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Lei l’aveva fatto. Adesso pareva facile. Era qualcosa di cui loro due avevano discusso cento volte, fino a notte fonda, nel Museo oppure a letto, dopo aver commesso adulterio. Suicidio. L’estrema protesta. Un immenso panorama di nera libertà si spalancò nella mente di Lindsay. Avvertì una paradossale sensazione di vitalità. — Amore, non ci vorrà molto…

Suo zio lo trovò inginocchiato. Il volto del vecchio era grigio. — Oh — esclamò — è disgustoso. Cos’hai fatto?

Lindsay si alzò in piedi, stordito. — Stai lontano da lei.

Suo zio fissò la donna morta. — È morta! Pazzo dannato, aveva soltanto ventisei anni!

Lindsay tirò fuori un lungo pugnale di metallo rozzamente modellato, strappandolo via dalla manica a fisarmonica della sua tuta. L’alzò e se lo puntò al petto. — In nome dell’umanità! E della conservazione dei valori umani! Io scelgo liberamente di…

Suo zio gli afferrò il polso. Lottarono per qualche istante, fissandosi furiosamente negli occhi, poi Lindsay lasciò cadere il pugnale sull’erba. Suo zio lo ghermì e se l’infilò nella giacca da laboratorio.

— Questo è illegale — dichiarò. — Verrai accusato di porto abusivo d’arma.

Lindsay se ne uscì in una risata incerta. — Sono tuo prigioniero, ma non puoi fermarmi se deciderò di morire. Adesso o dopo, che importanza ha?

— Sei un fanatico. — Suo zio continuava a fissarlo con amareggiato disprezzo. — La scuola dei plasmatori resiste fino in fondo, eh? Il tuo addestramento è costato alla Repubblica una fortuna, e tu lo usi per sedurre e assassinare.

— È morta pulita! Meglio bruciare in un unico lampo che vivere da mechanist, come una marionetta.

Il vecchio Lindsay fissava l’orda di falene bianche che sciamava sugli indumenti della donna morta. — In qualche modo t’inchioderemo, per questo. Tu e quell’arrivista plebeo di Constatine.

Lindsay lo fissò incredulo. — Stupido bastardo di un mech! Guardala! Non capisci che ci avete già uccisi? Lei era la migliore di noi! Era la nostra musa.

Suo zio corrugò la fronte. — Da dove sono arrivati tutti questi insetti? — Si chinò e cacciò via le falene con una mano raggrinzita.

D’un tratto Lindsay protese il braccio e strappò un medaglione in filigrana d’oro dal collo della donna. Suo zio gli agguantò il polso.

— È mio! — urlò Lindsay. Ripresero a lottare impetuosamente. Lo zio spezzò la stretta impacciata del nipote intorno al suo collo e lo colpì due volte allo stomaco. Lindsay cadde sulle ginocchia.

Lo zio agguantò il medaglione, ansando. — Mi hai aggredito — disse, scandalizzato. — Hai usato violenza contro un tuo concittadino. — Aprì il medaglione. Un olio denso scorse sulle sue dita.

— Nessun messaggio? — esclamò, sorpreso. Si annusò le dita. — Profumo?

Lindsay s’inginocchiò, ansando e pieno di nausea. Suo zio urlò.

Le bianche falene si stavano scagliando contro di lui, aderendo alla pelle oleosa delle sue mani. Erano dozzine.

Lo stavano attaccando. Urlò di nuovo, coprendosi il viso con le mani.

Lindsay rotolò due volte su se stesso, lontano dallo zio. S’inginocchiò in mezzo all’erba, tremando. Suo zio era a terra, in preda alle convulsioni come un epilettico. Lindsay arretrò a quattro zampe.

Il monitor al polso del vecchio era di un rosso vivo. Smise di muoversi. Le bianche falene strisciarono sopra il suo corpo per alcuni istanti, poi volarono via una ad una, scomparendo in mezzo all’erba.

Lindsay si alzò in piedi barcollando. Guardò dietro di sé, sul lato opposto del prato. Sua moglie stava venendo verso di loro, lentamente, in mezzo all’erba.

PARTE PRIMA

Zona dei cani solari

1

Zaibatsu Circumlunare
del Popolo del Mare della Tranquillità
27-12-’15

Spedirono Lindsay in esilio a bordo del tipo più economico possibile di tinozza. Per due giorni rimase cieco e sordo, stordito dalle droghe, il suo corpo impacchettato in una spessa matrice di pasta da decelerazione.

Lanciata dal condotto adibito a carico e scarico delle merci della Repubblica, la tinozza si portò con cibernetica precisione nell’orbita polare di un altro circumlunare. Ce n’erano dieci, di questi mondi artificiali. Era stato dato loro il nome dei mari e dei crateri lunari che avevano fornito il materiale grezzo per la loro costruzione. Erano state le prime nazioni-stato a rompere ogni rapporto con la Terra esausta. Per un secolo la loro alleanza lunare era stata il nesso della civiltà, e il traffico commerciale fra quei “Mondi Concatenati” aveva conosciuto punte di estrema intensità.

Ma da quei giorni gloriosi, i progressi compiuti nello spazio profondo avevano eclissato la Concatenazione, e il circondario lunare era diventato fuorimano. La loro alleanza si era sfasciata, cedendo il posto a uno stizzito isolamento e a un declino tecnico. I circumlunari erano caduti in basso, e nessuno era caduto più in basso di quelli del luogo dove Lindsay era stato esiliato.

Le telecamere osservarono il suo arrivo. Espulso dal portello di attracco della tinozza, galleggiò nudo nella camera doganale a caduta libera dello Zaibatsu Circumlunare del Popolo del Mare della Tranquillità. La camera esibiva l’opaco acciaio lunare, con strisce sbrindellate di resine epossidiche là dove i pannelli di rivestimento erano stati strappati via. Un tempo quella era stata una stanza per le coppie in luna di miele, dove i novelli sposi potevano folleggiare in caduta libera. Adesso era stata squallidamente trasformata in una burocratica area di controllo per la dogana.

Lindsay era ancora sotto l’effetto delle droghe, a causa della brevità del viaggio. Un cavo ad alimentazione a goccia venne inserito nella piegatura del suo braccio destro, rianimandolo. Neri dischi adesivi, biomonitori, gli punteggiavano la pelle nuda. Condivideva la stanza con una telecamera per il controllo a distanza. Il videosistema da caduta libera aveva due braccia cibernetiche mosse da pistoni.

Gli occhi grigi di Lindsay si aprirono. Erano velati. Il suo bel viso, con la pelle chiara e le sopracciglia arcuate dal disegno elegante, aveva l’espressione molle dello stordimento. I capelli scuri, scarmigliati, gli ricadevano sugli alti zigomi dove c’erano ancora alcune tracce di belletto vecchie di tre giorni.

Le braccia gli tremarono quando gli stimolanti cominciarono a fare effetto. Poi, d’un tratto, tornò in sé. Il suo addestramento lo travolse come un’ondata fisica, con una tale repentinità che i denti sbatterono per lo spasimo. Il suo sguardo spazzò l’intera stanza, vivido di un allarme innaturale. I muscoli del suo viso si mossero in un modo che avrebbe dovuto risultare impossibile per qualunque volto umano, e d’un tratto sorrise. Si esaminò e, rivolto alla telecamera, tornò a sorridere con aria tranquilla e tollerante urbanità.

L’aria stessa parve riscaldarsi per l’improvvisa radiosità del suo bonario cameratismo.

Il cavo infilato nel suo braccio si disimpegnò e, con un guizzo da serpente, rientrò nella parete. La telecamera parlò.

— Sei Abelard Malcolm Tyler Lindsay. Dalla Repubblica Corporativa Circumlunare del Mare della Serenità. Cerchi asilo politico. Non hai materiali biologici attivi nel tuo bagaglio o impiantati sulla tua persona. Non porti esplosivi o sistemi software da attacco. La tua flora intestinale è stata sterilizzata e sostituita da microbi standard zaibatsu.

— Sì, giusto così — rispose Lindsay alla telecamera, nel suo stesso giapponese. — Non ho bagaglio. — Si trovava a proprio agio con la forma moderna della lingua: un patois commerciale semplificato, privo degli inserti onorifici. La rapidità nell’assimilare le lingue era stata parte del suo addestramento.