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In ogni caso, era una lettura interessante. E faceva riflettere. Santo cielo, era davvero possibile che quell’animale feroce fosse ancora in circolazione? Si era forse tutti in pericolo?

Il telefono squillò. Guardai l’orologio sulla parete. Erano le sei e quarantacinque. Non poteva trattarsi che di Deborah.

«Lo sto leggendo proprio adesso», risposi al ricevitore.

«Avevi detto in grande stile», osservò Deborah. «Spettacolare.»

«E questo non lo è?» chiesi io, con fare innocente.

«Non è neanche una puttana. Un bidello part-time della Ponce Junior High School, fatto a pezzi in un cantiere sulla Old Cutler. Che diavolo, Dexter!»

«Non lo sapevi che non sono infallibile, Deborah?»

«Non corrisponde a nessuno degli schemi. Dov’è finito il freddo? E lo spazio angusto?»

«Siamo a Miami, Deb. La gente ruba di tutto, anche le idee.»

«Non è neppure un copycat. Il delitto è tutto diverso. Persino LaGuerta l’ha capito. L’ha detto anche alla stampa che non c’entra. Accidenti, Dexter. C’è il mio culo in ballo. E questo è un assassinio casuale, o una faccenda di droga.»

«Non mi sembra carino darne la colpa a me.»

«Accidenti, Dexter!» sbottò lei, e riappese.

I programmi TV del mattino dedicarono ben novanta secondi allo sconvolgente ritrovamento del corpo martoriato. Channel 7 fu quello che usò gli aggettivi più efficaci. Ma, forse perché la polizia non aveva autorizzato riprese sulla scena del delitto, nessuno andava più in là di quanto si leggeva sul giornale. Tutti esprimevano oltraggio e un cupo senso di disastro incombente che si protrasse fino alle previsioni del tempo. Un’altra bella giornata a Miami, si prevedono corpi mutilati con possibilità di piogge nel pomeriggio.

Mi vestii e andai al lavoro.

Lo ammetto: avevo un altro motivo per dirigermi verso l’ufficio così presto. Ne approfittai per fare rifornimento di dolciumi. Comprai una frittella di mele, due ciambelle normali, e una alla cannella, grossa quanto la mia gomma di scorta. Mangiai la frittella e una ciambella mentre avanzavo piano piano nel letale traffico mattutino. Non so come faccio a passarla liscia mangiando così tanti dolci: non ingrasso e non mi vengono foruncoli e, per quanto possa sembrare disonesto, non provo alcun senso di colpa. Ero stato fortunato, nella lotteria genetica: metabolismo alto e un fisico forte e robusto, che mi era d’aiuto nel mio hobby. E mi hanno detto che sono pure di bella presenza, cosa che presumo sia un complimento.

Inoltre non ho bisogno di molte ore di sonno, il che, quella mattina, mi faceva comodo. Speravo proprio di battere sul tempo Vince Masuoka e, a quanto pareva, c’ero riuscito. Il suo ufficio era ancora buio quando arrivai, mimetizzandomi dietro al mio sacchettino bianco. Ma la mia visita non aveva niente a che vedere con le ciambelle. Studiai la sua area di lavoro attentamente, in cerca del contenitore convenientemente etichettato con la scritta

JAWORSKI

e la data del giorno precedente.

Lo trovai e prelevai rapidamente un paio di campioni di tessuto. Ce n’era a sufficienza. Indossai un paio di guanti di lattice e in pochi secondi avevo pressato i campioni sul mio vetrino pulito. Mi rendo conto che era stupido correre un altro rischio, ma non potevo fare a meno del mio souvenir.

L’avevo appena chiuso in una bustina di plastica e messo in tasca quando entrò Vince.

«Mio Dio!» esclamai. «Hai il passo silenzioso. Allora è vero che hai fatto un corso da ninja.»

«Ho due fratelli maggiori», disse Vince, «è la stessa cosa.»

Gli mostrai il sacchettino bianco e feci un inchino. «Maestro, vi porto un dono.»

Lui guardò curioso il sacchettino. «Che Buddha ti benedica, figliolo. Che cos’è?»

Gli lanciai il sacchettino, che lo colpì al petto e cadde a terra. «Non l’hai fatto il corso da ninja», commentai.

«Il mio fisico perfettamente allenato ha bisogno di caffè per funzionare», replicò Vince, chinandosi a raccogliere il sacchettino. «Che cosa c’è dentro? Fa male.» Lo aprì, sospettoso. «Spero che non siano pezzi di cadavere.» Estrasse la grossa ciambella alla cannella e la esaminò. «Ay, caramba, quest’anno il mio villaggio non patirà la fame.» Fece un inchino, tenendo in mano il dolce. «Un debito ripagato è una benedizione per noi tutti, figliolo.»

«In tal caso», dissi io, «non avresti il dossier sul tipo trovato la scorsa notte sulla Old Cutler?»

Vince addentò il dolce. Le labbra gli luccicarono di zucchero, mentre masticava. «Mmmpp.» Deglutì. «Cominciamo a sentirci tagliati fuori, eh?»

«Se ti riferisci a Deborah, hai ragione, le ho promesso che avrei dato un’occhiata al dossier e le avrei riferito.»

«Wulf, fece lui, riempiendosi la bocca. «Meo ciacco ianghe avotta.»

«Perdonate, Maestro. Le vostre parole mi sono oscure.»

Lui masticò e deglutì. «Ho detto che almeno c’è un sacco di sangue, stavolta. Ma sei sempre fuori gioco: l’ha presa Bradley la chiamata.»

«Posso vedere il dossier?»

Addentò un altro boccone. «Eaccoa io…»

«Molto vero, sicuro. E la traduzione?»

Vince deglutì. «Ho detto che era ancora vivo quando gli hanno tagliato la gamba.»

«Gli esseri umani sono così resilienti, non trovi?»

Vince si ficcò in bocca il dolce, prese il dossier e me lo porse, staccando un pezzo di ciambella con un morso.

Presi la cartelletta. «Me ne vado, prima che tu tenti di nuovo di parlare.»

Lui si tolse la ciambella di bocca. «Troppo tardi.»

Tornai a passo lento nel mio cubicolo, esaminando il contenuto della cartelletta. Il corpo era stato scoperto da Gervasio César Martez. La sua dichiarazione era nella prima pagina del dossier. Era una guardia di sicurezza in servizio presso la Sago Security Systems. Ci lavorava da quattordici mesi e non aveva precedenti penali. Martez aveva trovato il corpo intorno alle dieci e diciassette e aveva immediatamente perlustrato l’area prima di avvisare la polizia. Voleva mettere le mani sul pendejo che aveva compiuto quel misfatto perché nessuno doveva fare certe cose, specialmente quando lui, Gervasio, era di turno. Perciò voleva catturare il mostro di persona. Perché era come se lo avessero fatto a lui, capite? Ma non gli era stato possibile perché non c’era traccia alcuna del colpevole, sicché aveva chiamato i poliziotti.

Il pover’uomo l’aveva preso come un fatto personale. Ero d’accordo con lui. Certe brutalità non potevano essere tollerate. Naturalmente gli ero anche grato che il suo senso dell’onore mi avesse dato il tempo di allontanarmi indisturbato. E io che pensavo che la moralità fosse superflua.

Girai l’angolo ed entrai nel mio piccolo ufficio, scontrandomi con la detective LaGuerta.

«Ah», disse lei. «Non ci vedi poi così bene.» Ma non si spostò di un millimetro.

«Ho i riflessi appannati, la mattina. I miei bioritmi sono tutti spenti fino a mezzogiorno.»

Lei mi guardò dalla distanza di due centimetri e mezzo. «Io non direi.»

Le girai intorno e raggiunsi la mia scrivania. «Posso dare qualche modesto contributo alla Legge Sovrana, stamattina?» le chiesi.

Lei mi fissò. «Hai un messaggio», disse. «Sulla segreteria.»

Guardai la mia segreteria telefonica. Era vero, la spia luminosa stava lampeggiando. Quella donna sì che era una detective.