— Io ho perso la faccia tra gli uomini. Nessuno mi vede. Io parlo e nessuno mi sente. Io vengo e nessuno mi dà il benvenuto. Non c'è posto accanto al fuoco per me, né cibo sul tavolo per me, né un letto fatto per me ove io possa riposare. Eppure ho ancora il mio nome: Getheren è il mio nome. Quel nome io lo getto su questo Focolare come una maledizione, e con esso pongo la mia vergogna. Tenete questo e quella per me. Ora senza nome io andrò a cercare la mia morte. — Allora alcuni degli uomini del focolare balzarono in piedi, con grida e tumulto, con l'intento di ucciderlo, perché l'assassinio è un'ombra più lieve del suicidio su una casa. Egli riuscì a sfuggire loro, e corse a settentrione, sopra la terra, verso il Ghiaccio, distanziando tutti coloro che lo inseguivano. Costoro ritornarono tutti, scoraggiati, a Shath. Ma Getheren proseguì, e dopo due giorni di viaggio giunse davanti al Ghiaccio di Pering.
Per due giorni viaggiò in direzione nord, sul Ghiaccio. Non aveva cibo con sé, né riparo oltre il suo mantello. Sul Ghiaccio nulla cresce, e non si muovono animali. Era il mese di Susmy e le prime grandi nevi cadevano in quei giorni e in quelle notti. Egli andò solo, attraverso la bufera. Durante il secondo giorno, capì che era sempre più debole. Durante la seconda notte, dovette sdraiarsi e dormire per un poco. Durante il terzo mattino nel destarsi vide che le sue mani erano state morse dal gelo, e così pure i suoi piedi, anche se non aveva potuto togliersi gli stivali per guardarli, non potendo ormai più usare le proprie mani. Cominciò a muoversi in avanti, strisciando, reggendosi con i gomiti e le ginocchia. Non aveva alcuna ragione di fare questo, poiché non aveva importanza che egli morisse in un luogo oppure in un altro, sul Ghiaccio, ma sentiva dentro di sé l'urgenza di muoversi, di andare ancora più a nord.
Dopo molto tempo la neve cessò di cadere intorno a lui, e il vento di soffiare. Il sole apparve, brillante. Non poteva vedere lontano, davanti a sé, nel suo strisciare, perché il pelo del suo cappuccio gli cadeva sugli occhi. Non provando più alcun senso di freddo nelle gambe e nelle braccia e sul viso, pensò che il gelo della tormenta lo avesse paralizzato. Eppure poteva ancora muoversi. La neve che si stendeva sopra il ghiacciaio gli sembrava strana, come se si trattasse di un'erba bianca che cresceva nel ghiaccio. Si piegava al suo tocco, e si raddrizzava di nuovo, come fili d'erba. Smise di strisciare e si rialzò, mettendosi a sedere, alzando il cappuccio, in modo da poter guardare intorno. A perdita d'occhio, fino a dove giungeva il suo sguardo, si stendevano campi di erba-neve, bianca e scintillante. C'erano gruppi di alberi bianchi, e sui rami bianchi crescevano foglie bianche. Il sole splendeva, e non c'era vento, e tutto era bianco.
Getheren si tolse i guanti e si guardò le mani. Erano bianche come la neve. Eppure il gonfiore del gelo era sparito, e poteva usare le dita, e alzarsi in piedi. Non sentiva dolore, né fame, né freddo.
Vide lontano, sopra il ghiaccio, a nord, una bianca torre come la torre di un Dominio, e da questo luogo molto lontano una persona veniva camminando verso di lui. Dopo qualche tempo Getheren poté vedere che questa persona era nuda, che la sua pelle era tutta bianca, e i suoi capelli erano tutti bianchi. La persona si avvicinò ancora, e fu abbastanza vicina da poterle parlare. Getheren disse:
— Chi sei tu?
L'uomo bianco disse:
— Io sono il tuo fratello e kemmeri, Hode.
Hode era il nome del suo fratello che si era ucciso. E Getheren vide che l'uomo bianco era suo fratello in corpo e lineamenti. Ma non c'era più vita nelle sue viscere, e la sua voce suonava sottile come lo sbriciolarsi del ghiaccio.
Getheren domandò:
— Quale luogo è mai questo?
Hode rispose:
— Questo è il luogo della tormenta. Noi che ci uccidiamo abitiamo qui. Qui tu e io potremo mantenere il nostro voto.
Getheren era spaventato, e disse:
— Io non voglio restare qui. Se tu fossi venuto con me, lontano dal nostro Focolare, nelle terre del sud, avremmo potuto restare assieme e mantenere il nostro voto per tutta la vita, e nessun uomo avrebbe mai conosciuto la nostra trasgressione. Ma tu hai spezzato il tuo voto, gettandolo via insieme alla tua vita. E ora tu non puoi dire il mio nome.
Questo era vero. Hode mosse le labbra bianche, ma non riuscì a dire il nome di suo fratello.
Si avvicinò in fretta a Getheren, tendendo le braccia per trattenerlo, e lo prese per la mano sinistra. Getheren si liberò e fuggì. Corse verso sud, e correndo vide sorgere davanti a lui una bianca parete di neve che cadeva, e quando entrò in quella parete di tormenta cadde di nuovo in ginocchio, e non poté più correre, ma solo strisciare.
Durante il nono giorno dalla sua fuga sul Ghiaccio egli venne trovato nel loro Dominio da uomini del Focolare di Orhoch, che si trova a nord-est di Shath. Nessuno sapeva chi fosse, né donde venisse, perché quegli uomini lo trovarono che strisciava sulla neve, morente per la fame, accecato dal biancore dei ghiacci e della tormenta, con il volto annerito dal sole e dal gelo, e dapprima egli non poté neppure parlare. Eppure non riportò alcun danno fisico permanente, se non nella mano sinistra, che era congelata e dovette essergli amputata. Alcuni uomini del luogo dissero che doveva essere Getheren di Shath, del quale avevano sentito parlare; altri dissero che non poteva essere lui, perché quel Getheren era salito sul Ghiaccio nella prima tormenta dell'autunno, e certo vi era morto. Lui stesso negò che il suo nome fosse Getheren. Quando fu guarito lasciò Orhoch e la frontiera delle Bufere, e andò nelle terre del sud, facendosi chiamare Ennoch.
Quando Ennoch fu un vecchio, che viveva nelle pianure di Rer, conobbe un uomo venuto dalla sua stessa terra, e gli chiese: — Come vanno le cose nel Dominio di Shath? — E l'altro gli rispose che Shath era ormai il dominio della disgrazia e della miseria. Nulla prosperava là, né nel focolare né nei terreni coltivati, tutto era maledetto da pestilenze e malanni, i semi della primavera gelavano nel terreno oppure il grano maturo marciva, e così era stato da molti e molti anni. E allora Ennoch gli disse: — Io sono Getheren di Shath — e gli narrò come era andato sul Ghiaccio e cosa vi aveva dovuto affrontare e cosa vi aveva trovato. Alla fine della sua storia egli disse: — Di' a Shath, a tutti, che io riprendo il mio nome e la mia ombra. — Non molti giorni dopo questo, Getheren si ammalò e morì. Il viaggiatore portò le sue parole a Shath, e si dice che da quel giorno in poi il dominio prosperò di nuovo, e tutto andò come doveva andare nei campi e nelle case e nel focolare.
CAPITOLO TERZO
Il re pazzo
Dormii fino a tardi e passai la coda della mattinata rileggendo gli appunti che avevo preso sull'etichetta di Palazzo e le osservazioni sulla psicologia getheniana e sulle usanze locali che erano state fatte dai miei predecessori, gli Investigatori. Non assorbivo quel che leggevo, ma questo non contava, poiché già sapevo ogni parola a memoria, e leggevo soltanto per fare tacere la voce interiore che continuava a dirmi È andato tutto male, è stato sbagliato tutto fin dall'inizio. Quando non riuscii a far tacere quella voce interna, decisi di discutere con essa, asserendo che avrei potuto cavarmela ugualmente senza Estraven… forse ancor meglio che con lui. Dopotutto, il mio lavoro su Inverno era un lavoro solitario. Esiste sempre soltanto un Primo Mobile. Le prime notizie dell'Ecumene su qualsiasi mondo sono pronunciate da una sola voce, da un uomo presente in carne e ossa, presente e solo. Quest'uomo può venire ucciso, come Pellelge lo era stato su Taurus IV, o rinchiuso tra i pazzi e i dementi, come lo erano stati i primi tre Mobili su Gao, uno dopo l'altro; malgrado ciò, questa usanza è mantenuta, perché funziona. Una voce che pronuncia la verità è una forza più grande delle flotte e delle armate, dando tempo al tempo; molto, molto tempo; ma il tempo è una delle poche cose che l'Ecumene ha in sovrabbondanza… Tu no, invece, diceva la voce interna, ma con il ragionamento la feci tacere, e arrivai al Palazzo, per la mia udienza regale, alla Seconda Ora, pieno di calma e risoluzione. Tutto questo mi fu portato via da un colpo violento, nella vasta anticamera, prima ancora che io vedessi il re.