Eorth lo fissò con stupore.
— Un cinghiale — chiese — ti ha detto questo?
— Sì. È un cinghiale che parla.
— Oh, Coren, ci hai raccontato tante storie ridicole, ma questa le batte tutte…
— Non è una storia ridicola. È la verità. Sei tu che non vedi al di là della spada che hai in mano.
— Be’, è la giusta distanza, nelle nostre terre — rispose Eorth.
Poi guardò Sybeclass="underline"
— Sta mentendo? — le chiese.
— Coren non mente mai — rispose la donna.
Eorth la fissò con incredulità. Rok disse, scoppiando a ridere:
— Eorth, non metterti a litigare con i miei ospiti. Anch’io non credevo che Coren potesse presentarsi alla mia porta in groppa a un drago, ma l’ha fatto, e adesso ci credo. Anzi, comincio a cambiare idea su certe cose che ci ha detto in passato.
Coren allungò la mano sul tavolo per prendere quella di Sybel.
— Vedi anche tu che brutta fama avevo — le disse — prima che ci sposassimo.
— Certo. Mi hai sposata per i miei animali. L’ho sempre sospettato.
— Ti ho sposata perché non hai mai riso di me. Eccetto la volta che ti ho chiesta in moglie.
Anche Eorth si appoggiò allo schienale della sedia e sorrise.
— Ha riso di te? Parlaci di quell’episodio, Coren.
— No.
— Ho riso di lui perché pensavo che l’aveste incaricato voi di chiedere la mia mano — disse Sybel. — Poi, quando ho capito che mi amava davvero, ho smesso di ridere.
Ceneth si alzò e si mise a sedere vicino al fuoco. Intorno a loro, dalla grande casa non giungeva alcun rumore; le ombre parevano appese alle pareti come tendaggi.
— Se non starai attento, Eorth — disse Ceneth — Sybel ti farà prendere dal Drago Gyld, che ti lascerà nudo sulla cima del Monte Eld, e nessuno sentirà la tua mancanza.
— Mi dispiace.
— No, non ti dispiace affatto. Sei invidioso perché non hai sposato una donna con un drago.
— Be’ — disse Rok — adesso abbiamo un drago anche noi, in cantina. Mi chiedo cosa avrebbe detto nostro padre, se fosse capitato quando c’era lui.
Eorth rise, alzando le spalle.
— Avrebbe smesso di bere — disse. — Ma, un momento fa, pensavo a una cosa.
— Pensavi? — chiese Ceneth con finta sorpresa. — E che cosa?
— Che se Sybel avesse una figlia, potrebbe sposare Tamlorn e controllarlo; in due generazioni, i Signori del Sirle diventerebbero Re di Eldwold.
— Non credo che Tamlorn sia disposto ad aspettare quindici anni, prima di sposarsi — disse Rok, asciutto.
— Comunque, potrebbe sposarsi con una ragazza del Sirle — disse Ceneth.
— La figlia di Herne, Vivet, compie dodici anni quest’estate.
— Drede non glielo permetterebbe mai.
— Sì? Il ragazzo ha in pugno la volontà di Drede; può convincerlo a fare quello che vuole.
— E chi può convincere Tamlorn a prestarsi a questo piano?
— Sybel, naturalmente.
Coren picchiò la mano sul tavolo, facendo traballare il vino nelle coppe. Stringendo il pugno, fissò i fratelli: Rok, grande e dai folti capelli biondi; Ceneth, dai capelli neri e lisci e gli occhi impassibili come quelli di un gatto; Eorth, lento e possente, volubile come una foglia. Eorth disse, arrossendo:
— Scusa, parlavo a vanvera.
— Certo.
— Anche noi — disse Ceneth, e per un istante rinfocolò la brace con la punta dello stivale. Poi si voltò, posò la mano sulla spalla di Coren e disse:
— Non succederà più.
Coren sospirò e accennò un debole sorriso.
— No — rispose. — Succederà ancora. Conosco questa casa. E so quanto poco valore abbiano le parole, in questi giorni. Come il volo del drago, alla fine mettono solo voglia di dormire.
— Sgradevole, ma vero — disse Rok.
Per qualche tempo, nessuno parlò più. Il fuoco si ridusse a una singola fiamma che danzava sulla brace. Eorth sbadigliò, rivelando denti bianchi e lucenti come quelli della Gatta Moriah.
— È tardi — disse, come se se ne fosse accorto soltanto in quel momento.
Anche Ceneth annuì.
— Vado a dormire.
Passò accanto a Sybel, le prese la mano e la baciò. — Signora, abbiate pazienza con noi.
Lei gli sorrise. — Siete così cortese che non c’è nessuna difficoltà ad averla.
Ceneth li lasciò. Gli altri continuarono a bere quanto restava del vino, mentre le torce si spegnevano pian piano e le ombre si addensavano attorno a loro. Coren posò la coppa sul tavolo e soffocò uno sbadiglio.
— Coren, va’ a letto — gli disse Sybel. — Sei stanco.
— Vieni anche tu.
— Tra un momento. Devo parlare con Rok, a proposito di Gyld.
— Sempre Rok. Ti aspetto.
— E poi voglio fare un bagno.
— Oh, allora…
Tirò indietro la sedia, si alzò in piedi e si sporse sul tavolo per baciarle la fronte.
— Non tenere sveglio Rok per troppo tempo — la avvertì. — Alla sua età, ha bisogno di sonni regolari.
— Alla mia età… — mormorò Rok. — Se non altro, non sono talmente torpido e sordo da diventare facile preda del primo sciocco al servizio di Drede.
— Dei tre primi sciocchi — lo corresse Coren. — Ne sono occorsi tre. Buona notte.
— Buona notte — disse Rok. Accanto a lui, Eorth ciondolava la testa e si lasciava sfuggire di mano la coppa. Rok gliela tolse e la posò sul tavolo.
— Eorth! — lo chiamò, ma l’altro cominciò a russare piano. Rok scosse la testa e tornò a rivolgersi a Sybel.
— Mi spiace di avervi assillato con le nostre richieste — disse. — Coren, comunque, ha ragione. Da quando Drede ci ha fermato a Terbrec, qui si parla molto e si combina poco.
S’interruppe per un attimo.
— Che cosa intendevate dirmi? — riprese poi.
Lei lo guardò attentamente. La sala era buia: la rischiarava soltanto la fiamma di un’ultima torcia. Sullo sfondo del silenzio che avvolgeva l’antica costruzione di pietra, si udiva distintamente il rumore del respiro di Eorth. Sybel si sporse verso Rok; i suoi occhi, nel fissare il Signore del Sirle, erano neri e immoti come la superficie di uno stagno di Fyrbolg illuminato dalla luna.
— Una cosa — disse infine — che non ho mai detto ad alcuno.
Rok non disse niente. Anche Eorth rimase in silenzio per un istante: mentre russava si era sentito improvvisamente mancare il fiato e si era svegliato. Ora li guardava con stupore, battendo gli occhi.
— Eorth, va’ a dormire — gli disse il fratello, seccato.
Eorth si sollevò pesantemente in piedi.
— Vado.
Rok contino a osservarlo mentre si allontanava. Poi si voltò verso Sybel, socchiudendo gli occhi.
— Dite.
Sybel appoggiò le mani sul tavolo e intrecciò tra loro le dita.
— Coren vi ha parlato del mago che mi ha chiamato a sé?
Rok annuì.
— Ci ha detto che eravate stata catturata… chiamata… da un mago molto potente che era attratto da voi, che il mago è morto e che voi siete ritornata libera. Non ci ha detto come è morto il mago.
— Lasciamo da parte, per il momento, questo particolare — disse Sybel. — Coren non sa che il mago era stato pagato da Drede perché mi catturasse e mi rendesse… obbediente ai suoi ordini, in modo che Drede potesse sposarmi senza avere paura di me.
— Obbediente… come?
Lei storse leggermente le labbra, poi tornò impassibile.
— Drede l’aveva pagato per distruggere una parte della mia mente, quella che sceglie e decide di propria volontà. Avrei conservato i miei poteri, ma Drede ne avrebbe avuto il comando. E io sarei stata… felice di obbedirgli.