Poi, alzando lo sguardo al di là del cancello aperto, vide Coren smontare di sella, prendere il cavallo per le briglia ed entrare nel suo giardino.
Lei lo fissò, senza parole. Coren, quando si accorse che lei lo stava guardando, si fermò e le gettò un’occhiata titubante. Lei trasse un profondo respiro e ritrovò la voce.
— Coren. Stavo chiamando il Liralen.
— Hai fatto venire me.
Poi tacque, in attesa della sua risposta. Lei gli disse:
— Ti prego… vieni dentro.
Coren portò il cavallo nella stalla e la raggiunse accanto al focolare spento. Sybel accese alcune candele per illuminare la stanza, ancora avvolta nella penombra; la luce fece risaltare il pallore e la magrezza del volto del Principe del Sirle. Sybel sentì affiorare dentro di lei i ricordi che credeva perduti e si affrettò ad abbassare lo sguardo.
— Hai fame? Devi avere cavalcato tutta la notte. O ti sei fermato a dormire a Mondor?
— No. Ho lasciato il Sirle ieri pomeriggio.
Guardandola negli occhi, la costrinse infine ad alzare il viso verso di lui. Le disse, con più calore:
— Sei così magra. Che cosa hai fatto, in questi ultimi giorni?
— Non lo so. Cose prive di importanza, credo… ho cucito, mi sono presa cura delle piante, sono andata a ricercare erbe con Maelga. Poi ieri, per la prima volta, mi sono accorta che questa casa era tanto vuota e silenziosa. Perciò mi sono messa a chiamare il Liralen. Non… pensavo di disturbarti.
— E anch’io non credevo di essere più disturbato. Quando mi sono svegliato, quella mattina, e ho visto che eri sparita, ho pensato che non avrei mai più sentito la tua voce che mi chiamava. I miei fratelli mi hanno accusato di essermela presa troppo. Hanno detto che te ne eri andata a causa della mia ostinazione.
— Non è questo il motivo che mi ha spinto a fuggire.
— Lo so — disse lui.
Sybel si afferrò ai braccioli della sedia. Con lo sguardo fisso lontano, domandò:
— Che cosa sai?
Lui guardò il focolare vuoto.
— L’ho capito — disse stancamente — non quel mattino, ma in seguito, nei giorni lenti e tranquilli in cui aspettavo il ritorno dei miei fratelli.
“Mi è giunta la notizia della strana, improvvisa morte di Drede, e della sparizione dei generali dell’Eldwold, mentre si stavano avviando alla guerra.
“Tutto il paese era agitato da voci incredibili, che parlavano di magici animali, di nomi antichi, di storie semidimenticate. La guerra ci era stata strappata di mano, con la stessa facilità con cui si toglie un giocattolo a un bambino.
“Mi tornò allora in mente l’indovinello che ti rivolse il Cinghiale Cyrin, il giorno in cui giunse nel Sirle. Era lo stesso indovinello che aveva rivolto a me, prima che vedessi il Rommalb: avrei dovuto avvertirti, ma in quel momento mi pareva che tu non avessi niente da temere.
“Ricordando quel piccolo fatto, ho capito cosa doveva esserti successo. Tu non eri disposta a rinunciare a quella guerra: né per me, né per Tamlorn, né per qualsiasi altra persona a te cara. Saresti arrivata fino in fondo, ma avevi fatto un errore: avevi con te il Rommalb, ma non potevi più dargli quello che ti chiedeva.”
Sybel rimase in silenzio a lungo. Poi, con la testa china, senza guardare Coren, mormorò:
— Sei davvero saggio, Coren del Sirle. Ho rinunciato a tutto in cambio della vita, e poi sono fuggita via. Nella mia mente, sono fuggita addirittura al di là dei suoi confini, perché non avevo altro posto dove andare. Infine è giunto Tamlorn e mi ha svegliata. Se non fosse venuto, non so che cosa mi sarebbe successo.
Sollevò la testa e lo guardò. Vide che lui, con aria indecifrabile, continuava a fissare il focolare. Allora gli disse, in tono leggermente offeso:
— Se sei ancora in collera con me, perché sei venuto? Nessuno ti imponeva di rispondere alla voce della mia solitudine. Non mi aspettavo di rivederti.
Lui alzò le spalle.
— E io non mi aspettavo di venire. Ma come potevo evitare di venire, quando ho saputo che eri sola in questa casa vuota, senza Tamlorn e senza i tuoi animali, e senza neppure me? Tu non hai mai avuto bisogno di me, e non so se adesso desideri la mia presenza, ma ti ho sentito e sono dovuto venire.
Lei aggrottò le sopracciglia. Disse piano, in tono leggermente perplesso:
— Se hai sentito il mio richiamo, senza che io sapessi di avertelo inviato, allora sai che ho bisogno di te.
— Già altre volte mi hai detto di avere bisogno di me — rispose Coren. — È facile a dirsi. Ma quella notte, quando il Rommalb è venuto a te nell’oscurità… non mi hai neppure chiesto di stringerti, come una volta mi hai stretto accanto a questo focolare, ancora prima che tu mi amassi.
Lei lo guardò a bocca aperta, senza parlare. Poi, all’improvviso, sorrise, e solo in quel momento si rese conto che non rideva da molto tempo. Nascose il sorriso come un prezioso segreto, chinando la testa, e disse con serietà:
— Volevo svegliarti, ma mi sembravi così lontano da me…
— Anche questo — rispose lui — è facile a dirsi. Non avevi bisogno di me quando Mithran ti ha chiamato, e neppure quando hai progettato la tua vendetta con Rok, o quando il Rommalb ha minacciato la tua vita. Tu segui sempre una tua strada, e non so mai che cosa pensi o che cosa intendi fare. E adesso ridi di me. Non ho fatto tutto questo cammino, dal Sirle a qui, per farmi ridere in faccia.
Sybel scosse la testa, arrossendo. Gli prese la mano e sentì che anche lui le ricambiava la stretta.
— Mi spiace, Coren. Ma è proprio per questo che adesso ho bisogno di te. Ho combattuto per me… e anche contro di me. Ma questo non mi ha dato nessuna gioia. Soltanto quando sono con te riesco a sorridere, e tu sei l’unico che possa insegnarmi a farlo.
Lui la guardò e, suo malgrado, sulle labbra cominciò ad affiorargli un sorriso.
— E hai bisogno di me solo per questo?
Lei scosse la testa, senza ridere.
— No — sussurrò. — Ho bisogno di te perché tu mi perdoni. Allora, forse, potrò cominciare a perdonare me stessa. Soltanto tu puoi farlo.
Coren sospirò.
— Sybel — disse — rischiavo di non poter fare neppure questo. L’ira e il dolore che portavo in me erano come una pietra: ero in collera con te e con Rok, e perfino con Drede, perché in quei giorni pensavi più a lui che a me. Poi, una sera, in sogno, mi sono visto in faccia: una faccia scura e triste, senza sorriso, e mi sono svegliato con il batticuore, perché non era più la mia faccia, ma quella di Drede…
— No! — esclamò lei. — Non potrai mai divenire come Drede!
— Anche Drede è stato giovane e ha amato una donna. Lei lo ha ferito, e lui non l’ha mai perdonata: perciò è morto solo e atterrito. E io mi sono spaventato all’idea di fare lo stesso errore con te. Sybel, mi perdoni?
Lei sorrise, e si sentì spuntare le lacrime.
— Di che cosa? — gli chiese. — Non c’è niente da perdonare.
— Di non avere avuto il coraggio di dirti che ti amavo. E neppure quello di chiederti di tornare nel Sirle con me.
Lei abbassò la testa, stringendogli così forte la mano da fargli male alle ossa.
— Anch’io ho paura di me stessa. Ma non voglio vederti andare via ancora una volta. Ho bisogno di te. Ho bisogno di amarti. Chiedimi di venire con te, ti prego.
— Verrai con me?
— Oh, sì. Sì. Grazie.
Lui, con l’altra mano, le sollevò il mento.
— Sybel, non piangere.
— Non posso evitarlo.
— Fai piangere anche me.
— Anche questo, non posso evitarlo. Da tanto tempo non ridevo e non piangevo, e oggi, prima ancora che il sole sia sorto, tu mi hai fatto fare entrambe le cose.