la Gatta Moriah devono avere un ambiente chiuso, riscaldato d’inverno, per non spaventare le persone e gli animali che li vedono.
“Non so come reagiranno alla presenza di tanta gente intorno a loro: molti uomini hanno dato loro la caccia, specialmente al Cinghiale Cyrin. Sul Monte Eld rimanevano sempre al chiuso. Non posso lasciarli soli, preda degli uomini e dei loro stessi impulsi.