«Metti giù il coltello, Dexter.» La voce era più calma, ora, ma queste altre voci erano molto più forti della sua, che sentivo appena. Cercai di mettere giù il coltello, ma riuscii ad abbassarlo solo di qualche centimetro.
«Mi spiace, Deb, non ci riesco», dissi, con un certo sforzo, avvolto dall’ululato della tempesta che stava crescendo da venticinque anni e che ora mio fratello e io avevamo finalmente destato in una scura notte di luna…
«Dexter!» esclamò la mamma malvagia che voleva lasciarci lì nell’orribile sangue gelido e la voce di mio fratello dentro di me sibilava con la mia: «Troia!» E il coltello si alzò ancora di più.
Un rumore venne dal pavimento. LaGuerta? Non lo sapevo, non mi importava. Dovevo finire, dovevo farlo, dovevo lasciare che accadesse ora.
«Dexter!» disse Debbie. «Sono tua sorella. Non devi fare questo a me. Che cosa direbbe papà?» E questo mi ferì, lo devo ammettere, ma… «Metti giù il coltello, Dexter.»
Un altro lieve rumore alle mie spalle, e un sommesso gorgoglio. La mano col coltello salì più in alto.
«Dexter, attento!» esclamò Deborah e io mi voltai.
La detective LaGuerta era in ginocchio e respirava a fatica, nello sforzo di sollevare una pistola che improvvisamente le sembrava pesantissima. La canna si sollevò piano piano, puntata al mio piede, al mio ginocchio…
Ma che importava? Perché stava per accadere in ogni caso e, anche se vedevo il dito di LaGuerta sul grilletto, il coltello nella mia mano non rallentava la sua corsa.
«Ti sparerà, Dex!» gridò Deb, in tono concitato.
E la pistola era puntata al mio ombelico. Il volto di LaGuerta era contratto nello sforzo: davvero mi stava per sparare. Cercai di voltarmi verso di lei, ma il coltello stava già cominciando a scendere verso…
«Dexter!» disse la mamma/Deborah dal tavolo operatorio, ma il richiamo del Passeggero Oscuro era più forte. Era lui a stringere la mia mano e a guidarla verso il basso.
«Dex…»
Sei un bravo ragazzo, Dex, mormorò Harry con la sua flebile voce da fantasma, quanto bastò a far risalire la lama di qualche millimetro.
«Non ci riesco», risposi, con il manico del coltello che mi vibrava nella mano.
«Scegliere cosa… o chi… uccidi», disse con lo sguardo severo dei suoi occhi azzurri, gli stessi di Deborah, così forti da spingere la lama indietro di un centimetro buono. «C’è un sacco di gente che se lo merita», diceva Harry, sottovoce eppure udibile nel trambusto generale.
La lama rimase immobile. Il Passeggero Oscuro non riusciva a farla scendere, Harry non riusciva a farla risalire. Ed eccoci qui.
Dietro di me sentii un rantolo e un tonfo sordo, seguito da un gemito che mi si arrampicò sulle spalle come una sciarpa di seta su zampe di ragno. Mi voltai.
LaGuerta era distesa con il braccio allungato e la pistola in mano, inchiodata a terra dal coltello di Brian. Il labbro inferiore era stretto tra i denti e gli occhi erano vividi di dolore. Brian si accovacciò accanto a lei, contemplando la paura nel suo viso. Respirava a fatica, ma sorrideva tenebroso.
«Facciamo piazza pulita, fratellino?» mi disse.
«Io… non posso», mormorai.
Mio fratello si rizzò in piedi, di fronte a me, appoggiando il peso ora su una gamba, ora sull’altra. «Non posso? Non credo di conoscere questa parola.» Mi strappò il coltello dalle dita. Non riuscivo né a fermarlo né ad aiutarlo.
Ora guardava Deborah, ma la sua voce era diretta a me. Una frase bastò a spazzare via le dita spettrali di Harry dalla mia spalla. «Devi, fratellino. Devi assolutamente. Non c’è altro modo.» Singhiozzò e si piegò in avanti, per un istante, poi si risollevò lentamente, alzando il coltello. «Devo ricordarti l’importanza della famiglia?»
«No», risposi io, con entrambe le famiglie, vivi e morti insieme, che mi esortavano chi a fare e chi a non fare. E con un ultimo sussurro da Harry-occhi-azzurri nella mia memoria, la mia testa tremò, mossa da una propria volontà, e disse: «No». E questa volta dicevo sul serio. «No. Non posso. Non con Deborah.»
Mio fratello mi guardò. «Peccato. Sono molto deluso.»
E il coltello calò.
EPILOGO
Lo so che è una debolezza quasi umana e forse non è che sentimentalismo, ma mi sono sempre piaciuti i funerali. Per cominciare, sono così puliti, così precisi nella cerimonia. E questo funerale era particolarmente bello.
C’erano schiere di poliziotti in uniforme blu, uomini e donne, con l’aspetto solenne, ben ordinato. Da cerimonia, appunto.
C’era il saluto rituale con i fucili, la bandiera che veniva piegata con cura, tutte le decorazioni. Uno spettacolo meraviglioso e consono alla defunta. Era stata, dopotutto, una di noi, una donna che aveva servito con orgoglio tra gli eletti. O quello era il motto dei marines? Pazienza, era stata una poliziotta di Miami e i poliziotti di Miami sanno come celebrare i funerali per i loro colleghi. Hanno un sacco di pratica.
«Oh, Deborah», sospirai, sottovoce. Sapevo, naturalmente, che non mi poteva sentire, ma mi sembrava l’unica cosa da fare e volevo farla per bene.
Avrei voluto anche spremere un paio di lacrime. Ero stato così intimo con la defunta. E la sua morte era stata disordinata e spiacevole, non è così che deve morire un poliziotto, accoltellato a morte da un maniaco omicida. I soccorsi erano arrivati tardi, troppo perché si potesse salvare.
Eppure, grazie al suo esempio di coraggio e abnegazione, aveva dimostrato come un poliziotto deve saper vivere e morire. Riassumo, naturalmente, ma quello era più o meno il succo del discorso. Molto efficace, molto commovente, per chi è in grado di commuoversi. Non è il mio caso, ma lo riconosco quando lo sento. E, colpito dal coraggio silenzioso degli agenti in blu e dalle lacrime dei civili, non potei farne a meno.
«Oh, Deborah», sospirai, più forte, stavolta, quasi convinto. «Cara, cara, Deborah.»
«Sta’ zitto, deficiente», mormorò lei, dandomi una gomitata.
Era una delizia nella sua nuova uniforme, finalmente promossa al grado di sergente. Il minimo che potessero fare, dopo tutto il duro lavoro che l’aveva condotta all’identificazione e, quasi, all’arresto dello Squartatore della Tamiami Trail.
Con un mandato di cattura sulla sua testa, senza dubbio prima o poi avrebbero trovato il mio povero fratello, sempre che non fosse lui a trovarli per primo. Dal momento che ero stato costretto con la forza a prendere coscienza dell’importanza dei legami famigliari, speravo che restasse in libertà.
E Deborah, ora che aveva ricevuto la promozione, sembrava disposta a perdonarmi. Era quasi convinta per metà della Saggezza di Harry. Dopotutto, ero anche suo fratello e questo, alla fine, si era visto, no? In fondo non era poi così difficile accettarmi per quello che ero. O accettare le cose come stavano e come, in realtà, erano sempre state.
Sospirai nuovamente.
«Piantala», sibilò Deborah, accennando con la testa alla schiera di poliziotti di Miami rigidi sull’attenti.
Guardai nella direzione che mi aveva indicato e incrociai lo sguardo del sergente Doakes. Non mi aveva tolto gli occhi di dosso neppure un istante, nemmeno quando aveva lasciato cadere una manciata di terra sulla bara della detective LaGuerta.