Выбрать главу

— Sì, c'era. Non avevo alcuna barriera contro di voi. Voi siete un Ascoltatore, Faxe, un empatico naturale; e probabilmente anche un potente telepatico naturale. È per questo che voi siete il Tessitore, colui che può trattenere le tensioni e le reazioni del gruppo, incanalandole nel disegno che si accresce da solo, continuamente, fino a quando la tensione non spezza il disegno, e voi raggiungete la risposta.

Lui ascoltò, con interesse grave e intento.

— È strano vedere i misteri della mia disciplina dall'esterno, attraverso i vostri occhi. Io li ho visti soltanto dall'interno, come discepolo.

— Se permettete… se lo desiderate, Faxe, mi piacerebbe comunicare con voi attraverso il linguaggio mentale. — Adesso ero sicuro che egli fosse un Comunicante naturale; il suo consenso e un po' di pratica sarebbero bastati ad abbassare la sua barriera inconscia.

— Se faceste questo, sentirei quel che gli altri pensano?

— No, no. Non più di quanto lo facciate già, con la vostra empatia latente. Il linguaggio mentale è una comunicazione, inviata e ricevuta volontariamente.

— Allora perché non parlate a voce alta?

— Ebbene, parlando così, si può mentire.

— E con il linguaggio della mente?

— Non intenzionalmente.

Faxe rifletté per un poco.

— Questa è una disciplina che dovrebbe suscitare l'interesse dei re, dei politicanti, e degli uomini d'affari.

— Gli uomini d'affari hanno lottato contro l'uso del linguaggio mentale quando è stato scoperto che si trattava di una capacità acquisibile con l'insegnamento e la pratica; l'hanno messa fuori legge per molti secoli.

Faxe sorrise.

— E i re?

— Noi non abbiamo più re.

— Sì. Lo vedo… Ebbene, vi ringrazio, Genry. Ma il mio compito è disimparare, non apprendere. E preferirei non imparare ora un'arte che cambierebbe interamente il mondo.

— Ma siete stato voi stesso a profetizzare che questo mondo cambierà, entro cinque anni.

— E io cambierò con il mondo, Genry. Ma non ho desiderio di essere io a cambiarlo.

Stava piovendo, la lunga, battente, quasi impalpabile pioggia dell'estate getheniana. Stavamo camminando sotto gli alberi di hemmen, sui pendii che dominavano la Fortezza, dove non esistevano sentieri. La luce era grigia nel cadere dai rami oscuri, e l'acqua chiara scendeva lenta dagli aghi scarlatti. L'aria era fresca, eppure mite, e vibrava tutta del suono pigro della pioggia.

— Faxe, ditemi questo. Voi Handdarata avete un dono che gli uomini di tutti i mondi hanno sempre bramato. Voi l'avete. Voi potete predire il futuro. Eppure vivete come tutti gli altri… non sembra contare…

E come potrebbe contare, Genry?

— Bene, vediamo. Per esempio, questa rivalità tra Karhide e Orgoreyn, questa lite per la Valle di Sinoth. Mi sembra di aver compreso che Karhide ha perduto la faccia, nella maniera peggiore, in queste ultime settimane. Ora, perché Re Argaven non ha consultato i suoi Profeti, chiedendo quale rotta seguire, o quale membro del kyorremy scegliere come primo ministro, o qualche altra cosa del genere?

— Le domande sono difficili da fare.

— Non vedo perché. Potrebbe semplicemente chiedere, chi mi servirà meglio, come primo ministro?… e lasciare le cose a questo punto.

— Già, potrebbe. Ma lui non sa cosa possa significare servirlo meglio. Potrebbe voler dire che l'uomo scelto abbandonerebbe la valle a Orgoreyn, o andrebbe in esilio, o assassinerebbe il re; potrebbe significare molte cose che il re non si aspetta, e non può accettare.

— Dovrebbe formulare con molta precisione la sua domanda.

— Sì. E allora ci sarebbero molte domande, vedete. E anche il re deve pagare il prezzo.

— Lo fareste pagare molto?

— Molto — disse Faxe, con tranquillità. — Colui che domanda paga quel che può permettersi di pagare, come sapete. In effetti, dei re sono venuti dai Profeti; ma non molto spesso…

— E se uno dei Profeti fosse lui stesso un uomo molto potente?

— Gli Abitanti delle Fortezze non hanno né rango, né condizione sociale. Io posso venire mandato a Erhenrang, per entrare nel kyorremy; ebbene, se io vado, riprendo il mio rango e la mia ombra, ma le mie profezie sono finite. Se avessi una domanda, mentre io servo nel kyorremy, andrei là, alla Fortezza di Orgny, pagherei il mio prezzo, e otterrei la mia risposta. Ma noi dell'Handdara non vogliamo risposte. È difficile evitarle, ma cerchiamo di non farlo.

— Faxe, non credo di capire.

— Ebbene, noi veniamo qui alla Fortezza soprattutto per imparare quali domande non si devono porre.

— Ma voi siete coloro che rispondono!

— Ancora non capite, Genry, per quale motivo abbiamo stabilito e pratichiamo la Profezia?

— No…

— Per dimostrare ed esibire la perfetta inutilità di conoscere la risposta alle domande sbagliate.

Riflettei a lungo su quanto mi era stato detto, mentre camminavamo fianco a fianco nella pioggia, sotto i rami oscuri della Foresta di Otherhord. All'interno del bianco cappuccio, il viso di Faxe era stanco e quieto, la sua luce era soffocata. Eppure m'incuteva sempre rispetto e timore. Quando mi guardava con i suoi occhi limpidi, gentili, e innocenti, mi guardava da una tradizione antica tredicimila anni: un modo di pensare e un modo di vivere così antichi, così ben stabiliti, così integrali e coerenti da dare a un essere umano il distacco da se stesso, l'autorità, la completezza di un animale selvaggio, una grande, strana creatura che vi guarda direttamente dal suo eterno presente…

— L'ignoto — disse la voce gentile di Faxe nella Foresta. — L'imprevisto, l'indimostrato, è tutto questo la base della vita. L'ignoranza è la base del pensiero. La mancanza di prove è il terreno dell'azione. Se fosse provato che non esiste un Dio, non ci sarebbe religione. Non ci sarebbero Handdara, né Yomesh, né dèi del focolare, niente. Ma anche se fosse provato che esiste un Dio, non ci sarebbe religione… Ditemi, Genry, che cosa è conosciuto? Che cos'è sicuro, prevedibile, inevitabile… la sola cosa certa che voi sappiate sul vostro futuro e sul mio?

— Che dobbiamo morire.

— Sì. In realtà c'è una sola domanda alla quale si può rispondere, Genry, e noi sappiamo già la risposta… La sola cosa che rende la vita possibile è la permanente, intollerabile incertezza: non sapere che cosa verrà dopo.

CAPITOLO SESTO

Una strada per Orgoreyn

Il cuoco, che arrivava sempre nella casa prestissimo, mi svegliò; il mio sonno è sempre profondo, e lui dovette scuotermi e dirmi nell'orecchio:

— Svegliatevi, svegliatevi, Lord Estraven, c'è un corriere venuto dalla Casa del Re!

Finalmente riuscii a capire le sue parole, e confuso dal sonno e dall'urgenza, mi alzai frettolosamente, e andai alla porta della mia camera, dove il messaggero aspettava, e così entrai completamente nudo e instupidito come un neonato nel mio esilio.

Leggendo il foglio che il corriere mi diede, pensai che questo l'avevo cercato, anche se non così presto. Ma quando dovetti osservare l'uomo inchiodare quel maledetto foglio sulla porta della casa, ebbene, in quel momento mi sentii come se egli dovesse infilare i chiodi nei miei occhi, e gli voltai la schiena e rimasi fermo, stordito e abbattuto e pervaso dal dolore, un dolore che io non avevo cercato.

Passato questo primo momento, decisi di provvedere a ciò che doveva essere fatto, e quando i gong del Palazzo batterono la Nona Ora, io ero già partito di là. Non c'era nulla che mi trattenesse per molto. Presi quel che potevo prendere. In quanto alle proprietà e al denaro che tenevo in banca, non avrei potuto riscuotere quel denaro senza mettere in pericolo coloro con i quali trattavo, e più questi uomini erano miei amici, peggiore era il pericolo che incombeva sopra di loro. Scrissi al mio vecchio kemmeri Ashe come avrebbe potuto ottenere gli interessi su certe pietre preziose, in modo che questi beni venissero conservati per nostro figlio, ma gli dissi di non tentare di mandarmi del denaro, perché Tibe avrebbe certo fatto sorvegliare la frontiera. Non potevo firmare la lettera. Se avessi chiamato qualcuno per telefono, chiunque egli fosse, lo avrei sicuramente fatto finire in prigione, e avevo fretta di andarmene, prima che qualche amico venisse a trovarmi, senza nulla sapere, e perdesse il suo denaro e la sua libertà come ricompensa di questa amicizia.