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In mezzo all’assoluto silenzio, si diresse alla grande stanza dal soffitto a cupola, e vide sopra di sé la pallida concavità di cristallo, trasparente come la luce lunare.

Lì sedeva una donna dai capelli color della brina sfiorata dal sole. Era immobile come se fosse stata incastonata nel ghiaccio. I suoi occhi neri erano aperti, ma non vedevano.

Le si avvicinò senza fare rumore, camminando sullo spesso tappeto di pelliccia. Si inginocchiò davanti a lei, la fissò negli occhi.

— Sybel?

La toccò con la punta delle dita, esitante, aggrottando le sopracciglia. Il volto pallido della donna, su cui si distingueva chiaramente il disegno delle ossa, pareva fatto di pietra, tanto era immobile e impenetrabile. Le mani sottili erano strette insieme. Lui la fissò, e cominciò a massaggiarle vigorosamente le braccia e le gambe. Si lasciò sfuggire un lamento, poi prese fiato e gridò:

— Sybel!

Lei trasalì, si scosse debolmente, e le tornò in faccia un po’ di colore. Lo fissò, e lui sorrise, con un tale senso di sollievo da non riuscire a trovare parole. La donna si voltò leggermente verso di lui. Dal velo di capelli che la nascondeva, una mano si protese ad accarezzarlo.

— Tamlorn…

Lui annuì. — Sì. — Lei gli passò le dita sulla bocca, gli accarezzò una spalla. Poi lasciò cadere il braccio e abbassò lo sguardo, traendo un lungo, interminabile respiro.

— Sybel — disse il ragazzo. — Ti prego. Non ritornare dov’eri. Parlami. Di’ il mio nome.

Lei si coprì gli occhi con le mani. — Tamlorn.

— Adesso, Sybel, sono Tamlorn Re di Eldwold.

Solo in quel momento lei lo vide chiaramente: fermo accanto a lei, con le mani sulle ginocchia, i capelli elegantemente tagliati, la faccia lunga e sottile. Vide la fermezza delle sue labbra, le ombre sotto i suoi occhi e l’espressione tesa. L’elegante tunica nera che indossava faceva apparire più scure le sue pupille. Lei fece per alzarsi, e si sentì tutte le articolazioni rigide.

— Perché mi hai riportato indietro?

— Dove eri andata, Sybel? E perché l’hai fatto? Perché?

— Non avevo altri posti dove andare.

— Sybel, sei così magra. Mi hanno detto che non eri più nel Sirle, ma dovevo trovarti, per chiederti una cosa. Perciò sono venuto qui, e il cancello era chiuso. Mi sono arrampicato sul muro, ma ho trovato chiusa anche la porta. Ho rotto il vetro di una finestra e sono entrato, e quando ti ho trovato non sono riuscito a raggiungerti. Eri immobile, come se fossi di pietra, e mi fissavi senza vedermi. Sybel, dove eri andata? È stato per… per quello che ti ha fatto mio padre?

— È stato per quello che mi sono fatta io.

Tamlorn scosse la testa, come per cacciare via quella risposta, e le scostò delicatamente i capelli, una ciocca alla volta, per guardarla in faccia.

— Mio padre mi ha confessato ciò che ti ha fatto.

— Ti ha confessato…

— Sì. La notte prima della battaglia. Mi ha detto, Sybel, che aveva paura di te… Non mi sembrava più lui, in quegli ultimi giorni. Poi, quando mi ha spiegato tutto, ho capito.

S’interruppe per un istante e storse involontariamente le labbra. Poi tornò a guardarla.

— Mi ha detto che quel giorno è salito in cima alla torre per venirti a prendere, e che ha trovato la porta aperta. È entrato nella stanza del mago e ha visto che eri sparita… ma il mago era steso sul pavimento, e gli occhi… gli erano stati strappati via, e non aveva più un osso intero.

“In quel momento ha cominciato ad avere paura di te.

“E poi ti sei sposata con Coren del Sirle. Dopo il tuo matrimonio, Drede parlava solo per dare ordini, per consultarsi con altre persone. Mi rivolgeva raramente la parola, ma a volte, quando sedeva solo nelle sue stanze, con tutte le torce accese, senza fare niente, con lo sguardo perso lontano, io andavo a sedergli accanto, senza parlare, perché sapevo che voleva avermi vicino.

“Non mi diceva niente, ma a volte mi metteva una mano sui capelli, o sulla spalla, e per un attimo ritornava a essere sereno.

“Sybel. Io gli volevo bene. Ma chissà perché, quando mi ha detto quello che ti aveva fatto, non ne sono rimasto sorpreso, perché avevo capito che eri in collera con lui per qualche sua colpa. Era troppo tardi perché la cosa mi stupisse, e poi… quella notte è morto.”

Si staccò da lei. Sybel, guardandolo in faccia, si sentì arrossire.

— Tamlorn — gli chiese infine. — Come è morto?

Il ragazzo tirò un profondo respiro e le disse:

— Sybel, so che non sei stata tu a uccidere quel mago. Non so come sia morto, ma penso… penso che la cosa che ha ucciso il mago abbia anche ucciso Drede.

Lei rabbrividì.

— Dunque — bisbigliò — quella notte si è recato anche in altri posti, oltre che nella casa di Coren.

— Chi? L’hai visto anche tu?

Lei non gli rispose, e Tamlorn l’implorò:

— Sybel, ti prego! Devo saperlo. Drede giaceva sul pavimento e su di lui non c’era neppure una ferita, ma ho visto l’espressione che aveva sulla faccia, prima che la coprissero. Hanno detto che gli si è spezzato il cuore, ma credo che sia morto di paura.

Sybel mormorò una parola inudibile, poi chinò la testa.

— Tamlorn, mi dispiace.

— Sybel, che cosa ha visto, prima di morire? Che cosa lo ha ucciso?

Lei sospirò.

— Tamlorn, quel mago, quel Re e io abbiamo visto la stessa cosa. Gli altri due sono morti, ma io sono viva, anche se sono stata talmente lontana da me stessa che non credevo di fare più ritorno.

“Sono andata oltre il confine della mia mente. È una specie di fuga dal mondo. Non posso dirti come sia fatta quella Creatura; so soltanto che, quando l’ha guardata, Drede ha visto quello che c’era in lui stesso, e questo lo ha ucciso. Lo so perché anch’io, per poco, non ho rischiato di distruggere me stessa.”

Tamlorn tacque per qualche istante. Poi disse:

— Ma tu avevi il diritto di essere in collera.

— Sì. Ma non di fare del male a coloro che amo, o a me stessa.

Gli accarezzò il viso, gentilmente.

— Sono stata così contenta — gli disse — di sentirti nuovamente pronunciare il mio nome. Pensavo… anzi, ero certa che fossi in collera con me per ciò che ti ho fatto.

— Tu non mi hai fatto niente — rispose Tamlorn.

— Ti ho messo in mano al Sirle come una pedina indifesa. Non sono riuscita a fermare la mia corsa.

Tamlorn scosse leggermente la testa, sorpreso.

— Sybel, io non sono affatto nelle mani di Rok. Ho dei consiglieri, ma non c’è nessun reggente. In caso di morte di Drede, suo cugino Margor doveva governare finché non avessi compiuto i sedici anni, ma è scomparso. La stessa cosa è successa ai generali di mio padre. E anche a Horst di Hilt, a Derth di Niccon, a suo fratello e ai loro capitani. E ai sei Principi del Sirle e ai loro capi militari…

Lei gli afferrò il braccio, e gli chiese ansiosamente:

— Tamlorn, che cosa gli è successo? Sono morti in battaglia?

— Sybel, lo sai tu che cosa gli è successo. Devi saperlo. Nell’accampamento fuori Mondor, dove avrebbe dovuto trovarsi mio padre, è arrivato il Leone Gules. Al loro ritorno in città, i pochi che lo hanno visto e che non lo hanno seguito non avevano parole per descrivere il suo manto dorato e la sua criniera di fili di seta, i suoi occhi che brillavano più del sole.

“Uno di loro, un cantore soldato, ha già composto una ballata in cui si parla di Gules che compare dinanzi a venti generali disarmati, sull’altra sponda del Fiume Slinoon, al primo sorgere dell’alba… e ho anche sentito un canto in cui Moriah arriva al campo di mio zio Sehan, a occidente di Hilt, e canta con voce più dolce di quella di una fanciulla affacciata a un balcone tappezzato di velluto… Sybel, non dirmi che non lo sapevi!”