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— No.

Lui sorrise. — Verrò così silenziosamente che solo tu, Gules e Cyrin vi accorgerete del mio arrivo.

— No, non venire — disse lei, preoccupata. — Non capisci…

S’interruppe bruscamente, tendendo l’orecchio verso un rumore che giungeva da dietro la porta chiusa: un lungo miagolio minaccioso.

— Che cosa…

Il Leone Gules si alzò in piedi, ruggendo. Anche Sybel si alzò. Dall’altra stanza giunse uno schianto, accompagnato da numerose voci maschili.

— Coren… — mormorò Sybel. Corse ad aprire la porta e il Leone Gules la precedette e si fermò accanto al focolare. Coren era seduto a terra, disarmato e con tre lame puntate al collo. La Gatta Moriah passeggiava ai suoi piedi e soffiava contro tre uomini che portavano la tunica nera con la stella rossa sul petto che contraddistingueva le guardie di Drede.

Tamlorn, accanto a Sybel, si affrettò a dire:

— Non fategli del male.

I soldati si voltarono lentamente verso di lui, senza perdere di vista Moriah. Uno di loro disse a denti stretti:

— Principe Tamlorn, quest’uomo è uno dei Sirle.

— Li conosci, Tamlorn? — chiese Coren. Una lama gli graffiò la pelle della gola, sotto il pomo d’Adamo, e lui chiuse la bocca.

— Sì, sono le guardie di mio padre.

Tornò a guardare i tre uomini.

— Sono venuto a trovare Sybel — disse. — Non era al corrente del mio arrivo. Le ho detto quello che dovevo dirle, e sono pronto a tornare a casa. Lasciate libero quest’uomo.

— È Coren del Sirle, fratello di Norrel… ha combattuto nella Piana di Terbrec.

— Lo so: se gli farete del male non lascerete vivi questa casa.

L’uomo guardò Moriah e poi il Leone Gules, che li fissava con i suoi occhi d’oro e che ruggiva minacciosamente.

— Il Re è quasi impazzito per la preoccupazione — disse la guardia. — Se non lasceremo libero Coren, saremo uccisi da queste bestie. E se Drede saprà che ci siamo lasciati sfuggire di mano uno dei Sirle, ci ucciderà lui.

— Siete soli?

— No, ma gli altri sono rimasti fuori del cancello. Verranno se daremo l’allarme.

— Allora, non c’è bisogno di dire che qui c’erano anche Sybel e Coren. Io non lo riferirò.

— Principe Tamlorn! È un nemico del Re… un vostro nemico!

— È il marito di Sybel! E se volete attaccarlo davanti a lei, al Leone Gules e alla Gatta Moriah, fate pure. Io posso tornare a casa da solo.

Moriah soffiò di nuovo, e le lame tremarono alla luce delle fiamme. Uno dei tre soldati, all’improvviso, staccò la spada dalla gola di Coren e la puntò contro la Gatta, ma la voce di Sybel lo costrinse a fermarsi:

— Se colpirete Moriah, vi ucciderò.

L’uomo fissò Sybel ; la faccia gli si coprì di sudore.

— Signora, prenderemo con noi il Principe e ce ne andremo, lo giuro. Ma chi ci garantisce che, una volta lasciato libero Coren, potremo allontanarci senza essere assaliti?

Tamlorn fissò per un istante Coren. Poi si inginocchiò davanti a lui e abbracciò la Gatta Moriah.

— Ve lo garantisco io. Adesso, lasciatelo andare.

Le spade si abbassarono. Coren tornò a respirare.

— Grazie.

Tamlorn lo guardò, continuando ad accarezzare la testa a Moriah.

— Consideratelo come un dono di Drede al Sirle.

Poi si alzò e disse alle guardie:

— Verrò a casa con voi. Ma nessuno dovrà fermarsi qui dopo di me, o seguire Sybel e Coren quando si allontaneranno. Nessuno.

— Principe Tamlorn… noi qui non abbiamo visto né Sybel né Coren.

Tamlorn tornò a respirare. — Il mio cavallo è nella stalla. Quello grigio. Portatemelo.

I tre soldati si affrettarono ad allontanarsi, seguiti dal brusio del Leone, del Cinghiale e della Gatta. Sybel si avvicinò a Tamlorn e lo abbracciò, affondando la faccia nei suoi capelli.

— Tamlorn, stai diventando saggio e coraggioso come il Falco Ter.

Lui si scostò leggermente.

— No — disse. — Sto tremando.

Le sorrise e le baciò la guancia. Poi abbracciò il Leone Gules e, nell’udire rumore di zoccoli, si diresse verso la porta.

— Principe Tamlorn — disse Coren — vi ringrazio. Credo che la vostra generosità risulterà assai imbarazzante per mio fratello Rok.

— Spero che l’apprezzi — disse Tamlorn, piano. — Arrivederci, Sybel, anche se non so quando potremo incontrarci nuovamente.

— Arrivederci, Tamlorn.

Dalla finestra, la donna lo guardò montare a cavallo, con il Falco Ter che gli volava sulla testa, e poi confondersi in una folla di figure dal mantello scuro e dalla stella rossa che presto scomparve tra gli alberi. Si girò verso il marito, lo abbracciò e gli posò la testa sul petto.

— Nonostante tutti i miei poteri — gli disse — avrebbero potuto ucciderti prima che mi accorgessi del loro ingresso. E allora, cosa avrebbe detto Rok?

Lui sorrise e le sollevò il viso per guardarla negli occhi.

— Che non dovevo fare affidamento su mia moglie per salvarmi la pelle.

Lei gli toccò la gola. — Sanguini.

— Lo so. E tu tremi.

— Lo so.

— Sybel — disse lui, dopo qualche istante. — Saresti riuscita a uccidere quell’uomo? Lui pensava di sì, ma io non ne ero molto convinto.

— Non so. Ma se avesse ucciso Moriah, l’avrei scoperto.

Sospirò.

— Comunque — riprese — sono lieto che non l’abbia fatto; per lui e per me. In ogni caso, penso che sia meglio allontanarci di qui. Non mi fido di quelle guardie. Prendiamo i libri e andiamocene.

Coren annuì. Rimise a posto una sedia che era caduta a terra, raccolse la propria spada che era finita in un angolo, e la infilò nel fodero. Il Leone Gules era steso accanto al fuoco e brontolava piano. La Gatta Moriah camminava avanti e indietro davanti all’uscio. Sybel le accarezzò la testa; poi, guardandosi attorno, ebbe una strana impressione, come di trovarsi in un edificio vuoto e disabitato.

Disse lentamente:

— Non sembra più la mia casa… sembra attendere che un altro mago, come Myk o Ogam, inizi a lavorare qui nel silenzio.

— Forse ne arriverà uno — disse Coren. Cominciò ad aprire i grandi, robusti sacchi di canapa che avevano portato con loro per trasportare i libri, e aggiunse:

— Spero che i suoi ricordi di questa casa siano migliori dei miei.

— Lo spero anch’io — disse lei, stringendogli il braccio. Poi andò a parlare con il Drago Gyld e con il Cigno Nero, lasciando a Coren l’incombenza di preparare i sacchi.

Il cielo del pomeriggio passò dall’oro all’argento, e poi al grigio cenere. Coren finì il suo lavoro prima che Sybel tornasse. Uscì nel giardino e la chiamò a voce alta. Infine lei venne fuori dagli alberi e lo raggiunse.

— Ero con il Drago Gyld — gli spiegò. — Gli ho riferito che nel Sirle avremmo preparato un posto per lui, e mi ha detto che vuole portare il suo oro.

— Oh, no! Mi vedo già una scia di antiche monete, sparse per terra da qui alla porta del castello!

— Coren, gli ho detto che ce ne occuperemo noi; volerà di notte, quando tutto sarà pronto. Spero che non spaventi le mucche di Rok.

Alzò lo sguardo al cielo profumato color della cenere, e guardò le sagome cupe degli alberi.

— Si fa tardi — disse. — Cosa facciamo? Penso che sia rischioso fermarci in casa di Maelga.

— Certo — rispose Coren. — Drede non esiterebbe a uccidermi, con il rischio di scatenare una guerra, se pensasse di catturarti e di portarti a Mondor. È probabile che i suoi uomini ritornino questa notte a cercarci.

— Allora, cosa fare?

— Ci ho pensato — disse Coren.

— I cavalli sono stanchi. Non possono fare molta strada.