— Mi avete portato a contare su voi…
— È stato fatto male.
— Intendete dire che, nel preparare questa udienza, non avete parlato in favore della mia missione al re, come avevate… — Ebbi il buon senso di fermarmi, prima di pronunciare la parola promesso.
— Non posso.
Ero in collera, ma in lui non incontrai né collera, né scuse.
— Volete dirmi il perché?
Dopo un breve silenzio, egli disse:
— Si. — E poi tacque di nuovo.
Durante la pausa, cominciai a pensare che un alieno inetto e indifeso non avrebbe dovuto chiedere delle ragioni al primo ministro di un regno, soprattutto quando egli non comprende e forse non comprenderà mai le fondamenta del potere e il funzionamento del governo in quel regno. Senza dubbio, questa era totalmente una questione di shifgrethor… prestigio, faccia, posto, la relazione d'orgoglio, l'intraducibile, e dominante principio di tutte le civiltà di Gethen. E se fosse stato questo, io non avrei potuto capire.
— Avete sentito quel che mi ha detto il re alla cerimonia, oggi?
— No.
Estraven si curvò in avanti, quasi sul focolare, prese la brocca di birra dalle calde ceneri, e riempì il mio boccale d'argento. Non disse altro, e cosi io aggiunsi:
— Il re non vi ha parlato al mio cospetto — dissi.
— E neppure al mio — disse lui.
Capii, finalmente che stavo trascurando un altro segnale. Maledizione alla sua obliquità effemminata, pensai. E così pensando, dissi:
— State cercando di dirmi, Lord Estraven, di non godere più il favore del re?
Credo che allora fosse in collera, ma non disse niente che potesse mostrarlo, solo:
— Non sto cercando di dirvi nulla, signor Ai.
— Per Dio, vorrei che lo faceste!
Mi fissò con aria curiosa.
— Bene, allora, mettiamola in questo modo. Ci sono alcune persone, a corte, che, per usare la vostra frase, godono il favore del re, ma che non favoriscono la vostra presenza, né la vostra missione qui.
E così ti stai affrettando a unirti a loro, vendendomi con tanta disinvoltura per salvarti la pelle, pensai, ma era inutile dirlo a parole. Estraven era un cortigiano, un politico, e io ero uno stupido a essermi fidato di lui. Perfino in una società bisessuale gli uomini politici erano spesso qualcosa di meno di un uomo integro. Il suo invito a cena mostrava come egli pensasse che io avrei accettato il suo tradimento con la stessa disinvolta facilità con la quale lui l'aveva commesso. Chiaramente, salvare la faccia era più importante dell'onestà. Così mi costrinsi a dire:
— Sono spiacente che la vostra cortesia nei miei confronti vi abbia provocato dei guai. — Carboni ardenti. Provai un appropriato, piacevole senso di superiorità morale, ma non per molto: lui era troppo imprevedibile.
Sedette, appoggiato allo schienale, in modo che la luce del fuoco si posasse sanguigna sulle sue ginocchia e sulle mani piccole, forti, delicate, e sul boccale d'argento che teneva in pugno, ma lasciasse nelle tenebre il suo viso: un viso scuro perennemente ombreggiato dai folti capelli lisci e lunghi, e dalle folte sopracciglia e dalle lunghe ciglia, e da una oscura mitezza di espressione. Si può leggere il viso di un gatto, di una foca, di una lontra? Alcuni getheniani, pensavo, sono come questi animali, con grandi occhi luminosi, profondi, che non cambiano espressione quando voi parlate.
— Io ho provocato i miei guai — rispose, — con un atto che non aveva nulla a che fare con voi, signor Ai. Voi sapete che Karhide e Orgoreyn hanno una disputa che riguarda un territorio della nostra frontiera, nell'alta Barriera di Settentrione, vicino a Sassinoth. Il nonno di Argaven ha reclamato la Valle di Sinoth in nome di Karhide, e i Commensali non hanno mai riconosciuto la pretesa. Molta neve caduta da una sola nube, e si fa sempre più fitta e più alta. Io ho aiutato certi contadini kharidi che vivono nella Valle a trasferirsi a est, attraverso l'antica frontiera, pensando che la disputa avrebbe potuto risolversi da sola, se la Valle fosse stata lasciata semplicemente agli Orgota, che sono vissuti là per diverse migliaia di anni. Alcuni anni or sono io facevo parte dell'Amministrazione della Barriera di Settentrione, e ho avuto modo di conoscere alcuni di questi contadini. Detesto l'idea che essi possano venire uccisi in un assalto, o inviati nelle Fattorie Volontarie di Orgoreyn. Perché non ovviare l'argomento della disputa?… Ma questa non è un'idea patriottica. In realtà, è un'idea vile e bastarda, e pregiudica lo shifgrethor del re in persona.
Le sue ironie, e questo altalenare di una controversia di frontiera con Orgoreyn, non erano di alcun interesse per me. Ritornai all'argomento che si trovava tra noi. Che mi fidassi o no di lui, avrebbe potuto essermi utile.
— Mi dispiace — dissi, — ma sembra deplorevole che questa questione riguardante pochi contadini possa pregiudicare le possibilità di successo della mia missione presso il re. C'è molto di più, in gioco, di poche miglia di confini nazionali.
— Sì. Molto, molto di più. Ma forse l'Ecumene, che da una frontiera all'altra abbraccia cento anni-luce, sarà paziente con noi per un poco.
— Gli Stabili dell'Ecumene sono uomini molto pazienti, signore. Aspetteremo cento anni, o cinquecento, perché Karhide e tutto il resto di Gethen deliberino e riflettano sulla decisione di unirsi o meno al resto del genere umano. Io parlo soltanto per speranza personale. E per una delusione personale. Confesso di aver pensato che, con il vostro appoggio…
— Anch'io. Bene, i Ghiacciai non sono gelati in una notte… — Le espressioni stereotipate salivano facilmente alle sue labbra, ma la sua mente era altrove. Era cupo e pensieroso. Immaginai che egli mi muovesse insieme alle altre pedine, nel suo gioco per il potere. — Voi siete venuto nel mio paese — disse, alla fine, — in un tempo strano. Le cose cambiano; noi stiamo iniziando una nuova svolta. No, non è tanto questo, quanto il proseguire troppo lontano lungo il cammino che abbiamo percorso. Pensavo che la vostra presenza, la vostra missione, potessero impedirci di sbagliare, offrirci una possibilità completamente nuova. Ma al momento giusto… nel luogo giusto. E tutto eccessivamente rischioso, signor Ai.
Spazientito dalle sue generalizzazioni, dalle vaghe frasi che pronunciava, dissi:
— È implicito nelle vostre parole il concetto che questo non sia il momento giusto. Mi consigliate forse di annullare la mia udienza?
La mia gaffe era ancora peggiore in lingua Kharidi, ma Estraven non sorrise, né fece una smorfia.
— Temo che soltanto il re abbia questo privilegio — disse, in tono blando.
— Oh, Dio, sì. Non intendevo quello. — Mi presi il capo tra le mani, per un momento. Allevato nell'apertissima, libera società della Terra, non avrei mai saputo dominare il protocollo, né l'impassibilità, così apprezzati dai karhidiani. Sapevo bene cos'era un re, la storia stessa della Terra ne è piena, ma non avevo un'esperienza a guidarmi, per farmi avvertire automaticamente il senso del privilegio… non avevo tatto. Sollevai il mio boccale e bevvi un sorso caldo e lungo e amaro. — Bene, dirò al re meno di quanto intendessi dire, quando potevo contare su di voi.
— Bene.
— Perché bene? — domandai.
— Ebbene, signor Ai, voi non siete pazzo. Io non sono pazzo. Ma in fondo, né voi né io siamo re, vedete… Suppongo che intendeste dire ad Argaven, razionalmente, che la vostra missione qui consiste nel tentare di stabilire una alleanza tra Gethen e l'Ecumene. E, razionalmente, egli questo lo sa già; perché, come sapete, io gliel'ho detto. Ho spinto la vostra causa, imponendola alla sua attenzione, esortandolo a considerarla, ho cercato di farlo interessare a voi. È stato fatto male, con una scelta dei tempi ancor peggiore. Ho dimenticato, essendo io stesso troppo interessato, che egli è un re, e non vede le cose razionalmente, ma come un re. Tutto ciò che gli ho detto significa per lui, semplicemente, che il suo potere è minacciato, che il suo regno è un granello di polvere nello spazio, che la sua regalità è uno scherzo per gli uomini che governano cento mondi.