Dietro di me sentii avviare un motore.
Spuntò da dietro la stazione di servizio ai piedi del ponte e svoltò bruscamente. Mi passò accanto, con le ruote posteriori che slittavano sull’asfalto. Proprio in quel momento intravidi una sagoma volare fuori dal finestrino, puntando minacciosamente verso di me. Mi riparai. Qualcosa urtò la fiancata della mia auto, con un rumore che poteva significare un bel po’ di soldi dal carrozziere. Attesi un istante, per sicurezza, poi rialzai la testa. Il camion stava allontanandosi a gran velocità. Sfondò la barriera del ponte, che cominciava appena a sollevarsi, e passò agevolmente dall’altra parte, inseguito dalle urla del guardiano. Poi sparì verso la città, mentre il ponte continuava a sollevarsi. Perso, irrimediabilmente perso, come se non ci fosse mai stato. E non avrei mai saputo se fosse l’assassino oppure uno dei tanti coglioni di Miami.
Scesi dalla macchina per verificare il danno alla carrozzeria. Non era uno scherzo. Poi mi guardai intorno, per vedere che cosa fosse volato fuori dal finestrino del camion.
Era rotolata quattro o cinque metri più in là, nel mezzo della strada. Anche da quella distanza non mi potevo sbagliare, ma ne ebbi la certezza quando fu illuminata dai fari di un’auto in arrivo. Il veicolo sbandò e andò a sbattere contro una siepe. Il clacson si mise a suonare, ma le urla dell’automobilista lo sovrastavano. Mi avvicinai alla cosa, per vedere da vicino.
Sì, era proprio così.
Una testa di donna.
Mi chinai a guardarla. Il taglio era molto preciso, un bel lavoro. Non c’era quasi sangue sul bordo.
«Grazie a Dio», dissi, e mi accorsi che stavo sorridendo. E perché non avrei dovuto?
Non era una bella notizia? Non ero pazzo, dopotutto.
10
Poco dopo le otto del mattino, la detective LaGuerta mi trovò seduto sopra il bagagliaio della mia auto. Depose il suo elegante posteriore sulla carrozzeria e scivolò all’indietro, fino a toccarmi la coscia con la sua. Attesi che dicesse qualcosa, ma lei sembrava a corto di frasi di circostanza. Pure io. Perciò rimasi immobile per parecchi minuti a guardare il ponte, sentendo il calore della sua gamba e chiedendomi dove se ne fosse andato il mio timido amico sul camion. Ma a risvegliarmi dai miei sogni a occhi aperti fu una pressione sulla mia coscia.
Abbassai lo sguardo. La detective LaGuerta stava stringendomi la gamba con forza, come se stesse impastando farina. La guardai negli occhi. Lei sostenne il mio sguardo.
«Hanno trovato il corpo», disse. «Sai, quello a cui apparteneva la testa.»
Mi alzai in piedi. «Dove?»
Lei mi guardò come un poliziotto guarda un tale che trova teste mozzate per la strada. Ma rispose: «Office Depot Center».
«Dove giocano i Panthers?» chiesi io. E un brivido mi corse lungo la schiena. «Sul ghiaccio?»
Lei annuì, continuando a guardarmi. «La squadra di hockey. Si chiamano Panthers?»
«Così mi risulta», replicai. Non potei farne a meno.
Lei si risucchiò un labbro. «L’hanno trovato sul campo di gioco, ficcato nella rete.»
«Quella della squadra di casa o quella della squadra ospite?»
Lei batté le palpebre. «Fa differenza?»
Scossi la testa. «Stavo solo scherzando, detective.»
«Perché io la differenza non la so. Bisognerebbe chiedere a qualcuno che s’intende di hockey.» Finalmente mi tolse gli occhi di dosso e li rivolse sulla folla, forse alla ricerca di qualcuno con una mazza da hockey. «Sono lieta che tu riesca a scherzarci sopra. A proposito, sai cos’è un…» aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare «… samboli?»
«Un cosa?»
Lei alzò le spalle. «Una specie di macchina che usano sul ghiaccio.»
«Vuoi dire uno Zamboni?»
«Quello che è. Un tipo lo porta sul ghiaccio per preparare la pista per gli allenamenti di stamattina. Ci sono un paio di pattinatori che vengono molto presto, il ghiaccio gli piace fresco. Dunque il tipo, il guidatore di…» esitò per un istante «… samboli arriva presto nei giorni di allenamento. Porta questa macchina sul ghiaccio e vede tutti quei pacchetti ammonticchiati. Sai, nella rete. Allora scende a dare un’occhiata.» Alzò di nuovo le spalle. «Se ne sta occupando Doakes. Dice che non riesce a farlo stare calmo per cavargli di bocca qualcos’altro.»
«Io so qualcosa di hockey», dissi.
Lei mi guardò, quasi risentita. «Questo non lo sapevo, Dexter. Giochi a hockey?»
«No, non ho mai giocato. Ho visto qualche partita.»
Lei non replicò e io dovetti mordermi un labbro per non lasciarmi sfuggire altro. La verità era che Rita aveva l’abbonamento per tutta la stagione dei Florida Panthers e che io avevo scoperto, con mia grande sorpresa, che l’hockey mi piaceva. Non era solo per l’allegra frenesia omicida dei giocatori, ma anche perché stare seduto al freddo in quella grande arena mi rilassava. Ci sarei andato volentieri anche ad assistere a una partita di golf. E in realtà ero pronto a dire qualsiasi cosa perché LaGuerta mi ci portasse. Morivo dalla voglia di andarci. Volevo vedere quei brandelli di cadavere sul ghiaccio più di qualsiasi cosa al mondo. Mi sembrava di essere un cane da punta in un cartone animato. Mi sentivo quasi possessivo nei confronti del cadavere.
«Va bene», concluse lei, finalmente, prima che scoppiassi. Esibì un sorriso che era in parte ufficiale e in parte… In parte cosa? Qualcos’altro, qualcosa di umano, sfortunatamente oltre la mia comprensione. «Così potremo fare due chiacchiere.»
«Mi piacerebbe molto», dissi, trasudando fascino.
Lei non reagì. Forse non mi aveva sentito. Non che importasse. Quando si trattava di lei, LaGuerta non percepiva minimamente il sarcasmo. Era possibile adularla nel modo più improbabile e lei lo accettava come se le fosse dovuto. Non mi piaceva adularla. Non c’è gusto quando l’interlocutore non coglie l’ironia. Ma non sapevo che altro dire. Di cosa pensava che avremmo potuto parlare? Mi aveva già grigliato senza pietà appena giunta sulla scena del crimine.
In piedi, accanto alla mia povera auto ammaccata, avevamo visto sorgere il sole. Con lo sguardo rivolto alla Causeway, mi aveva chiesto sette volte, ciascuna con un’inflessione diversa, intervallata da un’espressione accigliata, se avessi visto l’uomo al volante del camion. Mi aveva chiesto cinque volte se ero sicuro che si trattasse di un camion frigorifero. Tuttavia ero sicuro che ci fosse dietro un gioco sottile: voleva chiedermelo ancora, ma si era trattenuta per non sembrare troppo ovvia. L’ultima volta, in un momento di distrazione, me lo aveva chiesto anche in spagnolo. Le avevo risposto che ero seguro e lei mi aveva guardato e mi aveva appoggiato una mano sul braccio. Non me lo aveva chiesto più.
Tre volte aveva guardato la pendenza del ponte, scosso ü capo ed esclamato tra i denti: «¡Puta!» Un chiaro riferimento all’agente Puta, la mia cara sorella. Di fronte all’apparizione del camion frigorifero, come predetto da Deborah, alla detective LaGuerta occorreva uno sforzo per mantenere la calma. A giudicare da come si mordicchiava il labbro inferiore, le stava costando una certa fatica. Ero certo che avrebbe trovato qualcos’altro per mettere a disagio mia sorella, era la sua specialità, ma per il momento auspicavo un minimo aumento delle quotazioni di Deborah. Non agli occhi di LaGuerta, beninteso, ma speravo che a qualcun altro non passasse inosservato il suo brillante contributo alle indagini.
Stranamente, LaGuerta non mi domandò perché fossi in giro in auto a quell’ora. Certo, io non sono un detective, ma a me sarebbe sembrata una domanda ovvia. Forse non è gentile dire che quella era una tipica svista laguertiana. In ogni caso, non me lo chiese.