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«Oh, donna di poca fede», lamentai. «Ha preso l’uomo sbagliato, Deborah. E adesso tu darai un nuovo corso alla politica.»

«Sicuro.»

«Daryll Earl McHale non è l’assassino. Non c’è alcun dubbio al riguardo.»

«E anche se hai ragione, cosa cambia?»

Ora era il mio turno di sorprendermi.

«Prego?»

«Be’, senti, se io sono l’assassino, a questo punto mi accorgo che l’ho fatta franca. Con questo tipo in arresto, tutti si mettono tranquilli, mi capisci. Allora perché non la smetto? O non ricomincio da qualche altra parte?»

«Impossibile», dissi. «Non capisci come ragiona questo tipo.»

«Sì, lo so. E tu come fai a capirlo?»

Preferii ignorare la domanda.

«Resterà qui e tornerà a uccidere. Deve farci vedere quello che pensa di noi.»

«Vale a dire?»

«Niente di buono», ammisi. «Abbiamo fatto una stupidaggine ad arrestare un demente conclamato come Daryll Earl. È tutto da ridere.»

«Ah-ah», fece Deb, tutt’altro che divertita.

«Ma abbiamo anche insultato il vero assassino. Abbiamo dato a questo buzzurro senza cervello tutti i meriti del suo lavoro, che sarebbe come dire a Jackson Pollock che i suoi quadri li può dipingere anche un bambino di sei anni.»

«Jackson Pollock? Il pittore? Ma Dexter, quest’uomo è un macellaio.»

«A suo modo è un artista, Deborah. E considera se stesso in questi termini.»

«Per l’amor di Dio. Questa è la cosa più stupida…»

«Credimi, Deb.»

«Certo, ti credo. Perché non dovrei? Allora, abbiamo un artista suscettibile che non intende muoversi di qui, giusto?»

«Giusto. Deve farlo di nuovo, proprio sotto il nostro naso, probabilmente combinandola grossa.»

«Vuoi dire che stavolta ammazzerà una prostituta grassa?»

«Voglio dire in grande stile, Deborah. Spettacolare.»

«Oh, spettacolare. Ci saranno anche i fuochi artificiali?»

«La posta è salita, Deb. Lo abbiamo provocato, lo abbiamo persino offeso, quindi il prossimo delitto rifletterà tutto questo.»

«Ah-ah», fece lei. «E come?»

«Proprio non lo so», ammisi.

«Ma ne sei sicuro.»

«Esatto.»

«Grandioso», sospirò lei. «Ora so cosa aspettarmi.»

13

Quando rientrai a casa dal lavoro il giorno seguente, seppi subito che qualcosa non andava. Qualcuno era entrato nel mio appartamento.

La porta non era stata scassinata, le finestre non erano state forzate e non si vedevano segni di vandalismo. Ma me ne accorsi lo stesso. Chiamatelo sesto senso, o quello che preferite. Forse sentivo nelle molecole dell’aria i feromoni lasciati dall’intruso. O forse l’aura della mia poltrona reclinabile Lazy Boy era stata disturbata. Non importava come, lo sapevo e basta: qualcuno era entrato in casa mentre ero al lavoro.

Non che fosse insolito, dopotutto ero a Miami. Capita ogni giorno di tornare a casa e scoprire che sono spariti il televisore, i gioielli e gli apparecchi elettronici, che il proprio spazio è stato violato, le cose di valore sono svanite e la cagnetta è incinta. Ma questo era diverso. Feci una rapida ricerca nell’appartamento, pur sapendo già che non era stato portato via niente.

Infatti avevo ragione. Non mancava niente.

Era stato aggiunto qualcosa.

Mi ci volle qualche minuto per trovarlo. Suppongo che qualche riflesso indotto dal lavoro mi abbia spinto a controllare per prime le cose più ovvie. Quando un intruso ti fa visita, è naturale che spariscano le Tue Cose: giocattoli, valori, reliquie private, gli ultimi biscotti al cioccolato. Perciò feci una breve ispezione.

Ma tutte le Mie Cose erano rimaste intatte. Il computer, lo stereo, il televisore, il videoregistratore… tutto era dove lo avevo lasciato. Persino la collezione di preziosi vetrini era al sicuro nella libreria, ciascuno con la sua gocciolina di sangue secco. Tutto era esattamente come lo avevo lasciato.

Per essere sicuro, controllai le aree private: camera da letto, bagno, armadietto dei medicinali. Tutto inviolato anche qui, in apparenza. Eppure aleggiava nell’aria la sensazione che ogni oggetto fosse stato esaminato, toccato e rimesso al suo posto con cura tale che perfino i granelli di polvere erano dove li avevo lasciati.

Tornai in salotto, sprofondai in poltrona e mi guardai intorno. Ero assolutamente certo che qualcuno fosse stato qui, ma a quale scopo? Chi era tanto interessato alla mia persona da penetrare nella mia casa e lasciare tutto esattamente com’era? Perché nulla era stato rubato, nulla era stato spostato. Forse il cumulo di giornali destinato alla raccolta differenziata pendeva leggermente a sinistra, ma magari era la mia immaginazione. Poteva essere stato anche il flusso d’aria del condizionatore. Non c’era niente di diverso, niente era cambiato, niente di niente.

Ma perché qualcuno avrebbe voluto entrare nel mio appartamento? Intenzionalmente, non c’era proprio niente di speciale. Faceva parte della costruzione del mio Profilo secondo Harry: mimetizzati, comportati normalmente, sii noioso. Non fare niente e non possedere niente che possa destare l’attenzione. Così avevo fatto. Non avevo cose di valore, a parte uno stereo e un computer. Nel vicinato c’erano parecchi bersagli molto più attraenti.

E, in ogni caso, perché qualcuno avrebbe dovuto entrarmi in casa senza prendere niente e senza lasciare alcun segno? Mi appoggiai allo schienale e chiusi gli occhi. Dovevo proprio essermelo immaginato. Doveva essere frutto della tensione. Un sintomo della mancanza di sonno e delle preoccupazioni per la carriera di Deborah. Un ulteriore segno del fatto che il Povero Vecchio Dexter si stava perdendo in Alto Mare. L’ultima transizione indolore da sociopatico a psicopatico. A Miami non è necessariamente sintomo di follia presumere di essere circondati da nemici anonimi, ma comportarsi di conseguenza è considerato socialmente inaccettabile. Prima o poi avrebbero dovuto rinchiudermi da qualche parte.

Eppure quella sensazione era forte. Cercai di scrollarmela di dosso, ripetendomi che era frutto di un’impressione errata, di uno scherzo dei nervi, di una cattiva digestione. Mi alzai, mi stiracchiai e cercai di concentrarmi su pensieri piacevoli. Non mi venne in mente niente. Scossi il capo e andai in cucina per bere un bicchier d’acqua. Ed eccola lì.

Eccola lì.

Mi fermai di fronte al frigorifero a guardare. Non so quanto tempo rimasi a guardare, come uno stupido. Appesa allo sportello del frigorifero con uno dei miei magneti a forma di frutti tropicali, c’era la testa di una Barbie. Non mi risultava di avercela appesa io. Non mi risultava di avere mai avuto una Barbie. Suppongo che me ne sarei ricordato.

Allungai una mano per toccare la testina di plastica, che ondeggiò lentamente, rimbalzando contro lo sportello con un lieve tac. La testina girò su se stessa di novanta gradi e gli occhi di Barbie mi fissarono con interesse, come quelli di un Collie. Ricambiai lo sguardo.

Senza sapere esattamente che cosa stessi facendo e perché, aprii lo sportello del freezer. All’interno, disteso con cura sul vassoio del ghiaccio, c’era il corpo di Barbie. Braccia e gambe erano stati asportati e il busto era stato diviso in due all’altezza della vita. I pezzi erano ben ordinati, impacchettati e legati con un nastrino rosa. E, in una manina, Barbie teneva uno dei suoi accessori: un piccolo specchio.

Dopo un lungo momento, chiusi lo sportello del freezer. Avrei voluto sdraiarmi a terra, faccia in giù sul linoleum. Invece tesi il mignolo e feci oscillare la testina di Barbie, che fece tac tac contro lo sportello. Ci giocherellai di nuovo. Tac tac. Ehi, avevo trovato un nuovo passatempo.