L’uomo lo guardò con indifferenza.
Lindsay allungò la mano per toccarlo, poi la tirò indietro di scatto prima che l’uomo potesse notarlo.
Le luci si accesero. I danzatori avanzarono sul palcoscenico. Nella bolla echeggiarono grida di entusiasmo. Lindsay scappò lungo le pareti della bolla attraverso un groviglio di gambe infilate nei cappi e di braccia strette agli appigli. Raggiunse la camera d’equilibrio anteriore.
Noleggiò uno dei velivoli ormeggiati fuori della camera d’equilibrio e volò subito fino alla Banca Geisha.
Il luogo era quasi deserto, ma la sua carta di credito gli permise di entrare. Le gigantesche guardie lo riconobbero e si inchinarono. Lindsay esitò, poi si rese conto che non aveva niente da dire. Cosa mai avrebbe potuto dirgli? “Uccidetemi la prossima volta che mi vedete.” Prendere gli uccelli con uno specchietto era la trappola ideale.
La rete di perle della yarite l’avrebbe protetto. Kitsune gli aveva insegnato come manovrare le perle dall’interno. Anche se l’assassino avesse evitato le trappole, poteva venir abbattuto con l’alto voltaggio e i dardi appuntiti.
Lindsay attraversò lo schema senza errori ed entrò di corsa nell’alloggio della yarìte. Accese uno schermo, lo programmò e caricò il nastro.
Era un volto dal suo passato: il volto del suo migliore amico, il volto di colui che aveva tentato di ucciderlo, Philip Khouri Constantine.
— Ciao, cugino — disse Constantine.
Nella Repubblica, quel termine apparteneva allo slang degli aristocratici. Ma Constantine era un plebeo. E Lindsay non l’aveva mai sentito mettere tanto odio in quella parola.
— Mi sono preso la libertà di mettermi in contatto con te in esilio. — Constantine pareva ubriaco. Parlava con troppa precisione. Il colletto ad anello della sua tuta antiquata mostrava chiazze di sudore sulla pelle olivastra della gola. — Alcuni dei miei amici plasmatori condividono il mio interesse per la tua carriera. Non chiamano assassini questi agenti. Li chiamano “antibiotici”.
“Hanno lavorato qui da noi. L’opposizione è assai meno fastidiosa con tanti morti per ‘cause naturali’. Il mio vecchio espediente con le falene adesso sembra un gioco da bambini. Molto avventato e rischioso.
“Comunque gli insetti hanno funzionato bene lo stesso. Quando i Plasmatori vengono intrappolati e spremuti, tendono a colar fuori con la pressione. Non possono essere battuti. Avevamo l’abitudine di dircelo quando eravamo ragazzi, te ne ricordi, Abelard? Quando il nostro futuro ci pareva così luminoso che a volte ci lasciavamo abbagliare. Ancora prima che sapessimo cos’era una macchia di sangue…
“Questa Repubblica ha bisogno dei Plasmatori. La colonia sta marcendo. Non possono sopravvivere senza le bioscienze. Lo sanno tutti. Perfino i Vecchi Radicali.
“Non abbiamo mai veramente parlato a quelle vecchie teste di cavo, cugino. Tu non volevi lasciarmelo fare: li odiavi troppo. E adesso so perché avevi paura di affrontarli. Sono bacati, Abelard, come lo sei tu. In un certo senso sono la tua immagine speculare. A quest’ora sai già quanto sia sconvolgente vederne uno.” Constantine sorrise e si lisciò i capelli ondulati con una mano piccola e agile.
— Ma io gli ho parlato — proseguì — e sono venuto a patti… C’è stato un colpo di stato qui da noi, Abelard. Il Consiglio Consultivo è stato sciolto. Il potere è nelle mani del Consiglio Esecutivo per la Sopravvivenza Nazionale. Siamo io e pochi altri dei nostri amici preservazionisti. La morte di Vera ha cambiato tutto, come sapevamo che sarebbe stato. Adesso abbiamo il nostro martire. Adesso siamo pieni di furore e di ferrea determinazione.
“I Vecchi Radicali se ne stanno andando. Emigrano verso i cartelli Mech. Gli aristocratici dovranno pagarne il prezzo.
“Ce ne sono altri che stanno seguendo la tua strada, cugino. Tutta la massa degli artisti decaduti e in rovina: i Lindsay, i Tyler, i Kelland, i Morissey. Esiliati politici. Tua moglie è con loro. Sono schiacciati fra i loro figli plasmatori e i loro nonni mechanist, e vengono buttati fuori come spazzatura. Sono tutti tuoi.
“Voglio che tu faccia pulizia dove non l’ho fatta io, che sistemi tutto quello che ho lasciato in sospeso. Se non accetterai di farlo, allora torna dal mio messaggero. Ti sistemerà lui. — Constantine sogghignò, mostrando i suoi denti piccoli e regolari. — Salvo che con la morte, non puoi sfuggire al gioco. Tu e Vera lo sapevate tutti e due. E adesso io sono il tuo re, e tu la pedina.”
Lindsay spense il nastro.
Era rovinato. La Bolla Kabuki aveva assunto una grottesca solidità; erano le sue stesse ambizioni ad essere esplose.
Era in trappola. Sarebbe stato smascherato dai profughi della Repubblica. Il suo sfavillante imbroglio sarebbe volato in pezzi, lasciandolo nudo e indifeso. Kitsune l’avrebbe conosciuto per ciò che era: un umano “arrivato”, non il suo amante plasmatore. La sua mente cominciò a guizzare qua e là come dentro a una gabbia. Vivere lì soggiacendo alle condizioni che Constantine gli avrebbe imposto, sotto il suo controllo, soffrendo il suo disprezzo… quel pensiero gli bruciava.
Doveva scappare. Doveva lasciare subito quel mondo. Non gli rimaneva più tempo di fare dei piani.
Là fuori un assassino era in attesa, con un volto rubato a Lindsay, a lui stesso. Incontrarlo di nuovo avrebbe significato la morte. Ma avrebbe potuto in qualche modo sfuggire a quell’uomo, se fosse scomparso subito. E ciò significava rivolgersi ai pirati.
Lindsay si sfregò il polso dolorante. Un lento furore crebbe dentro di lui: un furore verso i Plasmatori, e l’abilità distruttiva che avevano impiegato per sopravvivere. La loro lotta aveva lasciato un’eredità di mostri, l’assassino, Constantine… lui stesso.
Constantine era più giovane di quanto fosse lui… si era fidato, sì, di Lindsay: l’aveva ammirato. Ma quando lui, Lindsay, era tornato per una licenza dal Consiglio dell’Anello, aveva dolorosamente percepito fin nel profondo come i Plasmatori lo avessero cambiato. E lui aveva deliberatamente mandato Constantine da loro, mettendolo nelle loro mani. Come sempre, aveva fatto sembrare plausibile la cosa, e le nuove capacità di Constantine erano davvero cruciali. Ma Lindsay sapeva di averlo fatto egoisticamente, così da aver compagnia, al di fuori dei confini.
Constantine era sempre stato ambizioso. Ma là dove c’era stata fiducia, Lindsay aveva portato una nuova sofisticazione e disonestà. Là dove lui e Constantine avevano condiviso degli ideali, adesso condividevano l’assassinio.
Lindsay provava una sgradevole affinità con l’assassino. L’addestramento dell’assassino doveva essere stato molto simile al suo. L’odio che provava per se stesso aggiungeva un improvviso veleno al suo timore nei confronti di quell’uomo.
L’assassino aveva il suo stesso volto. Ma Lindsay si era reso conto, con un improvviso lampo d’intuizione, di poter rivolgere il punto di forza di quell’uomo contro lui stesso.
Avrebbe potuto esser lui, Lindsay, a impadronirsi del ruolo dell’assassino, a rovesciare la situazione. Poteva commettere qualche orrendo crimine, e sarebbe stato l’assassino a venirne incolpato.
Kitsune aveva bisogno di un crimine. Sarebbe stato il suo dono di addio per lei, un messaggio che soltanto lei avrebbe capito. Avrebbe potuto liberarla, e il suo nemico ne avrebbe pagato il prezzo.
Aprì la valigetta diplomatica e gettò da parte il mucchio di carta delle sue azioni. Sollevò le assi del pavimento e fissò il corpo della vecchia, che galleggiava nudo sulla superficie del letto ad acqua. Poi perquisì la stanza alla ricerca di qualcosa che tagliasse.
3