«Guarda qui», ribatté lui. Aprì uno degli altri sacchi. «Questa gamba l’ha tagliata in quattro pezzi. Sembra quasi che abbia usato un righello, eh? Ma questa…» Indicò la gamba che avevo ammirato così profondamente. «Questa l’ha tagliata solo in due pezzi. Come mai?»
«Proprio non lo so. Forse la detective LaGuerta lo scoprirà.»
Angel mi guardò e per un attimo dovemmo entrambi fare uno sforzo per non metterci a ridere. «Forse lo scoprirà», replicò, poi tornò al suo lavoro. «Perché non glielo vai a chiedere?»
«Hasta luego, Angel», dissi.
«Molto probabile», rispose lui, chino sul sacco.
Qualche anno prima era corsa la voce che la detective Migdia LaGuerta fosse entrata nella Squadra Omicidi andando a letto con qualcuno. A prima vista, ci si poteva anche credere. Aveva tutto il necessario, nei punti giusti, per risultare fisicamente attraente, in un modo aristocratico e sdegnoso. Era una vera artista con il trucco e si vestiva molto bene, stile grandi magazzini chic. Ma quella voce non poteva essere vera. Per cominciare, malgrado l’aspetto esteriore molto femminile, non avevo mai incontrato una donna più mascolina interiormente. Era dura, ambiziosa ed egocentrica, e la sua unica debolezza erano gli uomini più giovani di lei, sul tipo fotomodello. Quindi sono piuttosto sicuro che non sia entrata alla Omicidi usando il sesso. Ci è entrata perché è cubana, abile nella politica e leccapiedi quando serve. Questa combinazione, a Miami, è molto più efficace del sesso.
Come leccapiedi, la detective LaGuerta è a livello olimpionico. È a forza di linguate che si è aperta la strada fino al rango prestigioso di detective della Omicidi. Per sua sfortuna, quello è un lavoro in cui il talento nell’umidificare estremità è assolutamente inutile. Come investigatrice è un disastro.
Capita. Spesso è proprio l’incompetenza a essere premiata. Il che non mi esime dal lavorare con lei. Perciò ho adoperato il mio particolare fascino per risultarle simpatico. Più facile di quanto pensiate. Chiunque può essere simpatico, se non si vergogna a fingere. Sono sufficienti le frasi più stupide, ovvie e nauseanti, quelle che la maggior parte della gente evita di dire, trattenuta dalla propria coscienza. Fortunatamente, essendo sprovvisto di coscienza, non mi faccio di questi problemi.
Quando mi avvicinai al gruppetto radunato nei pressi del Café, la detective LaGuerta stava interrogando un tale, parlando uno spagnolo rapidissimo. Io parlo spagnolo e capisco persino un po’ il cubano, ma quando parlava lei decifravo solo una parola su dieci. Il dialetto cubano è la disperazione del mondo ispanofono. Si direbbe che il suo unico obiettivo sia correre contro un invisibile cronometro ed espellere il maggior numero di parole in frasi da tre secondi, senza usare alcuna consonante. Il segreto è sapere quello che una persona sta per dire prima che lo dica. Il che contribuisce all’impressione che i cubani siano tutti d’accordo tra loro, cosa di cui i non cubani spesso si lamentano.
L’uomo che Migdia LaGuerta stava grigliando era basso e tozzo, con la carnagione scura e tratti da indio, chiaramente intimidito dal dialetto, dal tono e dal distintivo. Cercava di sfuggire lo sguardo della detective, mentre l’ascoltava, il che pareva spingerla a parlare ancora più velocemente.
«No, no hay nadie afuera», rispose lui lentamente, a voce bassa, guardando altrove. «Todos estan en Café.» Non c’era nessuno fuori, erano tutti nel Café.
«¿Donde estabas?» chiese lei, imperiosa. Dov’eri?
L’uomo vide il cumulo di membra e si affrettò a distogliere lo sguardo. «En la cocina. Entonces yo saco la basura» In cucina, e poi ho portato fuori la spazzatura.
La detective LaGuerta continuò a maltrattarlo, incalzandolo verbalmente, facendo le domande sbagliate in tono prepotente, fino a quando, un po’ per volta, l’uomo si dimenticò della sua macabra scoperta e smise di rispondere.
Un vero tocco da maestro. Prendere il testimone chiave e metterselo contro. Se si butta nel cesso il caso nelle prime ore decisive, ci si risparmia un sacco di lavoro e di scartoffie in seguito.
La detective congedò l’uomo con qualche minaccia. «Indio», bofonchiò con disprezzo alle sue spalle, quando si fu allontanato.
«Ce n’è di ogni genere, detective», dissi io. «Persino campesinos.»
Lei mi squadrò. Mi chiesi perché. Si era dimenticata la mia faccia? Ma poi mi fece un sorrisone. Mi trovava proprio simpatico, quell’idiota. «Hola, Dexter. Qual buon vento?»
«Ho sentito che te ne occupavi tu e non ho resistito. Ti prego, detective, dimmi quando ci sposiamo.»
Lei ridacchiò. Gli altri poliziotti a portata di udito si scambiarono un’occhiata, poi distolsero lo sguardo. «Non compro un paio di scarpe se prima non l’ho provato», rispose Migdia LaGuerta, «per quanto mi possa piacere.»
Non lo mettevo in dubbio, anche se questo non mi spiegava perché, mentre lo diceva, mi guardasse con la punta della lingua che spuntava tra i denti.
«Adesso vattene, ho un lavoro serio da fare», aggiunse.
«Lo vedo. Hai già preso l’assassino?»
Lei sbuffò. «Mi sembri uno di quei giornalisti. Entro un’ora mi saranno tutti addosso.»
«Che cosa gli dirai?»
Lei si voltò verso il cumulo di membra e si accigliò. Non perché la vista la turbasse. Stava semplicemente elaborando la dichiarazione per la stampa, tenendo in considerazione la propria carriera. «È solo questione di tempo, prima che l’assassino commetta un errore e si faccia arrestare.»
«Cioè, finora non ha commesso errori, non avete indizi é dovete aspettare che uccida ancora prima di poter fare qualcosa?»
Lei mi lanciò un’occhiataccia. «Non ricordo bene: perché mi sei simpatico?»
Io alzai le spalle. Non ne avevo idea. Ma, a quanto pareva, nemmeno lei.
«Quello che abbiamo è nada y nada. Il guatemalteco…» fece una smorfia alla volta dell’indio, «ha trovato lui il cadavere, portando la spazzatura fuori dal ristorante. Ha visto che i sacchi non erano del ristorante e ne ha aperto imo per vedere se ci fosse qualcosa di buono. E c’era dentro la testa.»
«Cucù.»
«Eh?»
«Niente.»
La detective si guardò intorno, scura in volto, forse nella speranza che spuntasse un indizio per spararci sopra. «E questo è tutto. Nessuno ha visto o sentito niente. Proprio niente. Per le novità, devo aspettare che i tuoi colleghi secchioni finiscano il loro lavoro.»
«Detective», la chiamò una voce alle nostre spalle. Era il capitano Matthews, preannunciato da una folata di dopobarba Aramis. Questo significava che i giornalisti erano in arrivo.
«Salve, capitano», disse Migdia LaGuerta.
«Ho chiesto all’agente Morgan di dare un contributo trasversale alle indagini», annunciò il capitano.
Lei sobbalzò.
«Nella sua posizione di agente in incognito», proseguì il capitano, «dispone di risorse nell’ambiente della prostituzione che potrebbero risultarci preziose nell’accelerare il corso delle indagini.» Parlava come un dizionario. Troppi anni passati a scrivere rapporti.
«Capitano, non sono sicura che sia necessario», obiettò lei.
Lui le strizzò un occhio e le appoggiò una mano sulla spalla. Ci vuole talento per trattare con la gente. «Si rilassi, detective. L’agente Morgan non interferirà con le sue prerogative di comando. Si limiterà a presentarsi a rapporto da lei qualora disponga di elementi di rilievo. Testimoni, roba del genere. Suo padre era dannatamente bravo come poliziotto. D’accordo?» Gli occhi del capitano brillarono, per poi concentrarsi su qualcosa all’entrata del parcheggio.
Guardai anch’io. Il furgone di Channel 7 News stava facendo il suo ingresso.