Dire che un governo Orgota cade significa, naturalmente, solo che un gruppo di Commensali ha sostituito un altro gruppo di Commensali negli Uffici che controllano il corpo dei Trentatré. Certe ombre si accorciano e certe altre si allungano, come si dice in Karhide. La fazione del Sarf che mi aveva mandato a Pulefen resistette, malgrado l'imbarazzo — del resto non nuovo — di essere stata colta in palese menzogna, fino all'annuncio pubblico dato da Argaven sull'imminente arrivo della Nave Stellare in Karhide. Quel giorno il partito di Obsle, la fazione del Libero Mercato, si impadronì degli uffici direttivi dei Trentatré. Così, dopotutto, io ero stato di qualche utilità a quel gruppo.
In Karhide la caduta di un governo significa, in quasi tutte le accezioni, la caduta in disgrazia e la sostituzione di un Primo Ministro, insieme a un leggero rimpasto del kyorremy; benché l'assassinio politico, l'abdicazione, e l'insurrezione siano tutte alternative di una certa frequenza. Tibe non fece alcun tentativo di resistere. Il mio valore corrente nel gioco dello shifgrethor internazionale, più la mia vendetta (questo implicitamente) di Estraven, mi diedero, alla luce dei fatti, un peso in prestigio così superiore al suo, che egli diede le dimissioni, come più tardi appresi, ancor prima che il Governo di Erhenrang venisse a conoscenza del fatto che io avevo chiamato via radio la mia nave stellare. Aveva agito in base all'avvertimento ricevuto da Thessicher, aveva aspettato fino a quando non aveva avuto notizia della morte di Estraven, e poi aveva dato le dimissioni. Aveva ottenuto la sua sconfitta e la sua vendetta di quella sconfitta allo stesso tempo, in un colpo solo.
Quando Argaven venne completamente informato dell'accaduto, mi inviò una convocazione, una richiesta di andare immediatamente a Erhenrang, e insieme alla convocazione una somma cospicua quale rimborso spese. La Città di Sassinoth, con uguale liberalità, mandò con me il giovane dottore, perché non ero ancora in condizioni buone. Facemmo il viaggio a bordo di slitte a motore. Ricordo solo alcune parti di quel viaggio; era calmo, tranquillo e senza fretta, con lunghe soste in attesa di pressaneve che spianassero la strada, e lunghe notti passate nelle locande che sorgevano lungo la via. Probabilmente il viaggio occupò solo due o tre giorni, ma mi parve lunghissimo, e non riesco a ricordarne molto, fino al momento in cui attraversammo la Porta Nord di Erhenrang, e ci trovammo nelle strade profonde, piene d'ombra e di neve.
Allora sentii che il mio cuore s'induriva e la mente si schiariva, finalmente. Io ero stato completamente in pezzi, disintegrato nel corpo e nello spirito. Ora, benché quel viaggio agevole mi avesse stancato molto, ritrovai dentro di me della forza, qualche forza che era miracolosamente rimasta integra. Forza dell'abitudine, è probabile più di ogni altra cosa, perché finalmente mi trovavo in un luogo che conoscevo, una città nella quale avevo vissuto, e lavorato, per più di un anno. Riconoscevo le strade, le torri, i cortili severi e i sentieri e le facciate del Palazzo. Conoscevo qual era il mio compito, là. Perciò per la prima volta mi venne in mente il pensiero che, essendo morto il mio amico, dovevo portare a compimento l'impresa per la quale lui era morto. Questo era molto chiaro in quel momento, per me. Dovevo mettere la chiave di volta nell'arcata.
Alle porte del Palazzo, l'ordine che mi concerneva era quello di procedere per una delle Case degli Ospiti, all'interno delle mura del Palazzo. La mia dimora era la Dimora della Torre Rotonda, la qual cosa significava un altissimo grado di shifgrethor nella corte: non tanto il favore del re, quanto il suo riconoscimento di uno status già alto. Gli ambasciatori di potenze amichevoli erano solitamente alloggiati là. Era un ottimo segno. Per arrivarci, però, dovemmo passare davanti alla Dimora Rossa dell'Angolo, e io guardai, attraverso la porta dallo stretto arco, l'albero spoglio che tendeva i suoi rami sulla piscina, grigia di ghiaccio, e la casa che sorgeva ancora vuota e abbandonata.
Alla porta della Torre Rotonda venni accolto da una persona in hieb bianco e camicia cremisi, che portava una catena d'argento intorno al collo: Faxe, il Profeta della Fortezza di Otherhord. Alla vista del suo volto bello e gentile, il primo volto conosciuto che vedessi da moltissimi giorni, una fiumana di sollievo travolse e addolcì il mio umore di risoluzione tesa e forzata. Quando Faxe mi prese le mani, nel raro gesto di saluto karhidiano, e mi diede il benvenuto come amico, riuscii a rispondere in qualche maniera al suo calore.
Lui era stato mandato al kyorremy dal suo distretto, Sud Rer, nei primi giorni dell'autunno. L'elezione di membri del consiglio tra gli Abitanti delle Fortezze Handdara non è un evento insolito; non è però usuale che un Tessitore accetti la carica, e credo che Faxe avrebbe rifiutato, se egli non fosse stato troppo preoccupato degli effetti del governo di Tibe, e della direzione in cui esso stava portando la nazione. Così egli si era separato dalla catena rossa di Tessitore, e aveva indossato la catena d'argento del consigliere; e non aveva impiegato molto a lasciare il suo segno nella corte, perché dal mese di Thern era diventato membro dell'Heskyorremy, o Concilio Interno, che serve da contrappeso al Primo Ministro, ed era stato il re a nominarlo per quell'alto incarico. Forse Faxe stava salendo a quella posizione di eminenza dalla quale Estraven, meno di un anno prima, era caduto. Le carriere politiche, in Karhide, sono brusche, precipitose.
Nella Torre Rotonda, una casetta fredda e pomposa, Faxe e io parlammo a lungo, prima che io dovessi vedere qualcun altro, o fare qualche dichiarazione o apparizione formale. Lui mi chiese, con i suoi occhi chiari fissi su di me:
— C'è una nave che viene, allora, che discende sulla terra: una nave più grande di quella con la quale siete disceso sull'Isola di Horden, tre anni fa. È vero, questo?
— Sì. Cioè, ho inviato un messaggio che dovrebbe prepararla a discendere.
— E quando verrà?
Quando mi resi conto di non sapere neppure in quale giorno del mese fossimo, cominciai anche a capire in quali condizioni tragiche mi ero trovato, fisicamente e moralmente, negli ultimi tempi. Fui costretto a contare faticosamente i giorni, risalendo a quello precedente la morte di Estraven. Quando scoprii che l'astronave, se fosse stata alla distanza minima nel momento della chiamata, doveva già trovarsi in orbita planetaria, in attesa di una mia comunicazione, provai un'altra scossa violenta.
— Devo comunicare con la nave. Vorranno delle istruzioni. Dove desidera che discenda, il re? Dovrebbe trattarsi di una regione disabitata, e abbastanza vasta. Devo avere una trasmittente…
Tutto venne disposto rapidamente, e con facilità. Le interminabili convulsioni e frustrazioni dei miei precedenti contatti con il Governo di Erhenrang si erano fuse come ghiaccio in un fiume caldo, nel tempo del disgelo. La ruota girava… Il giorno dopo avrei avuto un'udienza dal re.
C'erano voluti sei mesi, a Estraven, per predisporre la mia prima udienza. C'era voluto tutto il resto della sua vita per disporre la seconda.
Ero troppo stanco per provare apprensione, questa volta, e c'erano cose, nella mia mente, il cui peso era assai superiore alla vergogna, o alla coscienza di me stesso. Percorsi il lungo corridoio rosso, sotto le bandiere polverose, e mi fermai davanti alla piattaforma, con i suoi tre grandi focolari, dove tre fuochi vividi scintillavano e crepitavano. Il re era seduto accanto al focolare centrale, curvo su uno sgabello intarsiato, accanto al tavolo.