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— Sarà nelle vostre mani — le promise Lindsay. — Useremo la mia compagnia, la Kabuki Intrasolar, come copertura. Tu userai i tuoi contatti fuori dello Zaibatsu per emettere azioni fittizie. Io le offrirò in vendita qui, e la tua Banca sarà ambivalente. Ciò permetterà ai Nefrini di fare un colpo finanziario e d’impadronirsi della compagnia. Gli azionisti fittizi, i tuoi agenti, reagiranno allarmati e invieranno le loro richieste e le offerte gonfiate ai nuovi proprietari. Ciò lusingherà la stima che hanno di se stessi e abbatterà ogni loro dubbio.

“Nello stesso tempo voi collaborerete con me apertamente. Mi fornirete attori e attrici; in effetti lotterete gelosamente per questo privilegio. Le vostre geishe non parleranno di nient’altro con ogni vostro cliente. Diffonderete voci su di me: il mio fascino, la mia arguzia, il mio brio, le mie risorse nascoste. Sottoscriverete tutte le mie stravaganze, e stabilirete un’atmosfera di liberalità spendacciona e di spensierato edonismo. Sarà una gigantesca truffa che turlupinerà tutto il mondo.”

La vecchia rimase seduta in silenzio, i suoi occhi divennero vitrei.

Le note basse e pure del sintetizzatore si arrestarono d’un tratto. Una quiete carica di tensione calò sulla stanza. La ragazza parlò sommessa dietro le sue tastiere. — Funzionerà, vero?

Lindsay la guardò in viso. La sua docilità si sbucciava via come uno strato di cosmetici. I suoi occhi scuri lo scossero. Erano colmi di un esplicito desiderio carnivoro. Seppe subito che non fingeva affatto, poiché la sua espressione era al di là di ogni finzione. Non era umana.

Senza rendersene conto, Lindsay si sollevò su un ginocchio, lo sguardo ancora intrecciato al suo. — Sì — disse. La sua voce era rauca. — Funzionerà, te lo giuro. — Il pavimento era freddo sotto la sua mano. Si rese conto che, senza nessuna decisione da parte sua, aveva cominciato a muoversi, quasi strisciando, verso di lei.

Lei lo guardò vogliosa e stupita. — Dimmi cosa sei, tesoro? Dimmelo davvero.

— Sono quello che sei tu — rispose Lindsay. — Opera dei Plasmatori. — Si costrinse a smettere di muoversi. Le sue braccia cominciarono a tremare.

— Voglio dirti cosa hanno fatto a me — disse la ragazza. — Lascia che ti dica cosa sono io.

Lindsay annuì una volta. La sua bocca era asciutta a causa di quella nauseante eccitazione. — D’accordo — annuì. — Dimmelo, Kitsune.

— Mi hanno consegnato ai chirurghi — lei spiegò. — Mi hanno tolto l’utero, e al suo posto mi hanno inserito tessuto cerebrale. Innesti dei centri del piacere, tesoro. Sono collegati al retto e alla spina dorsale e alla gola, ed è perfino meglio che essere Dio. Quando sono calda, sudo profumo. Sono più pulita di un ago nuovo di zecca, e niente che tu non possa bere come il vino o mangiare come zucchero candito lascia il mio corpo. E mi hanno lasciato l’intelligenza, perché sapessi cos’era la sottomissione. Sai cos’è la sottomissione, tesoro?

— No — replicò Lindsay in tono aspro. — Ma so cosa vuol dire non dare importanza alla morte.

— Non siamo come gli altri — lei proseguì. — Ci hanno messi al di là dei limiti. E adesso possiamo fare a loro qualunque cosa vogliamo, no?

La sua risata gli fece provare un brivido che lo scosse tutto. Con la grazia d’una ballerina balzò oltre il suo gruppo di tastiere.

Colpì con un calcio del piede nudo la spalla della vecchia, e la yarite cadde giù con uno scricchiolio. La sua parrucca si staccò con un rumore simile a un nastro che si lacerasse. Sotto di essa Lindsay intravide il cranio consunto, sforacchiato da spinotti craniali. La fissò. — Le tue tastiere — disse.

— È la mia copertura — replicò Kitsune. — È questo che è la mia vita. Coperture e coperture e coperture. Soltanto il piacere è vero. Il piacere del controllo.

Lindsay si leccò le labbra asciutte.

— Dammi quello che è vero — disse.

Kitsune disfece la cintura del suo obi. Il suo kimono era dipinto con disegni di iris e violette. La pelle sotto di esso era come la pelle sognata da un morente.

— Vieni qui — lei l’invitò. — Metti la tua bocca sulla mia.

Lindsay si trascinò in avanti e le buttò le braccia al collo. Lei gl’infilò la lingua rovente nel profondo della bocca. Sapeva di spezia.

Era come un narcotico. Le ghiandole della bocca di Kitsune trasudavano droga.

Si stesero sul pavimento davanti agli occhi della vecchia con le palpebre semiabbassate.

Le braccia di lei scivolarono sotto il suo kimono allentato. — Plasmatore — disse — voglio i tuoi genetici. Tutto sopra di me.

La sua mano calda l’accarezzò. Fece quello che lei gli aveva detto.

Popolo dello Zaibatsu Circumlunare
del Mare della Tranquillità
16-1-’16

Lindsay giaceva disteso sulla schiena sul pavimento della cupola di Ryumin, si teneva premute le lunghe dita sui lati della testa. La sua mano sinistra ostentava due scintillanti rubini incastonati in fasce d’oro. Indossava un luccicante kimono nero, con un disegno d’iris appena accennato nella trama del tessuto. I suoi calzoni hakama avevano un taglio moderno.

Sulla manica destra del suo kimono c’era l’emblema fittizio corporativo della Kabuki Intrasolar: una maschera bianca stilizzata striata di traverso sugli occhi e sulle guance da fasce avvampanti di nero e rosso. Le maniche gli erano ricadute sui gomiti quando si era preso la testa fra le mani, rivelando il livido d’una iniezione sul suo avambraccio. Si era dato alla vasopressina.

Dettò dentro un microfono: — Va bene. Scena tre: Amijima. Jihei dice: Non importa quanto cammineremo. Non troveremo mai un posto destinato ai suicidi. Ammazziamoci qui.

“Poi, Koharu: Sì, è vero, un posto vale l’altro per morire. Ma ho pensato, se troveranno insieme i nostri cadaveri, la gente dirà che Koharu e Jihei hanno commesso il suicidio degli amanti. Posso immaginare come tua moglie se ne risentirà e m’invidierà. Perciò dovresti uccidermi qui, poi scegliere un altro posto, molto lontano, per te.”

“Poi Jihei dice…” Lindsay si azzittì.

Mentre dettava, Ryumin era impegnato in un’insolita attività. Stava versando quelli che parevano minuscoli frammenti di cartone marrone su un piccolo quadratino di carta bianca.

Arrotolò con cura la cartina, formando un tubo. Poi schiacciò le sue estremità per chiuderle e le umettò con la lingua.

Infilò un’estremità del tubicino di carta fra le labbra, poi sollevò un piccolo marchingegno metallico e schiacciò un interruttore in cima ad esso.

Lindsay fissò la scena, poi cacciò un urlo. — Fuoco! Oh, mio Dio! Fuoco! Fuoco!

Ryumin soffiò fuori del fumo. — Cosa diavolo ti succede? Questa piccola fiamma non può far del male.

— Ma è fuoco! Buon Dio, non ho mai visto una fiamma nuda in vita mia. — Lindsay abbassò la voce. — Sei sicuro di non prendere fuoco, tu? — Fissò Ryumin con sguardo ansioso. — I tuoi polmoni fumano.

— No. No. È soltanto un novità, un nuovo piccolo vizio. — Il vecchio mechanist scrollò le spalle. — Un po’ pericoloso, forse. Ma non lo sono tutti?

— Cos’è?

— Pezzettini di cartone inzuppati di nicotina. Hanno anche una specie di sapore. Non è tanto male. — Diede una tirata alla sigaretta. Lindsay fissò la punta ardente di questa e rabbrividì. — Non preoccuparti — disse ancora Ryumin. — Questo posto non è come le altre colonie. Qui il fuoco non è un pericolo. Il fango non brucia.

Lindsay ripiombò sul pavimento e gemette. Il suo cervello nuotava nelle esaltazioni mnemoniche. La testa gli faceva male e provava un’indicibile sensazione di prurito, come la prima frazione di secondo all’inizio di un dejà vu. Era come aver voglia di sternutire e non riuscirci.