Maelga si fece scorrere tra le dita i lunghi fili d’erba. Nel sentire il discorso di Sybel, aveva corrugato la fronte, ma disse solo:
— Sei felice, allora, con il Principe del Sirle?
— Sì. Non desidererei nessun altro, mai. Vorrei dargli dei figli, se… se li vorrà ancora, una volta finito tutto questo.
— Non ne aspetti nessuno?
— No. — Tornò a sedere sull’erba. — Ma forse è meglio così, per il momento. Qui sono felice, Maelga. La gente mi vuole bene, e i bambini e le donne mi sembrano così luminosi, così contenti, in mezzo a queste pietre grigie. Sento la mancanza dei venti forti e ruggenti, dei chiari ruscelli e delle tranquille radure del Monte Eld; anche gli animali ne sentono la mancanza, a volte, ma, complessivamente, siamo abbastanza soddisfatti, qui tra gli uomini.
“Rok mi ha messo a disposizione una stanza, in cima al castello, con finestre rivolte a nord, a est e a sud, e lassù ho portato i miei libri. Vado in quella stanza a leggere e a mandare i miei richiami. E sento anche la tua mancanza: non posso correre da te per farmi consolare. Anche se non c’è nessuno, in questo periodo, che potrebbe darmi conforto.”
Maelga si spostò una ciocca di capelli che le era scesa sulla fronte.
— Anch’io sento la tua mancanza. Però mi rendo conto che non sei più una bambina. Sei diventata una regina fra gli uomini. Non saresti più felice tra i sassi e gli alberi del Monte.
“Ma a volte mi pare di vedere la tua figura, che scivola a piedi nudi tra le grandi colonne dei pini, con un bambino dai grandi occhi che le corre al fianco. E questa tua immagine mi induce a fermarmi e a sorridere. E poi ricordò che sono solo ombre, che i miei bambini sono diventati grandi e si sono allontanati da me, sono andati per la loro strada…”
Sospirò, agitando come ali le lunghe mani.
— Ma sono stata fortunata ad averti avuta con me — concluse.
Sybel afferrò delicatamente quelle mani inanellate color della pergamena.
— E io sono stata fortunata ad avere te — disse piano. — Ero orgogliosa e selvatica come i miei animali, il giorno che sono entrata in casa tua. La poca educazione che ho, mi è stata insegnata da te e da Tamlorn, e, più tardi, da Coren.
“Ma sono ancora selvatica, orgogliosa come mio padre e come mio nonno prima di lui, nel mio profondo, là dove vola libero quel bianco falco che nessuno può catturare. Questo orgoglio che sta dentro di me grida vendetta per sempre… l’orgoglio delle mie conoscenze e del mio potere.
“Lo stesso orgoglio ha portato Myk ad allontanarsi dagli uomini e a isolarsi sul Monte Eld per costruire la sua casa bianca e catturare la perfezione. Ma, grazie a te e a Tamlorn, ho imparato ad amare qualcosa, e non solo la pura conoscenza. E Coren mi ha insegnato la gioia. Può darsi che io non sia tanto capace di amare, Maelga, ma è solo colpa mia… perché gli insegnanti che ho avuto sono stati bravissimi.”
— Mia bianca bambina — mormorò Maelga — quando sei scomparsa dalla tua casa, quella sera, ho pensato che non ti avrei mai più rivisto, e anche se il mio cuore è ormai avvizzito, ho provato un immenso dolore. E quel dolore torno a provarlo oggi. Ti inoltrerai di nuovo nella notte e, quando alla fine ti rivedrò, troverò davanti a me gli occhi di un’estranea.
— Per te sarò un’estranea, Maelga, ma io non mi sono mai sentita così vicina a me stessa. È terribile a dirsi, ma il senso di trionfo che provo è talmente grande che non riesco neppure ad averne paura. È come se nei miei pensieri fossi il Drago Gyld, che vola in alto, nel cielo oscurato dalla notte, ed è immenso, possente, irresistibile, orgoglioso di tutti i suoi ricordi di battaglie, di uccisioni, di furti, di canti in cui il suo nome è pronunciato con terrore e reverenza. In tutto il mondo non c’è nessuno che possa fermare il trionfo del mio volo notturno. Quando il volo sarà finito, questa cosa dentro di me troverà un posto dove raggomitolarsi a dormire e io potrò dimenticarmene.
— Ma riuscirai a dimenticartene? — chiese la vecchia. — Rok continuerà a chiederti sempre nuovi interventi… gliel’ho letto in quei suoi occhi da Leone. E Tamlorn… spingerai anche Tamlorn a chiederti di usare il tuo potere.
— No. Tamlorn è buono. E Rok mi lascerà tranquilla, per amore di Coren.
— Ne sei certa? E sei certa che, a quel punto, vorrai ancora bene a Coren?
— Gliene vorrò ancora. Come gliene voglio adesso — disse Sybel.
— Ma stai volando da sola, lontano da lui… mi chiedo se sarai disposta a ritornare a terra, dopo il tuo volo.
Sybel sospirò. Lasciò la mano di Maelga e si passò la punta delle dita sugli occhi.
— Sono stanca — disse — di questo carosello incessante di domande, di perplessità, di “ma” e di “se”. Prima darò fuoco all’Eldwold, e solo in un secondo tempo controllerò se sono rimasta intrappolata nel cerchio di fiamme o se invece sono al sicuro, fuori… Maelga, anche tu devi essere stanca, dopo tutta quella strada a piedi. Vieni nelle mie stanze; potrai mangiare, lavarti, riposare.
— No, non voglio riposare in questa casa.
— D’accordo. Se non vuoi rimanere con me, Rok ti farà accompagnare da qualcuno in casa di Herne o di Bor.
Maelga le diede un colpetto affettuoso sulla mano. Si alzò in piedi, un po’ a fatica, e si spazzolò dal vestito i fili d’erba.
— No — rispose. — Rimarrò a riposare qui, per un poco, con i tuoi animali. Mi andrò a sedere vicino al Cigno Nero. È così bello, quel suo laghetto. Non mi sono mai piaciute le case degli uomini… è così complicato entrare e uscire.
Sybel le scoccò un sorriso.
— Certo — disse.
La prese sottobraccio e si recò con lei fino al lago. Il Cigno Nero scivolò maestosamente sull’acqua verso di loro.
— Vado a prenderti qualcosa da mangiare e del vino — disse Sybel. — Se vuoi dormire qui, stanotte, resterò con te.
Maelga si sedette sulla riva del laghetto.
— Oh, che stanchezza. Il sole è così dolce, d’estate, sulla pelle di una vecchia. E tu sei ancora gentile, quando non si tratta dei tuoi poteri. La cosa mi consola.
— Tornerò presto — promise Sybel.
— Non c’è fretta, bambina mia. Farò un sonnellino.
Maelga chiuse gli occhi e Sybel si recò al cancello senza far rumore, altrettanto silenziosamente lo chiuse e si girò per allontanarsi. Poi, quando alzò lo sguardo, scorse davanti a sé la figura di Coren. Trasalì di sorpresa.
— Oh…
Lui allungò lentamente le mani e la prese per le braccia. L’osservò attentamente in viso, aggrottando le sopracciglia, perplesso, come cercando di leggere qualche antica parola che non riusciva a decifrare. Poi inspirò profondamente e disse:
— Sybel, cosa stai facendo?
11
Sybel sentì una gelida stretta al cuore; il sangue le si raggelò e prese a scorrerle più lentamente nelle vene. Si portò un dito alle labbra e si accorse che tremavano; le parve di avere la gola secca come la polvere del deserto.
— Calmati, Coren. Maelga sta dormendo.
— Sybel!
— Lasciami andare. Non ho intenzione di mentirti.
Lentamente, lui la lasciò andare. Strinse i pugni e li abbassò. La fissò, e Sybel vide i riflessi del sole sui suoi occhi e il rossore delle sue guance. Poi Coren cominciò a parlare lentamente, pronunciando con attenzione le parole:
— Sono andato nelle…
— Ss!
— Sono stato zitto per troppo tempo! Sono andato nelle stalle, e c’erano Ceneth e Bor. Bor si stava sellando il cavallo per ritornare a casa. Li ho sentiti pronunciare il tuo nome… ridevano, dicendo che hai fatto venire in casa di Rok il vecchio Signore di Hilt e lo hai reso docile come un bambino.