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— Pensavo che su di me sarebbe stato facile — confessò. Eravamo entrambi stanchissimi, e rimandammo così il nuovo tentativo alla notte successiva.

I nostri tentativi successivi non furono coronati da un maggiore successo. Cercai di trasmettere un pensiero a Estraven, mentre lui dormiva, ricordando quel che mi aveva detto il mio Istruttore sul verificarsi di «messaggi nel sonno» tra le popolazioni non telepatiche, ma neppure questo sistema funzionò.

— Forse la mia specie manca della capacità di farlo — mi disse. — Ci sono sufficienti indizi e voci e sospetti, nel nostro mondo, da averci indotti a creare una parola per definire questo potere, ma non conosco alcun esempio dimostrato di telepatia, tra di noi.

— Così è stato per il mio popolo, per migliaia di anni. Pochi Sensitivi naturali, che non comprendevano il loro talento, e non avevano nessuno a cui trasmettere, o da cui ricevere. Tutti gli altri, telepatici latenti, nel migliore dei casi. Ve l'ho già detto: eccettuato il caso di colui che è nato Sensitivo, la capacità, benché abbia una fase fisiologica, è psicologica, un prodotto della civiltà, un effetto collaterale dell'uso della mente. I giovanissimi, e i deboli di mente, i malati, e i membri di società non evolute o regredite, non possono parlare mentalmente. Prima di tutto, la mente deve esistere su un certo piano di complessità. Voi non potete creare degli aminoacidi da atomi d'idrogeno; prima di questo, la complessità delle strutture deve aumentare e di molto. È la stessa situazione. Il pensiero astratto, rapporti sociali complessi e variati, intricati aggiustamenti culturali, percezione estetica ed etica, tutti questi elementi devono raggiungere un certo livello prima che le connessioni possano essere fatte… prima che la potenzialità possa essere almeno toccata.

— Forse noi getheniani non abbiamo raggiunto quel livello.

— Lo avete oltrepassato e di molto. Ma è in gioco anche la fortuna. Come nella creazione di aminoacidi… O, per portare l'analogia sul piano culturale… si tratta solo di analogie, ma sono illuminanti… il metodo scientifico, per esempio, l'uso di tecniche concrete, sperimentali, nella scienza. Esistono popoli nell'Ecumene che possiedono un'alta cultura, una società complessa, filosofie, arti, strutture etiche e morali, un grande stile e un'alta perfezione in tutti questi campi; eppure non hanno mai imparato a pesare accuratamente un sasso. Possono impararlo, naturalmente. Solo che per mezzo milione di anni non l'hanno mai fatto… Esistono dei popoli che non hanno sviluppato affatto le forme più alte di matematica, sono rimasti alle forme più semplici di matematica applicata. Ciascuno di questi uomini è in grado di comprendere il calcolo, ma nessuno di loro lo fa, né l'ha mai fatto. Per essere sinceri, il mio stesso popolo, i terrestri, ignorava l'uso dello zero, fino a circa tremila anni fa.

— Questo fece battere le palpebre a Estraven, per lo stupore.

— In quanto a Gethen, sono curioso di scoprire se anche tutti gli altri popoli dell'Ecumene possiedono la capacità di compiere Profezie… vorrei sapere se anche questo fa parte dell'evoluzione della mente… se voi ce ne insegnerete le tecniche.

— Pensate che si tratti di una realizzazione utile?

— L'accuratezza della profezia? Be', naturalmente!…

— Dovrete arrivare a credere che si tratti di una cosa inutile, per poterla praticare.

— La vostra dottrina Handdara mi affascina, Harth, ma a volte arrivo a chiedermi se non si tratti soltanto del paradosso sviluppato fino a diventare un sistema di vita…

Tentammo di nuovo il linguaggio della mente. Non avevo trasmesso mai, in passato, ripetutamente, a un non-ricevente totale. L'esperienza era spiacevole. Cominciai a capire quel che doveva provare un ateo che prega. Alla fine Estraven sbadigliò, e disse:

— Sono sordo, sordo come una roccia. Faremo meglio a dormire.

Io assentii.

Lui spense la luce, mormorò la sua breve lode delle tenebre; affondammo nei nostri sacchi a pelo, e dopo un minuto o due lui stava scivolando nel sonno, come un nuotatore affonda nell'acqua nera. Sentii il suo sonno come se fosse il mio: il legame telepatico era là, e ancora una volta lo chiamai telepaticamente, assonnato, chiamandolo per nome:

Therem!

Lui dovette sollevarsi di scatto, perché la sua voce giunse fino a me nel buio, forte, improvvisa:

— Arek! sei tu?

No: Genly Ai. Questo è il linguaggio della mente.

Trattenne il respiro. Silenzio. A tentoni, lo sentii, stava cercando qualcosa, vicino alla stufa Chabe. Accese la luce. Mi fissò, con gli occhi scuri pieni di paura.

— Sognavo — disse. — Pensavo di essere a casa…

— Ero io, che parlavo con la mente.

— Mi avete chiamato… Era mio fratello. Era la sua voce, che ho udito. È morto. Mi avete chiamato… Mi avete chiamato Therem? Io… Questo è più terribile di quanto avessi pensato. — Scosse il capo, come un uomo che voglia scuoter via il ricordo di un incubo, e poi si prese il viso tra le mani.

— Harth, mi dispiace, mi dispiace molto…

Senza alzare il viso, mi disse:

— No, chiamami per nome. Se tu puoi parlare nel mio cranio, con la voce di un morto, allora, allora mi puoi chiamare per nome! Lui forse mi avrebbe chiamato Harth? Mi avrebbe dato del voi! Oh, adesso capisco perché non si può mentire, in questo linguaggio della mente. È una cosa terribile… Va bene. Va bene, parlami ancora.

— Aspetta.

— No. Avanti!

Sollevò il capo, e mi fissò con il suo sguardo spaventato, ardente, e io parlai di nuovo mentalmente:

Therem, amico mio, non c'è nulla da temere, tra di noi.

Continuò a fissarmi, così pensai che egli non avesse capito; ma aveva capito.

— Ah, ma c'è molto, invece — disse.

Dopo qualche tempo, controllandosi, egli disse, con calma:

— Hai parlato nella mia lingua.

— Ebbene, tu non conosci la mia.

— Hai detto che ci sarebbero state delle parole, lo so… Eppure l'immaginavo come… una comprensione…

— L'empatia è un'altra cosa, benché non sia priva di collegamenti. È stata l'empatia a stabilire la connessione tra noi, questa notte. Ma nel linguaggio mentale vero e proprio, i centri della parola del cervello sono attivati, come…

— No, no, no. Dimmelo dopo, questo. Perché hai parlato con la voce di mio fratello? — La sua voce era tesa.

— A questo non posso e non so rispondere. Non lo so. Parlami di lui.

Nusuth… Il mio fratello della carne, Arek Harth rem ir Estraven. Era di un anno maggiore di me. Sarebbe diventato Lord di Estre. Noi… io ho lasciato la casa, sai, per amor suo. È morto da quattordici anni.

Rimanemmo entrambi in silenzio per qualche tempo. Io non potevo sapere, né chiedergli, cosa si nascondeva dietro le sue parole: gli era costato troppo dire quel poco che aveva detto.

Alla fine gli dissi:

— Parlami con la mente, Therem. Chiamami per nome.

Sapevo che poteva farlo. Il rapporto c'era, o, come avrebbero detto gli esperti, le fasi erano consonanti, e naturalmente fino a quel momento non aveva idea di come alzare volontariamente la barriera. Se fossi stato un Ascoltatore, avrei potuto sentirlo pensare.

— No — disse lui. — Mai. Non ancora…

Ma nessuna forza di emozione, timore, terrore, avrebbe potuto trattenere per molto tempo quella mente insaziabile, rivolta sempre più avanti. Quando ebbe spento di nuovo la luce, improvvisamente lo udii balbettare, nel mio udito interiore: «… Genry…» Perfino parlando con la mente non era in grado di pronunciare bene la «elle».

Risposi subito. Nel buio, egli fece un suono inarticolato di paura, che aveva una lievissima sfumatura di soddisfazione.