— Perché avevi bisogno della presenza di mia moglie per raccontare bugie a Derth di Niccon, che non saprebbe riconoscere la verità neppure se gli schizzasse fuori dalla coppa di vino come un salmone che risale la corrente?
— Coren… — disse Sybel, ma lui continuò a fissare la faccia di Rok.
— In questa guerra che state preparando ci sono molti lati oscuri — proseguì Coren. — E comincio ad avere l’impressione che preferirei non conoscerli mai. Come sei riuscito a portare dalla tua parte quel vecchio, Horst di Hilt, che solo questo inverno, allorché mi hai mandato a fargli visita, era terrorizzato da Drede e chiedeva solo di vivere in pace i suoi ultimi giorni, dimenticando la sua povera figlia e il pasticcio da lei combinato con i sentimenti di Drede?
“E perché Derth di Niccon, un uomo cui hai ucciso il fratello maggiore sulla Piana di Terbrec, viene a sedersi accanto a te, beve il tuo vino e fa con te progetti di guerra?
“E perché hai fatto i tuoi progetti prima ancora di parlare con loro? E perché, se tutte queste cose hanno una spiegazione accettabile, non hai avuto la cortesia di dirmela prima che fossi costretto a chiedertela?”
Rok non rispose. Trasse un lungo respiro, abbassando la testa per sfuggire allo sguardo del fratello. Coren strinse i pugni.
— Non raccontarmi un’altra menzogna — disse.
— Coren — disse Sybel.
Lui la fissò, e sul suo volto si disegnò la prima ombra di dubbio.
Per un lungo istante rimasero a fissarsi senza parlare, immobili come la rosa di raggi di luce che scendeva sui fiori calpestati del pavimento.
Poi Coren si allontanò da Rok, uscì dalla sala, scese gli scalini e si avviò nel cortile. Rok lo guardò mentre alternativamente entrava e usciva dalle macchie di sole proiettate dalle alte finestre. Poi sentì il sospiro di Sybel e si voltò verso di lei.
— Che cosa gli avete fatto? — le chiese, dubbioso.
— Non avrei voluto… — mormorò lei, portandosi le mani alla faccia. — Non avrei voluto farlo… non a Coren… non a lui. Ma non sapevo che cosa rispondergli… ed era così facile…
— Ma che cosa gli avete fatto?
— Gli ho fatto dimenticare quello che ha visto, quello che vi ha chiesto. E ora mi pento di averlo fatto.
Cominciò improvvisamente a tremare, e tra le dita con cui si copriva gli occhi le spuntarono le lacrime.
— Mi dispiace. Ma era così facile…
— Sybel… — disse Rok.
— Ho paura.
— Sybel. — Andò fino a lei e le posò gentilmente le mani sulle spalle. — È stato come raccontargli una bugia, niente di più.
— No! No! Gli ho tolto alcune cose dalla mente, come Mithran voleva fare con me! È una cosa che nessuno dovrebbe fare mai, né per odio né per amore!
— Ss! Oggi siete stanca per il lavoro di questa mattina e dimenticate lo scopo che ci siamo prefissi. Per Coren non è stato un gran danno. Per lui è meglio così, e non ci sarà bisogno di rifarlo.
— Ho paura.
— No. Non gli avete fatto niente, è stata come una piccola bugia… non lo rifarete più.
— No.
— Allora, non dovete preoccuparvi.
Lo sguardo di Sybel, che fino a quel momento era rimasto puntato sulla porta da cui era uscito Coren, ritornò a fissarsi sul volto del cognato.
— Non capite — gli disse. — Lui… lui mi crede onesta. E io gli ho mentito fin dal giorno in cui ci siamo sposati.
Abbassò improvvisamente lo sguardo sulle braccia di Rok, come accorgendosi solo allora che la teneva per le spalle. Si staccò da lui e corse fuori.
Vide che Coren stava uscendo in quel momento dalla porta principale del castello e si dirigeva verso i campi. Gli corse dietro, nel cortile, passando davanti alle nuvole di vapore che uscivano dalla fucina del fabbro, ai colpi di martello provenienti dalla bottega del falegname, alle facce stupite dei contadini e dei soldati che si facevano da parte per lasciarla passare.
Coren si sentì chiamare e si fermò sulla strada coperta di polvere. Attese che Sybel lo raggiungesse, e, quando lei si avvicinò, un sorriso gli spuntò sulle labbra. Tese le braccia per abbracciarla, e lei gli premette la guancia contro la spalla.
— Stringimi — gli sussurrò, e le braccia di Coren formarono intorno a lei un cerchio di pace. Lui la sentì tremare.
— Che cosa ti è successo?
— Niente. Stringimi.
— Hai pianto.
— Sì.
— Perché hai pianto?
Lei aprì gli occhi: fissò i campi bruciati dal sole e il cielo color turchino ardente. Sentì che Coren la stringeva ancora più forte.
— Pensavo — mormorò lei, e le parole le bruciarono nella gola — a cosa avrei provato se fossi rimasta senza di te… e non ho potuto sopportarne l’idea.
— Sybel, cosa posso dire per confortarti? Non avremo conforto finché questa guerra non sarà finita. Ma avevi ragione: Rok non è affatto impazzito, e il Sirle ha una speranza di vittoria, grazie a qualche magia che non riesco a concepire.
“Perciò, forse sarà una guerra molto breve… anche se la cosa non ti può essere di molta consolazione, dato che Tamlorn sarà coinvolto in qualsiasi caso. Ma sono felice che tu mi voglia ancora bene, tanto da piangere per me nonostante i tuoi timori per lui.”
— Ti voglio bene. Ti voglio bene.
Si sciolse infine dal suo abbraccio e lui lasciò ricadere le braccia e si guardò attorno, perplesso.
— Ho dimenticato perché sono venuto qui. Mi sono spaventato, quando ti ho visto correre verso di me, con i capelli che sembravano una scia d’argento e la faccia bagnata di lacrime.
— Già. Te l’ho fatto dimenticare — bisbigliò lei senza che Coren la sentisse. — Mi dispiace.
Lui l’abbracciò di nuovo, e insieme ritornarono al castello. Intorno a loro, mentre attraversavano un campo di grano, si levò un volo di corvi neri.
Quella sera, Sybel parlò ai suoi animali. Aveva chiamato da Mondor anche il Falco Ter, che era giunto al crepuscolo ed era piombato come una meteora dal cielo, già azzurro cupo per l’avvicinarsi della notte. Il Falco si posò su un ramo, tra le fitte foglie verdi dell’estate, e lei gli disse:
“Ter, parlami di Drede.”
“È un uomo atterrito fino in fondo al cuore, fino al midollo delle ossa” disse il Falco dagli occhi scintillanti. “Grida, nel sonno, tiene sempre accesa qualche torcia nella sua stanza. Ha paura delle ombre notturne. Dietro i suoi occhi vedo sempre più infittirsi una paura che va ben oltre il timore della battaglia, come una spessa coltre di ghiaccio invernale. Si mormora che stia diventando matto, ma lui cerca di non dare esca a queste voci, e parla il meno possibile.”
“E Tamlorn?” chiese Sybel.
“Tamlorn si limita a osservare. Mi porta sempre con sé; parliamo fino a tardi, la sera, e a volte si addormenta mentre ancora sta parlando. Vorrebbe che tu aiutassi Drede. Mi ha detto di chiedertelo. È disperato.”
“E tu?”
“Io sono pronto.”
“Sta’ attento a ogni parola che possa essere utile a Rok. Nel corso della battaglia, ti voglio al fianco di Tamlorn, per proteggerlo.”
Sollevò la testa e chiamò il Cigno Nero. Il Leone Gules venne ad accucciarsi ai suoi piedi e accanto al Leone si acciambellò anche la Gatta Moriah; poi, con un tocco della mente, Sybel svegliò il Drago Gyld nella sua caverna. Infine anche il Cinghiale Cyrin, luccicante in mezzo all’ombra, uscì dagli alberi e si diresse verso di lei.
Per un lungo momento che mise alla prova la forza e la resistenza della sua mente, tendendo la sua concentrazione fino ai limiti, Sybel tenne ferme le sei menti orgogliose e inquiete dei suoi grandi animali.
“Ascoltate. Quando il Signore del Sirle e i suoi fratelli usciranno dai confini del loro territorio per attaccare battaglia, il Falco Ter e il Cigno di Tirlith voleranno a Mondor, per raggiungere Tamlorn. Da quel momento in poi, a ogni istante, il Cigno dovrà essere pronto a portarlo sul Monte Eld, in caso di pericolo.