Sybel non disse niente.
Prima di andare a dormire, si recò nella stanza di Coren per controllare come stava. Passando, vide che anche Tamlorn si era addormentato; intorno a lei, nella buia notte, aleggiavano solo i vaghi sogni degli animali, strani e coloriti come i frammenti di una vecchia storia dimenticata. Oltrepassò con passo leggero la sala delle bianche colonne: anch’essa era avvolta nel silenzio; il fuoco dormiva, custodito dalle sue braci nere e pulsanti. Infine aprì delicatamente la porta e udì le parole fioche e ansanti che Coren pronunciava nel delirio della febbre.
Alla luce dell’unica candela che rischiarava il letto, l’uomo si voltò verso di lei. I suoi occhi scintillavano come quelli del Falco Ter.
— Bianca Signora… Signora del Ghiaccio… — bisbigliava. — Il Drago era così bello, quando mi è apparso con gli artigli carichi d’oro e di ametiste. Ma dicono che non si deve fissare in volto la bellezza. E siete bellissima anche voi: bianca come l’avorio e come il diamante, bianca come il fuoco, con gli occhi neri come il cuore di Drede… ancora più neri… neri come gli alberi della Foresta di Mirkon, dove Arn, il figlio del Re, si perse per tre giorni e tre notti, e quando ne uscì aveva i capelli bianchi come la neve più immacolata… Occhi come…
— Il Principe Arn — mormorò Sybel, con un filo di voce. — Dove avete imparato una storia come questa? È scritta in un solo posto, e la chiave di quel libro l’ho io.
— Lo so — rispose lui.
Poi batté gli occhi come se Sybel, davanti a lui, lo abbagliasse con il suo splendore. Cercò di tendere la mano nella sua direzione, ma subito lasciò ricadere il braccio con un gemito di dolore.
— Sono ferito — disse, in tono perplesso. Poi, a voce alta, gridò: — Rok! Ceneth!
— Sst! — fece lei. — Sveglierete Tamlorn!
— Rok! — esclamò ancora Coren.
Cercò di girarsi sul fianco, distogliendo gli occhi da lei, ed emise un altro gemito. Poi non si mosse più, e Sybel si chinò su di lui, gli sfiorò i capelli, glieli scostò dalla faccia. Inumidì nel vino un pezzo di tela e gli terse la fronte madida di sudore; gli tamponò le tempie con la tela finché lui si rilassò e ricadde nel sonno.
L’indomani, Sybel dormì fino a mattina inoltrata, e quando si svegliò per andare a controllare gli animali scoprì di essere ancora stanchissima.
Attraversò il vasto giardino fino a raggiungere il laghetto scavato da Myk, dove il Cigno Nero scivolava fiero e silenzioso sotto il cielo turchino e grigio.
Il grande Cigno, quando la vide fermarsi sulla riva, si diresse maestosamente verso di lei e la fissò con quei suoi occhi che parevano il liquido stesso di cui è composta la notte. Con un timbro simile a quello di un flauto dolce, i suoi pensieri s’insinuarono nella mente della donna:
“Sybel, oggi sei bella come il ghiaccio illuminato dalla luna.”
Negli occhi di lei, per un istante, comparve un amaro sorriso.
“Sempre il ghiaccio” pensò. “Grazie. Stai bene?”
“Certo” rispose il Cigno. “Ma alcuni di noi sono piuttosto inquieti.”
“Lo so. Adesso andrò a trovare il Cinghiale Cyrin.”
“E chi si occuperà del Principe del Sirle? A quanto ho sentito, viene a riprendersi quel che ha portato.”
“Da me non riavrà niente” disse Sybel. “Niente del tutto.”
“Davvero?”
Il grande Cigno scivolò sull’acqua in silenzio, per qualche istante, prima di riprendere:
“Una volta, quando il giovane principe di Elon era in pericolo di vita per mano dei nemici di suo padre, lo portai via in volo, di notte e alla luce della luna, fino a un luogo dove nessun uomo sarebbe mai riuscito a trovarlo.”
“Me ne ricorderò” promise Sybel. “Grazie.”
Udendo stormire le fronde sopra di sé, si voltò e scorse il Falco Ter, i cui grandi artigli parevano scintillare nella pallida luce della radura.
“Ho fiutato l’odore di qualcosa di familiare” disse il rapace, e lei pensò ancora una volta che, con quegli occhi così azzurri, le ricordava davvero Coren.
“Vuoi che lo butti in qualche precipizio?” proseguì il Falco.
“Oh, no!” si affrettò a dire lei. “Credo che stia già abbastanza male. Deve essere venuto per…”
Tacque, fissando lo sguardo negli occhi acutissimi del Falco, e la sua mente si svuotò di ogni pensiero come una tazza d’acqua rovesciata sulla ghiaia. Ter mosse le penne, che si arruffarono leggermente.
“Ho corso nel vento” disse il Falco “e ho ascoltato i suoi segreti: le parole che mormora a notte fonda, confidandole solo a me, perché non posso rispondergli. Ho trascorso molti anni nelle corti degli uomini, e posso capire quale sia la missione del Principe del Sirle.”
“Non devi fargli del male” gli ordinò Sybel “a meno che non sia io stessa a chiedertelo. Coren pensa che abbia ordinato al Drago Gyld di colpirlo.”
“Che importanza può avere ciò che pensa quell’uomo?” chiese il Falco.
Sybel, invece di replicare, cercò in se stessa la risposta alla domanda.
“Ha importanza” ammise alla fine. “Anche se non saprei dirtene la ragione.”
Anche il Falco rimase in silenzio per un lunghissimo istante. Sybel aspettò, tesa e senza fare alcun gesto, mentre il vento le appiattiva l’orlo del vestito nero. Poi sentì una sorta di strattone mentale, quando Ter, con una rapidità da capogiro, distolse i pensieri da lei per lanciarli verso un cielo lontano.
Ma riuscì a sgombrare la mente dalla paura, a mantenerla immobile e chiara, seguendo il volo immaginario del Falco, come se la sua mente fosse diventata un cerchio capace di contenere tutto il cielo e tutta la terra.
Il cerchio si allargò sempre di più, e il volo del Falco non riuscì mai a oltrepassarlo; infine, fu Ter ad avere un attimo di esitazione e a fermarsi. E allora il suo volo si spezzò e precipitò in picchiata sulla terra, trasformandosi in una grande onda di collera e di violenza che divampò dentro Sybel, finché i muscoli di lei si tesero come le corde di un’arpa e il suo cuore si accese del sangue rovente di Ter.
Ma sempre, nella sua mente, il cerchio di serenità entro cui aveva inscritto il proprio nome rimase freddo e imperturbabile, inaccessibile. E alla fine il rapace si arrese e riportò dentro di sé i propri pensieri come il riflusso di un’onda; e Sybel poté infine trarre un lento respiro.
Sulle labbra le comparve un sorriso di trionfo.
“Spiegami” gli chiese “perché continui sempre a provarci?”
“Per amore del bambino. Se ti fossi arresa, sarei andato a uccidere quell’uomo.”
“E pensare che sei stato proprio tu a non volerlo gettare dalla cima della montagna!” disse lei.
“Adesso mi pento di non averlo fatto” rispose il Falco Ter.
“Non gli permetterò di portare via Tamlorn.”
“Neanch’io” disse Ter.
Mentre Sybel faceva ritorno a casa, la grande Gatta Moriah, nera e dagli occhi verdi, scese come un’ombra da un albero. Si mise a camminare al suo fianco, senza fare rumore, e Sybel le passò le dita nel pelo vellutato della schiena.
“C’era un incantesimo” disse infine la Gatta, con la sua voce mentale dolce e frusciante come seta “usato talvolta dalla mia precedente padrona, che dissolveva un uomo in modo così completo da far rimanere soltanto gli anelli d’oro che aveva alle dita.”
“Non penso che Maelga sarebbe d’accordo” disse Sybel. “Sei sicura di star bene?”
“Maelga ha fatto ogni genere di cose.”
“Sì, ma non ha mai fatto dissolvere un uomo.” Si fermò, irritata. Poi riprese: “Perché mi vengono in mente queste cose? Non voglio più pensarci. Né mio padre né tantomeno mio nonno amavano la gente, ma non hanno mai ucciso nessuno. Quanto a me, poi, non sarei neppure capace di farlo.”
“Io sì” disse la Gatta.