Ma i bambini… i bambini sono diversi.
Era un anno e mezzo che uscivo con Rita e in quel periodo avevo lentamente e deliberatamente conquistato la fiducia di Astor e Cody. Ero okay. Non avrei cercato di far loro del male. Mi ricordavo dei loro compleanni, delle pagelle, delle vacanze. Potevo entrare in casa loro senza pericolo. Di me si potevano fidare.
Assai ironico, ma vero, che fossi io l’unico uomo di cui si potessero fidare. Rita pensava che facesse parte del mio lungo corteggiamento: mostrarle che ero simpatico ai bambini e… chissà? Ma la verità era che mi importava più di loro che di lei. Forse era già troppo tardi, ma non volevo vederli crescere per diventare come me.
Quel venerdì sera fu Astor ad aprire la porta. Indossava una lunga T-shirt con la scritta RUG RATS che le arrivava sotto le ginocchia. I capelli rossi erano raccolti in due treccine e il suo visino era totalmente inespressivo. «Ciao, Dexter», mi accolse, con la sua voce troppo calma. Per lei, due parole erano già una lunga conversazione.
«Buona sera, bella signorina», dissi io, con la mia migliore imitazione di Lord Mountbatten. «Posso osservare che vi trovo assai graziosa, questa sera?»
«Okay», fece Astor, tenendo la porta aperta. «Eccolo», aggiunse, voltandosi all’indietro.
La superai. Cody era dietro di lei, pronto a coprirle le spalle, in caso di necessità. «Cody», lo salutai. Gli consegnai una confezione di Necco Wafers. Lui la prese senza togliermi gli occhi di dosso e lasciò cadere la mano inerte lungo un fianco, senza neanche guardarla. Non l’avrebbe aperta finché non me ne fossi andato e avrebbe fatto a metà con sua sorella.
«Dexter?» chiamò Rita dall’altra stanza.
«Sono qui», risposi. «Non puoi insegnare a questi bambini a comportarsi bene?»
«No», rispose Cody a bassa voce. Un nostro gioco. Lo guardai. E adesso?
Un giorno sarebbe diventato un cantante? Avrebbe ballato il tip tap per strada? Avrebbe tenuto un discorso alla convention del Partito Democratico?
Rita sbucò dalla stanza, mettendosi un orecchino ad anello. Tutto sommato, era piuttosto provocante. Indossava un impalpabile vestitino di seta azzurra che le arrivava a metà coscia e, naturalmente, le sue migliori scarpe da ginnastica New Balance. Prima di lei non avevo mai incontrato una donna che indossasse scarpe comode a un appuntamento. Incantevole creatura.
«Ciao, bello», disse Rita. «Due parole alla baby-sitter e ce ne andiamo.» Andò in cucina, dove la sentii dare istruzioni alla figlia teenager dei vicini, arruolata come baby-sitter: ora di andare a letto, compiti, cosa vedere e non vedere in TV, numero di cellulare, numero di emergenza, cosa fare in caso di avvelenamento o decapitazione accidentale.
Cody e Astor continuavano a fissarmi. «Andate al cinema?» mi chiese la bambina.
Feci cenno di sì. «Se troviamo un film che non ci faccia vomitare.»
«Yuk», fece Astor, con una smorfietta di disgusto sul visino. Provai una punta sottile di soddisfazione.
«Ma tu vomiti al cinema?» chiese Cody.
«Cody», lo redarguì la sorella.
«Davvero?» insistette il bambino.
«No», risposi. «Ma spesso vorrei farlo.»
«Andiamo», esclamò Rita, arrivando di corsa, prima di chinarsi a dare un bacio sulla guancia a entrambi i figli. «Date retta ad Alice. A letto alle nove in punto.»
«Poi torni?» chiese Cody.
«Cody! Ma certo che torno», esclamò Rita.
«Dicevo a Dexter», precisò il bambino.
«Sarai a dormire», dissi io. «Ma ti farò un saluto, okay?»
«Non sarò a dormire», replicò Cody, serio.
«Allora mi fermerò a fare una partita a carte con te.»
«Davvero?»
«Assolutamente. Poker. Chi vince si prende i cavalli.»
«Dexter!» mi rimproverò Rita, con un sorriso. «Sarai a dormire, Cody. E adesso buona notte, bambini. Fate i bravi.» Mi prese per un braccio e mi condusse fuori dalla porta. «Ti vengono proprio a mangiare in mano», mormorò.
Il film non era nulla di speciale. Non mi venne da vomitare, ma me l’ero praticamente già dimenticato quando ci fermammo in un posticino a South Beach per il bicchiere della staffa.
L’idea era stata di Rita. Per quanto avesse passato a Miami quasi tutta la vita, era ancora convinta che South Beach fosse un luogo chic. Forse era per via di tutti quei rollerblade. O forse pensava che qualsiasi luogo brulicante di gente sgarbata dovesse per forza essere chic.
In ogni caso, aspettammo venti minuti prima che ci dessero un tavolino e altri venti perché si facesse vivo un cameriere. Non m’importava.
Mi divertivo a osservare gli idioti di bella presenza che si guardavano a vicenda. Molto più interessante che seguire una partita.
Dopo di che facemmo due passi lungo Ocean Boulevard, chiacchierando del più e del meno, un’arte in cui eccello. Era una serata deliziosa. La luna piena di qualche notte prima, quando avevo intrattenuto padre Donovan, era ormai sbocconcellata.
E mentre tornavamo verso la casa di Rita a South Miami, al termine di una nostra serata standard, ci trovammo a un incrocio in una delle zone meno salubri di Coconut Grove. Una luce rossa lampeggiante attirò la mia attenzione. Mi voltai verso la trasversale. Scena di un crimine. Il nastro giallo era già teso e c’erano tre auto della polizia parcheggiate alla bell’e meglio.
Di nuovo Lui, pensai, e svoltai prima ancora di rendermene conto.
«Dove andiamo?» chiese Rita. Era una richiesta ragionevole.
«Ah. Vorrei dare un’occhiata e controllare che non abbiano bisogno di me.»
«Non hai un cercapersone?»
Le rivolsi il mio miglior sorriso da venerdì sera. «Non sempre sanno di avere bisogno di me.»
Avrei potuto fermarmi anche per un’altra ragione: farmi vedere insieme a Rita. Il senso di un travestimento è farsi vedere quando lo si indossa. Ma, per la verità, la voce che mi sussurrava all’orecchio mi avrebbe fatto fermare comunque.
Di nuovo Lui. E dovevo sapere che cosa Lui stesse combinando. Lasciai Rita nell’auto e corsi a curiosare.
Il maledetto ne aveva combinata un’altra delle sue. Di nuovo lo stesso cumulo di membra imballate, di nuovo Angel Nessuna Parentela chino praticamente nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato sulla scena precedente.
«Hijo de puta», disse Angel, quando mi avvicinai.
«Non stai parlando di me, suppongo.»
«Tutti noi ci lamentiamo di dover lavorare di venerdì sera e tu compari con una ragazza al seguito. E continua a non esserci lavoro per te.»
«Stesso individuo, stesso schema?»
«Identico», confermò Angel, sollevando un lembo del sacco con la matita. «Dissanguata. Neanche una goccia.»
Quelle parole mi diedero un vago senso di vertigine. Mi chinai a guardare. Anche stavolta le membra erano sorprendentemente pulite ed esangui. Avevano una sfumatura azzurrognola e sembravano bloccate nell’esatto momento della perfezione. Meraviglioso.
«Una lieve differenza nel taglio, questa volta», rilevò Angel. «In quattro punti», indicò. «Qui molto rude, quasi emotivo. Poi qui un po’ meno. Qui e qui, una via di mezzo. Eh?»
«Molto bello.»
«E poi, guarda questo.» Sfiorò il troncone dissanguato con la matita. La carne era stata tagliata longitudinalmente, con grande precisione, fino a mettere a nudo l’osso. «Perché ha dovuto farlo?»
Respirai a fondo. «Sta sperimentando. Cerca di trovare il modo giusto.» E continuai a fissare quella nitida sezione fino a quando mi resi conto che Angel mi stava guardando da un po’.
«Come un bambino che gioca col cibo nel piatto.» Così descrissi a Rita la scena, quando tornai all’auto.
«Mio Dio», mormorò lei. «È orribile.»
«Credo che la parola giusta sia macabro.»