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— No, no, non lo sapevo.

Si alzò in piedi e si portò le mani alla bocca.

— Quella notte — disse — ho reso loro la libertà.

Lui la fissò, come pensando di non avere capito bene.

— Perché? — le chiese.

— Perché… li avevo traditi. E gli arpisti del Sirle che cosa cantano? Il Cinghiale Cyrin?

Tamlorn annuì.

— Dicono che i sei Principi del Sirle e i loro comandanti sono partiti per dare la caccia al cinghiaie nella Foresta di Mirkon, invece di scendere in battaglia. E il Drago Gyld… ha spaventato tutti. Nei pressi di Hilt si era già accesa la battaglia tra gli uomini di Horst e quelli di mio zio, Sehan, e Gyld è piombato in volo su di loro, rompendo qualche schiena e bruciando qualche soldato.

“Allora, tutti sono scappati via. Non avevo mai visto Gyld soffiare fiamme, fino ad allora. È poi venuto in volo su Mondor, ed è calato sulle barche che erano entrate in città… ne era giunta solo una manciata, senza ordini, e volevano saccheggiare la reggia di Drede. Il Drago Gyld ha dato fuoco alle barche, e i soldati hanno guadagnato a nuoto la riva… quelli che non avevano l’armatura pesante.

“Gli abitanti della città si sono rintanati in casa per paura di Gyld, e io sono rimasto sotto la sorveglianza dei miei uomini finché non ho detto al Falco Ter che volevo uscire, e allora lui ha allontanato le guardie.

“Sono andato sulle mura e ho visto Gyld che volava sopra Mondor, con le ali verdi e il corpo dorato. Poi Ter si è allontanato e mia zia Illa ha mandato alcune persone a prendermi.

“A Niccon, il Signore ha posato la spada, imitato da suo fratello Thone di Perl e dai loro capitani riuniti in consiglio, e hanno seguito il canto di un Cigno. I cantori di Niccon dicono che era come un mormorio d’amore in un tiepido giorno d’estate, quando tutte le api ronzano dolcemente… Sybel, non sei stata tu, a ordinare loro di farlo?”

— Li ho lasciati liberi di fare quello che volevano — disse lei. — Tamlorn, io ti avrei giocato un bruttissimo tiro, facendoti diventare un re travicello nelle mani del Signore del Sirle…

Si passò stancamente le mani sulla fronte.

— Mi hai riportata in questo mondo, ma non so a che scopo. I miei animali sono scomparsi, ho perso Coren, ho perso anche me stessa… ma almeno è piacevole sentire di nuovo la tua voce, rivedere il tuo sorriso.

Tamlorn si alzò. L’abbracciò, posando la guancia sui suoi capelli.

— Sybel — disse — ho ancora bisogno di te. Devo sapere che tu sei qui. Molta gente conosce il mio nome, ma solo due o tre persone mi conoscono veramente. Tu non mi hai fatto niente di terribile… e anche se me lo avessi fatto, ti amerei lo stesso, perché ho bisogno di amarti.

— Tamlorn, sei proprio un bambino… — mormorò lei.

Gli prese la faccia tra le mani, e Tamlorn sorrise: un sorriso che gli fece brillare gli occhi grigi come il sole dietro la foschia.

— Certo — le disse. — Per questo non devi più andartene. Ho perso Drede, e non voglio perdere anche te. Sono un bambino perché non penso a quello che avete fatto, ma soltanto che vi amo.

Si staccò dal suo abbraccio. Il sole dilagò attraverso la cupola, dando un colore di fiamma alla bianca pelliccia che avevano sotto i piedi.

— Sei così magra. Dovresti mangiare qualcosa.

— Anche tu sei magro, Tamlorn. Hai avuto delle preoccupazioni.

— Sì. Ma sto anche crescendo.

La prese per mano e la portò fino al focolare. Lei si sedette davanti alla griglia vuota; lui si appoggiò al bracciolo dell’altra sedia, e la guardò.

— Maelga sa che sei qui?

— Non saprei. Forse è venuta, ma io non l’ho vista.

— Ti sei chiusa in casa, ma volendo si poteva entrare lo stesso. Sybel, dovremmo scendere da Maelga e farci preparare qualcosa.

Lei sorrise e tutto il suo viso si addolcì.

— Hai ragione, Tamlorn. Io ho perso tutto; tu sei un Re in posizione precaria, i cui consiglieri corrono in cerchio in cupe foreste alla ricerca di animali favolosi; io non so cosa ci porterà il domani, ma adesso ho fame e dobbiamo andare a mangiare.

La maga dai capelli d’argento e il re bambino lasciarono la casa, inoltrandosi in mezzo agli alti alberi sussurranti; sopra di loro, mentre camminavano, la nebbia si alzò di nuovo a coprire il Monte Eld, nascondendone la nuda, terribile vetta coperta di ghiaccio.

Maelga li accolse ridendo e piangendo insieme, passandosi le mani tra i capelli spettinati. Rimasero con lei fino a tardi, a parlare, finché il crepuscolo si alzò tra gli alberi come una nube di fumo e la luna si fece strada tra le stelle dell’Eldwold come una nave d’argento.

Infine, Tamlorn prese la via di casa, insieme con le sue guardie del corpo, che ormai accusavano visibili segni di stanchezza. Sybel si sedette tranquillamente accanto al focolare di Maelga, con in mano una tazza di vino caldo e gli occhi immobili, rivolti verso il proprio interiore.

Maelga si dondolava sulla sedia, e suoi anelli riflettevano la luce delle sette candele mentre lei spostava nervosamente le mani sui braccioli. Infine, la fattucchiera disse:

— Questo paese, divenuto improvvisamente tanto tranquillo, è ancora privo dei suoi generali… che si aggirano nelle foreste come bambini, in preda alla confusione. E le Principesse del Sirle dormiranno sole anche questa notte, e i loro figli non rivedranno il padre. Quegli uomini ritorneranno mai alle loro famiglie?

— Non lo so — disse Sybel. — Non conosco più la mente di quei grandi animali. E non riesco a pensare a queste cose. Mi pare di vivere in un sogno, ma nessun sogno è mai stato così lungo, né ha mai ferito così profondamente. Maelga, mi sento stanca come la terra dopo l’inverno che l’ha uccisa e indurita. Non so se qualcosa di verde e di tenero potrà ancora nascere dentro di me.

— Cerca di essere gentile con te stessa, bambina mia — disse Maelga. — Vieni con me nella foresta, domani; raccoglieremo funghi neri ed erbe che, quando le stringerai fra i polpastrelli, diffonderanno un magico profumo. Sentirai il sole sui capelli e la ricca terra sotto i tuoi piedi, e respirerai i freschi venti della tua montagna, profumati dall’aroma della neve, nei punti più inaccessibili del Monte Eld. Cerca di avere pazienza; la stessa pazienza che si deve avere con i semi pallidi e nuovi, sepolti nella terra scura. Quando sarai più forte, potrai iniziare di nuovo a pensare. Ma in questo momento devi limitarti ad assaporare i tuoi sentimenti.

Giorno e notte si confusero in una quiete senza tempo che Sybel si guardò bene dal misurare, finché un giorno si destò e nello scorgere sul pavimento una macchia di luce immobile, nel vedersi circondata da mute pareti di pietra, sentì germogliare in lei il primo desiderio di muoversi e di agire.

Cominciò ad aggirarsi nella casa silenziosa, nel giardino vuoto, fermandosi sulla riva del laghetto del Cigno per guardare gli uccelli selvatici che vi si abbeveravano. Poi si recò sull’altra riva del lago ed entrò nella caverna del Drago; laggiù, con l’occhio dell’immaginazione, le parve di vederlo ancora, raggomitolato nell’oscurità, e le parve di sentire ancora la sua voce mentale. Ma all’interno dell’umida caverna c’era solo un vuoto senza parole; e lei dovette uscire da quel silenzio e tornare a farsi accarezzare dagli errabondi venti autunnali che si aprivano con sicurezza il passo oltre il Monte, lasciandosi alle spalle lei e la sua solitudine.

Rientrò in casa, e si sedette sotto la cupola di cristallo. Riprese a cercare come un tempo, inviando il proprio richiamo nell’Eldwold e oltre l’Eldwold, per attirare a sé il Liralen. Le ore passarono; le stelle presero ad ammiccare al di sopra della cupola, ma lei continuò a sedere, perduta nel proprio richiamo, e infine sentì che il vecchio potere, nella sua mente, si ridestava e si rafforzava. Verso l’alba, allorché la luna era ormai tramontata e le stelle cominciavano ad appassire nel cielo, Sybel ritornò a se stessa e si alzò rigidamente in piedi. Aprì la porta e si fermò sulla soglia, inalando profondamente l’odore della terra umida e degli alberi immoti, profumati di rugiada, del primo mattino.