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— Vorrei parlare alla yarite, per favore.

La geisha lo guardò con beneducato scetticismo. — Un momento, vado a chiedere se il nostro ufficiale capo esecutivo è disposto ad accogliere ospiti.

Scomparve. Mezz’ora dopo comparve una bionda geisha femmina in kimono e obi. — Signor Dze? Da questa parte, prego.

La seguì fino a un ascensore sorvegliato da due uomini armati di manganelli borchiati di elettrodi. Le guardie erano veri giganti; la sua testa arrivava appena ai loro gomiti. I loro lunghi volti impassibili erano acromegalici: mascelle gonfie, zigomi sporgenti simili a dirupi. Erano stati trattati con fattori ormonali di crescita.

L’ascensore salì tre piani. Poi lo sportello si aprì.

Lindsay si trovò davanti ad una fitta cascata di perle dai vivaci colori. Migliaia di fili carichi di perle erano appesi al pavimento ricadendo fino al soffitto. Il minimo movimento li avrebbe disturbati.

— Prenda la mia mano — disse la banchiera.

Lindsay la seguì con passo strascicato, mettendo i piedi qua e là, esitante.

— Stia attento a dove mette i piedi — gli disse lei. — Ci sono delle trappole.

Lindsay chiuse gli occhi e la seguì. La sua guida si fermò. Una porta nascosta si aprì in una parete di specchi. Lindsay entrò nella stanza privata della yarite.

Il pavimento era di legno antico, tirato a cera fino a diventare uno specchio scuro. Per terra erano disseminati piatti cuscini quadrati, con disegni stampati di bambù. Nella lunga parete sulla sinistra di Lindsay, attraverso delle doppie porte di vetro, s’intravedeva una terrazza rivestita di legno illuminata dal sole e uno splendido giardino dove dei pini contorti e degli alti cotogni giapponesi si arcuavano sopra sentieri ricurvi tappezzati di bianchi sassolini ben rastrellati. L’aria della stanza sapeva di sempreverdi. Lui stava vedendo com’era quel mondo prima che cominciasse a imputridire, un’immagine del passato proiettata su delle false porte che non avrebbero mai potuto aprirsi.

La yarite sedeva a gambe incrociate su un cuscino. Era una vecchia mech tutta raggrinzita, con una bocca tiratissima e occhi incappucciati da rettile. La sua testa rugosa era avvolta in una parrucca laccata simile a un casco, infilzata da spilloni. Indossava un angoloso kimono a fiori tenuto su dall’amido e dalle stecche. Dentro il kimono c’era spazio per tre di lei.

Una seconda donna era inginocchiata in silenzio con la schiena rivolta alla parete di destra, davanti all’immagine del giardino. Lindsay seppe subito che era un plasmatore. La sua stupefacente bellezza da sola ne era una prova, ma aveva quella strana e intangibile aria carismatica che si diffondeva da una riplasmata come un campo magnetico. Era un miscuglio di ceppo asiatico-africano: i suoi occhi erano obliqui, ma la pelle era scura. I capelli erano lunghi e riccioluti. Stava inginocchiata davanti a un complesso di bianche tastiere con un’aria di docile devozione.

La yarite parlò senza muovere la testa. — I tuoi doveri, Kitsune. — Le mani della ragazza volarono sopra le tastiere e l’aria si riempì con i toni del più antico degli strumenti giapponesi: il sintetizzatore.

Lindsay s’inginocchiò su un cuscino davanti alla vecchia. Un vassoio da tè gli rullò fino al fianco e versò dell’acqua calda dentro una tazza, con un casto tintinnio. Il vassoio affondò nella tazza un piccolo mescolatore da tè.

— I tuoi amici pirati — disse la donna — sono sul punto di fare bancarotta.

— Sono soltanto soldi — replicò Lindsay.

— Sono il nostro sudore e la nostra sessualità. Pensi che ci faccia piacere sprecarli?

— Mi serviva la vostra attenzione — proseguì Lindsay. Il suo addestramento aveva preso subito il sopravvento su di lui… ma aveva ancora paura della ragazza. Non si era aspettato di trovarsi davanti a una plasmatrice. E c’era qualcosa di drasticamente sbagliato nei movimenti muscolari della vecchia. Pareva si trattasse di droghe oppure di alterazioni mechanist del sistema nervoso.

— Sei venuto qui vestito da Medico Nero Nefrino — disse la vecchia. — La nostra attenzione era garantita. Sì, ora l’hai, tutta. Ti ascoltiamo.

Con l’aiuto di Ryumin, Lindsay aveva ampliato i suoi piani. La Banca Geisha aveva la capacità di distruggere il suo intrigo; perciò doveva essere cooptata. Lui sapeva ciò che la Banca voleva. Era pronto ad agitare davanti ad essa uno specchietto. Se avessero riconosciuto le proprie ambizioni e desideri, avrebbe vinto.

Lindsay si lanciò nel suo gioco. Si fermò a metà per definire un punto essenziale. — Puoi vedere cosa sperano di guadagnare dalla recita i Medici Neri. Dietro al loro muro si sentono isolati, paranoici. Contano di guadagnare prestigio sponsorizzando il nostro spettacolo.

“Ma devo avere un cast. La Banca Geisha è il mio serbatoio naturale di talenti. Posso avere successo senza i Medici Neri. Ma senza di voi questo non è possibile.”

— Capisco — disse la yarite. - Adesso spiegami perché pensi che noi possiamo trarre profitto dalle tue ambizioni.

Lindsay si mostrò addolorato. — Sono venuto qui per organizzare un avvenimento culturale. Non è abbastanza?

Lanciò un’occhiata alla ragazza. Le sue mani guizzavano sulle tastiere. D’un tratto alzò lo sguardo su di lui e gli sorrise: un sorriso astuto, segreto. Vide la punta della sua lingua dietro i denti perfetti. Era un sorriso luminoso, predatorio, pieno di libidine e malizia. In un istante lasciò una traccia bruciante nel suo flusso sanguigno. I capelli gli si rizzarono sulla testa. Stava perdendo il controllo.

Guardò il pavimento. La pelle gli si accapponò. — D’accordo — disse, con voce sorda. — Non basta, e questo non dovrebbe sorprendermi… Ascoltami, madame. Voi e i Medici Neri siete stati rivali per anni. Questa è la vostra possibilità di attirarli all’aperto e di tendergli un’imboscata sul vostro terreno. Sono ingenui nel campo delle finanze. Ingenui, ma avidi. Odiano dover trattare con un sistema finanziario controllato da voi. Se dovessero pensare di aver successo, balzerebbero fulmineamente in sella alla possibilità di creare una propria economia.

“Perciò, lasciate che lo facciano. Lasciate che s’impegnino. Lasciate che ammucchino successi su successi, fino a quando non avranno perso ogni senso delle proporzioni e la cupidigia non li avrà sopraffatti. Poi, farete scoppiare il loro bubbone.”

— Sciocchezze — ribatté la vecchia. — Come può un attore insegnare a un banchiere il suo mestiere?

— Non dovrete trattare con un cartello mech — disse Lindsay, calcando le parole, sporgendosi in avanti. Sapeva che la ragazza lo stava fissando. Lo sentiva. — Qui si tratta di trecento tecnici, annoiati, spaventati, e completamente isolati. Sono la preda perfetta per l’isterismo di massa. La febbre del gioco d’azzardo li colpirà come un’epidemia. — Si lasciò andare contro lo schienale. — Offrimi il tuo sostegno, madame. Sarò il tuo uomo di punta, il tuo agente, il tuo intermediario. Non sapranno mai che c’eri tu dietro alla loro rovina. Anzi, saranno proprio loro a venire da te a chiederti aiuto. — Sorseggiò il suo tè. Aveva un sapore di sintetico.

La vecchia tacque per qualche istante, come se stesse riflettendo. La sua espressione aveva qualcosa di parecchio sbagliato. Non c’era nessuno di quei minuscoli tremolìi subliminali della bocca o delle palpebre, i movimenti della gola che accompagnano i processi mentali umani.

Il suo volto era più calmo. Era inerte.

— Sì, offre delle possibilità — disse infine. — Ma la Banca deve avere il controllo. Clandestino… ma completo. Come puoi garantirci questo?