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Coren si staccò da lei; abbassò le mani.

— Dunque, lo desideri fino a questo punto — disse. — Hai imparato quello che temevi imparasse Tamlorn: il gusto del potere. Bene, fa’ la tua guerra. Ma non so cosa ti resterà, quando sarà finita.

Girò le spalle e si allontanò. Sybel, senza parole, lo guardò uscire. Poi, quando non fu più in grado di vederlo, si accostò al tavolo e si lasciò cadere su una sedia. I due uomini la fissarono, convinti che stesse per piangere.

Qualche istante più tardi, vedendo che si limitava a rimanere lì immobile, Ceneth riempì di vino una coppa e la spinse fino a lei. Sybel la toccò, senza bere, e la fissò con occhi vacui. Infine bevve un sorso che le riportò un po’ di colore alle guance.

Ceneth si passò le mani fra i capelli neri.

— Mi spiace — disse. — Raccontare tutto nella stalla, come due bambini… Quello sguardo l’ho visto in più di un uomo ferito, ma mai sul volto di un uomo ritto sulle proprie gambe. E poi, deve ancora nascere la donna che non complotta, almeno un poco, alle spalle del marito.

— Allora — disse Sybel — sono come tutte le altre donne. È una consolazione. Solo che Coren non è come gli altri uomini.

Con la punta delle dita, si massaggiò per un istante gli occhi.

— Non voglio parlarne — riprese. — Vi prego. Facciamo in modo di finire in fretta. Quando avrà pronte le barche, Derth di Niccon?

— Tra una settimana, forse. Gli occorre tempo per raccogliere gli uomini.

Lei sospirò.

— Allora — disse — dovrò imparare a guardare Coren negli occhi. Sono lieta di non dover guardare in quelli di Tamlorn.

Rok, dall’altro lato del tavolo, le sfiorò la mano.

— Potremmo finire senza di voi — disse — adesso che abbiamo Hilt e Niccon.

— No.

Sorrise senza alcuna gioia.

— Devo ancora catturare un Re. Dobbiamo soffrire insieme, io e Drede… e poi non so che cosa succederà.

Chinò la testa, appoggiandosi la fronte sulle mani.

— Non so — ripeté.

— Sybel. Vi perdonerà. Comprenderà che vi è stata fatta un’offesa terribile, e vi perdonerà.

— L’unica cosa di cui deve farsi perdonare — disse Ceneth — è di non avergli permesso di attaccare Drede di persona, per vendicare la propria moglie.

Sybel fece un gesto di irritazione.

— Non l’ho sposato — disse — perché era facile a incollerirsi ed era svelto di spada.

— Ma, Sybel, se lo amate, dovreste sapere queste cose. Lo avete profondamente ferito nell’orgoglio.

— Io sono stata ferita ancora di più. Coren pensa che non lo ami, e forse ha ragione. Non so. Non so più dire che cosa sia l’amore. Mi comporto senza alcuna pietà verso coloro che amo di più, Tamlorn e Coren, e non posso fermarmi solo per il loro bene. Tutto deve continuare a trascinarsi, pesante e faticoso, fino alla sua irreversibile conclusione.

— Vi ama molto — disse Rok, in tono gentile — e avrete moltissimi anni per imparare a vivere l’uno con l’altra.

— O l’uno senza l’altra — disse Sybel.

Fece per alzarsi.

— Ero venuta a cercare qualcosa da mangiare per Maelga. Non vuole entrare in casa, ma sta riposando in giardino.

Si alzò in piedi. Per un attimo rimase in silenzio, pallida in volto, appoggiando la mano alla tavola come se non riuscisse a muoversi. Rok la toccò, e lei abbassò gli occhi su di lui come se si fosse dimenticata della sua esistenza.

— Non deve avere paura di voi — disse Rok. — E credo che lo amiate, davvero, altrimenti non sareste così triste. Abbiate pazienza. Presto, tutto sarà finito.

— Presto è una parola tanto lunga — mormorò lei.

Si recò nella cucina, prese del pane, un po’ di formaggio, frutta, carne e vino per Maelga, e portò il vassoio in giardino. Si fermò davanti al cancello aperto, guardò in mezzo agli alberi, ma vide solo il Leone e la Gatta che passavano sinuosamente fra i tronchi, seguendo un loro misterioso gioco, e il Cinghiale Cyrin che dormiva al sole. Inviò un messaggio mentale al Cigno Nero:

“Dov’è Maelga?”

“La strega si è svegliata e se n’è andata” rispose il Cigno. “Ha detto che il mondo era troppo grande per lei.”

Sybel aggrottò la fronte, impensierita. Andò da Cyrin e lo svegliò.

“Maelga ha detto qualcosa, per spiegare perché è andata via?”

“No” rispose il Cinghiale. “Ma quando il Signore di Dorn entrò nella buia casa del Signore degli Enigmi…”

— Lo so, lo so — terminò Sybel stancamente. — Non accettò né cibo né vino, e non vi passò la notte… Cyrin, il cibo della mensa di Rok è del tutto innocuo.

Continuò a fissare il vassoio finché non le parve qualcosa di sconosciuto, proveniente da un altro mondo. Poi, afferratolo con entrambe le mani, girò su se stessa e lo scagliò in mezzo agli alberi: vino, carne e pane caddero tra le foglie come pioggia, e il pesante vassoio d’argento descrisse nell’aria un arco di rapide volute, finché non toccò terra, sonoramente, accanto al Leone e alla Gatta. I due animali la guardarono con sorpresa e si immobilizzarono. Lei restituì loro l’occhiata, con sorpresa quasi pari alla loro. Poi girò sui tacchi e si allontanò.

Sybel sedeva accanto alla finestra, intenta a ricamare un falco bianco sul mantello di Coren, e guardava il lento calar della notte sulle foreste del Sirle. Infine vide Coren, che giungeva al galoppo attraverso i campi: la sua figura era una forma scura sotto il cielo azzurro cupo. Nell’aria tranquilla si levò il grido con cui il Principe del Sirle avvertiva le sentinelle, seguito dal rombo del ponte levatoio che veniva abbassato. Poco più tardi, Sybel udì echeggiare i suoi passi lungo il corridoio.

Le mani le ricaddero in grembo; alzò gli occhi in direzione della porta chiusa. Lui l’aprì e, vedendo la moglie, ebbe un attimo di esitazione. Poi entrò e chiuse la porta.

— Perché non sei scesa a mangiare? — le chiese.

— Non avevo fame — rispose Sybel.

Guardò il marito, e vide che si versava del vino.

— Dove sei andato? — domandò.

— Nella Foresta di Mirkon. Sono rimasto a sedere e a giocare con una pietra, che però non mi ha insegnato niente. Vuoi del vino?

— Grazie.

Le portò la coppa e si sedette accanto a lei, alla finestra. Lei lo osservò mentre beveva: il suo volto era tranquillo e pallido alla luce delle candele.

Coren posò la coppa e sollevò un lembo del mantello che lei stava ricamando.

— Ci sono ancora delle cose che non capisco, in questa guerra tua e di Rok. Devi avere fatto venire qui anche il Signore di Niccon… da solo, non sarebbe certamente venuto.

— Sì.

Nel dirlo, Sybel sentì un nodo alla gola; inghiottì a vuoto. Aggiunse:

— E ti devo confessare anche un’altra cosa, per essere del tutto sincera.

Lui la fissò con uno sguardo carico di apprensione, ma mormorò solo:

— Dimmela.

— Tu hai visto Derth… Stavi per capire cosa facevamo, il giorno in cui è venuto. Hai chiesto spiegazioni a Rok, dopo avere scoperto che ti aveva mentito a proposito di Eorth, e… ho letto nei tuoi occhi il dubbio, quando mi hai guardato.

— Non ricordo.

— Non ricordi perché te l’ho fatto dimenticare.

— Me l’hai?…

— Ti sono entrata nella mente. Ho trovato quei ricordi e te li ho tolti: dopo, per te, è stato come se non fosse mai successo.

Coren rimase senza parole.

— Te lo dico — spiegò Sybel — perché tu capisca che è successo una volta e che non succederà più.

— Capisco — mormorò lui.

Si portò la coppa alle labbra; le mani gli tremavano leggermente. La posò sulle pietre, vicino a loro.

— Non pensavo che saresti arrivata a farmi una cosa simile…