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Lungo la strada c'erano frequenti cartelli e segnali indicatori (a differenza delle strade karhidiane, prive di contrassegni di sorta, lungo le quali era necessario chiedere la strada da seguire, o indovinarla) con le istruzioni di prepararsi a una fermata nella Stazione d'Ispezione, della tale Area o Regione Commensale; in queste dogane interne era necessario mostrare i propri documenti d'identificazione, e registrare il proprio passaggio. I miei documenti erano validi per tutti gli esami, e così dopo il minimo indugio mi veniva cortesemente fatto cenno di proseguire, e venivo cortesemente informato sulla distanza della prossima Casa di Transito, se per caso avessi voluto mangiare o dormire. A trentacinque chilometri orari è un viaggio considerevole, quello che dalla Barriera Settentrionale porta a Mishnory, e passai due notti lungo la strada. Il cibo, nelle case di Transito, era insipido ma abbondante, l'alloggio era decente, e l'unica cosa che mancava era l'intimità. Perfino questa era fornita, in una certa misura, dalla reticenza dei miei colleghi viaggiatori. Non feci amicizia con nessuno, non feci conoscenze, e neppure ebbi una conversazione vera e propria, durante le mie soste, benché tentassi diverse volte. Gli Orgota non parevano un popolo ostile, o poco amichevole; erano semplicemente privi di curiosità. Erano incolori, fermi, sottomessi. Mi piacevano. Avevo già vissuto due anni di colore, di instabilità, e di passione, in Karhide. Un cambiamento era il benvenuto.

Seguendo la riva est del grande Fiume Kunderer, raggiunsi il terzo mattino della mia permanenza in Orgoreyn la città di Mishnory, certo la più grande di quel mondo.

Nella luce di un sole malato, tra i rapidi, copiosi rovesci di pioggia dell'autunno, mi pareva una città dall'aspetto strano, fatta di pareti di pietra spoglia, con poche finestre strette poste troppo in alto, ampie strade che facevano parere piccole le folle e minuscole le figure umane, lampioni stradali posti in cima a piloni ridicolmente alti, tetti che si univano nella punta dai lati ripidi, come mani giunte per pregare, tettoie che sporgevano dalle pareti degli edifici a cinque, sei metri da terra, come grandi scaffali di biblioteche vuote… una città grottesca, dalle proporzioni assurde, bizzarre, nella luce del sole. Non era stata costruita per la luce del sole. Era stata costruita per l'inverno. D'inverno, con quelle strade colme di tre metri di neve compressa, dura, solida, con i tetti aguzzi circondati da una corona di ghiaccioli, con le slitte parcheggiate sotto le tettoie, con le strette fessure gialle delle finestre che brillavano nella tormenta e nel buio del gelo, ebbene, solo d'inverno si poteva vedere come fosse adeguata quella città, quale valore economico avesse, quale bellezza.

Mishnory era più pulita, più grande, più luminosa di Erhenrang, più aperta e imponente. Grandi edifici di pietra bianco-giallognola la dominavano, semplici blocchi massicci, costruiti tutti secondo lo stesso schema, edifici che ospitavano gli uffici e i servizi del Governo Commensale, e anche i templi più grandi del culto Yomesh, un culto considerato religione di stato dalla Commensalità. Non c'era tumulto, non c'erano confusione e disordine, non c'era il senso di trovarsi sempre sotto l'ombra di qualcosa di alto e cupo, come a Erhenrang; tutto era semplice, di concezione grandiosa, e ordinato. Mi pareva di essere uscito da un'età oscura, e provai il desiderio di conoscere meglio quel luogo, e mi pentii di avere trascorso due anni interi in Karhide. Questo, ora, pareva un paese già pronto a entrare nell'Era Ecumenica.

Girai in auto per la città, per qualche tempo, poi restituii l'auto all'Ufficio Regionale competente, e andai a piedi verso la residenza del Commissario del Primo Distretto Commensale per le Strade d'Accesso e i Porti. Non mi ero assicurato se l'invito fosse una richiesta, o un ordine cortese. Nusuth. Ero in Orgoreyn per parlare a nome dell'Ecumene, e potevo cominciare qui, come in qualsiasi altro posto.

I miei concetti sulla flemma e sul compassato autocontrollo Orgota furono quasi distrutti dal Commissario Shusgis, che avanzò verso di me sorridendo e gridando, mi afferrò entrambe le mani nel gesto che i karhidiani riservano per i momenti d'intensa emozione personale, mi sollevò e abbassò le braccia come se avesse cercato di avviare il mio motore, e a gran voce ruggì un saluto all'Ambasciatore dell'Ecumene dei Mondi Conosciuti sul pianeta Gethen.

Quella fu una sorpresa, poiché nessuno dei dieci, dodici o quattordici Ispettori che avevano studiato i miei documenti aveva mostrato alcun segno di riconoscere il mio nome, o i termini Inviato ed Ecumene… cose, queste, che erano state per lo meno vagamente familiari per tutti i karhidiani che avevo incontrato in quei due anni. Avevo concluso che Karhide non aveva mai permesso l'uso delle notizie che mi riguardavano alle stazioni Orgota, tentando di mantenermi un segreto nazionale.

— Non Ambasciatore, signor Shusgis. Solo un inviato.

— Futuro Ambasciatore, allora. Sì, per Meshe! — Shusgis, un uomo solido, raggiante, mi guardò a lungo, e rise di nuovo. — Non siete come mi ero aspettato, signor Ai! Neppure un poco. Alto come un lampione stradale, dicevano, sottile come una slitta veloce, nero come l'inchiostro e dagli occhi obliqui… mi aspettavo un orco dei ghiacci, un mostro! Niente del genere. Solo che siete un po' più scuro della maggior parte di noi.

— Colore della Terra — dissi.

— Ed eravate a Siuwensin, la notte dell'assalto? Per tutte le mammelle di Meshe! in quale mondo viviamo. Avreste potuto essere ucciso attraversando il ponte sull'Ey, dopo avere attraversato tutto lo spazio, per arrivare qui. Bene! Bene! Siete qui. E moltissime persone vogliono vedervi, e ascoltarvi, e darvi finalmente il benvenuto in Orgoreyn!

Mi installò immediatamente, e niente discussioni!, in un appartamento della sua casa. Essendo un alto burocrate e un uomo ricco, viveva in uno stile che non ha equivalente in Karhide, neppure tra i Lords dei grandi Dominii. La casa di Shusgis era un'intera isola, che ospitava più di cento dipendenti, di servitori domestici, di impiegati, di consulenti tecnici, e così via… ma nessun parente, nessun familiare. Il sistema di estesi clan familiari, di Focolari e Dominii, benché fosse ancora vagamente distinguibile nella struttura Commensale, era stato «nazionalizzato» diversi secoli prima, in Orgoreyn. Nessun bambino di età superiore a un anno vive con il suo genitore, o i genitori; tutti sono allevati nei Focolari Commensali. Non c'è alcun titolo né alcun rango per discendenza. I testamenti privati non sono legali; un uomo, morendo, lascia il suo patrimonio allo stato. Tutti iniziano sullo stesso piano di uguaglianza. Ma ovviamente non continuano allo stesso modo. Shusgis era ricco, e liberale con le sue ricchezze. C'erano dei lussi, nelle mie stanze, che io non avevo mai pensato esistessero su Inverno… per esempio, una doccia. C'era una stufa elettrica, insieme a un caminetto ben fornito. Shusgis rise:

— Mi hanno detto, tieni al caldo l'Inviato, lui viene da un mondo caldo, un mondo che è un forno, e non può sopportare il nostro freddo. Trattalo come se fosse incinto, metti delle pellicce sul suo letto e riscalda bene la sua stanza, riscalda l'acqua con la quale si lava e tieni chiuse le sue finestre! Basta così? Sarete a vostro agio? Vi prego di dirmi cos'altro vorreste avere qui.

A mio agio! Nessuno, in Karhide, mi aveva mai chiesto, in nessuna circostanza, se io mi fossi sentito a mio agio.

— Signor Shusgis — dissi, con una certa emozione, — mi sento perfettamente a mio agio… come se fossi nella mia casa.

Lui non fu soddisfatto, fino a quando non ebbe messo un'altra preziosa pelliccia sul letto, e degli altri ceppi nel caminetto.

— So come ci si sente — disse. — Quando io ero incinto, non riuscivo a scaldarmi… i miei piedi erano come ghiaccio, sono rimasto seduto sul fuoco per tutto quell'inverno. È stato molto tempo fa, naturalmente, ma lo ricordo bene! — … I getheniani tendono ad avere i loro figli quando sono giovani; quasi tutti, dopo l'età di ventiquattro anni, usano dei contraccettivi, e cessano di essere fertili, nella fase femminile, a circa quarant'anni. Shusgis era sulla cinquantina, perciò aveva detto «molto tempo fa, naturalmente,» e certamente era difficile immaginarlo come una giovane madre. Era un politicante navigato, duro, astuto e gioviale, le cui gentilezze servivano i suoi interessi, e il cui massimo interesse era in se stesso. Il suo era un tipo panumano. Lo avevo incontrato sulla Terra, e su Hain, e su Ollul. Mi aspettavo di incontrarlo anche all'Inferno.