— Presto sarai liberato in un’area che è stata ideologicamente decriminalizzata — proseguì la telecamera. — Prima che tu lasci la dogana ci sono certi limiti alla tua attività, che devi capire. Ti è familiare il concetto di diritti civili?
Lindsay fu cauto. — In quale contesto?
— Lo Zaibatsu riconosce un singolo diritto civile: quello della morte. Puoi rivendicare questo tuo diritto in qualsiasi momento, in qualsiasi circostanza. Tutto quello che devi fare è richiederlo. I nostri radiomonitor sono sparsi per tutto lo Zaibatsu. Se rivendicherai il tuo diritto, verrai subito terminato in maniera indolore. Hai capito?
— Ho capito — rispose Lindsay.
— La terminazione viene inoltre imposta nel caso di certi specifici comportamenti — continuò la telecamera. — Se minacci fisicamente l’habitat, verrai ucciso. Se interferirai con i nostri congegni di monitoraggio, verrai ucciso. Se attraverserai la zona sterilizzata, verrai ucciso. Verrai inoltre ucciso per crimini contro l’umanità.
— Crimini contro l’umanità? — fece Lindsay. — Questi come vengono definiti?
— Si tratta dei tentativi biologici e prostetici che noi dichiariamo aberranti. Le informazioni tecniche riguardanti i limiti della nostra tolleranza devono rimanere segrete.
— Capisco — annuì Lindsay. Si rese conto che ciò significava carta bianca. Lo potevano uccidere in qualunque momento, per qualsiasi ragione. Se l’era aspettato. Quel mondo era un porto per cani solari sciolti, disertori, traditori, esiliati, fuorilegge d’ogni tipo. Lindsay dubitava che un mondo pieno di cani solari sciolti potesse venir governato in qualunque altra maniera. C’erano, semplicemente, troppe strane tecnologie a spasso per lo spazio circumsolare. Centinaia di azioni all’apparenza innocue, perfino l’allevamento delle farfalle, potevano essere potenzialmente letali.
Siamo tutti criminali, pensò.
— Desideri rivendicare il tuo diritto civile?
— No, grazie tante — rispose Lindsay. — Ma è una grande gioia sapere che il governo Zaibatsu mi concede questa grande cortesia. Mi ricorderò di questa gentilezza.
— Devi soltanto chiamare — replicò la telecamera in tono soddisfatto.
L’intervista era terminata. Traballando in caduta libera, Lindsay si sbarazzò dei biomonitor. La telecamera gli porse una carta di credito e un paio di tute zaibatsu del modello standard.
Lindsay s’infilò quegli indumenti flosci. In esilio era venuto da solo. Anche Constantine era stato indiziato, ma come al solito Constantine era stato troppo intelligente.
Da quindici anni Constantine era stato il suo amico più intimo. La famiglia di Lindsay aveva disapprovato la sua amicizia con un membro della plebe, ma Lindsay li aveva sfidati.
A quei tempi gli anziani avevano sperato di riuscire a mantenersi in equilibrio fra le superpotenze. La loro tendenza era stata quella di fidarsi dei Plasmatori, e avevano spedito Lindsay al Consiglio dell’Anello perché si perfezionasse nell’arte della diplomazia. Due anni dopo avevano spedito anche Constantine, perché si perfezionasse in biotecnologia.
Ma i Mechanist avevano sopraffatto la Repubblica, e Lindsay e Constantine erano caduti in disgrazia, imbarazzanti ricordi di un fallimento della politica estera. Ma ciò era soltanto servito a unirli, la loro duplice influenza si era diffusa in maniera contagiosa fra la plebe e i giovani aristocratici.
Uniti, si erano dimostrati formidabili: Constantine con i suoi sottili piani a lungo termine e la ferrea determinazione; Lindsay come uomo di prima linea con la sua persuasiva eloquenza e la teatrale eleganza.
Ma poi Vera Kelland si era interposta fra loro. Vera: artista, attrice e aristocratica, la prima martire preservazionista. Vera credeva nella loro causa, era la loro musa, era convinta di quanto faceva con uno zelo che loro non erano in grado di eguagliare. Anche lei era sposata, con un uomo di sessant’anni più vecchio di lei, ma l’adulterio non aveva fatto altro che aggiungere spezia alla lunga seduzione. Finalmente Lindsay l’aveva conquistata. Ma con il possesso di Vera era giunta anche la sua letale decisione.
Loro tre avevano saputo che un suicidio avrebbe cambiato la Repubblica, là dove qualunque altra cosa sarebbe stata inutile. Si erano accordati: Philip sarebbe sopravvissuto per portare avanti la loro opera. Questa era la consolazione per la perdita di Vera e per la solitudine che ne sarebbe seguita. E loro tre avevano lavorato per la morte in febbrile intimità, fino a quando la morte di lei era giunta davvero, trasformando i loro puri ideali in una appiccicosa sgradevolezza.
La telecamera aprì il portello della dogana, con un cigolio di ingranaggi idraulici male lubrificati. Lindsay si scrollò di dosso il passato. Fluttuò lungo un corridoio dai pannelli divelti verso il debole bagliore della luce diurna.
Emerse su una piattaforma d’atterraggio per aerei, intasata di sudici macchinari.
La piattaforma era al centro della zona di caduta libera dell’asse centrale della colonia. Da lì Lindsay poteva guardare lo Zaibatsu per tutta la lunghezza, attraverso cinque lunghi chilometri di aria cupa e puzzolente.
La prima cosa a colpirlo fu la vista e la forma delle nubi. Erano malformate, gonfie, con una brutta tinta giallastra. S’increspavano e si distorcevano sotto l’effetto delle fetide correnti ascensionali che si levavano dai pannelli di terra dello Zaibatsu.
L’afrore era disgustoso. Ognuno dei tre mondi circumlunari della Concatenazione aveva il proprio odore indigeno. Lindsay ricordava che la sua Repubblica gli era parsa puzzare la prima volta che si era trovato a farvi ritorno dopo aver frequentato l’accademia dei Plasmatori. Ma qui l’aria pareva tanto immonda da essere in grado di uccidere. Il suo naso cominciò a colare.
Ognuno dei mondi della Concatenazione si era trovato a dover risolvere problemi biologici a mano a mano che l’habitat invecchiava.
Il suolo fertile richiedeva un minimo di dieci milioni di cellule batteriche per centimetro cubo. Questo sciame invisibile costituiva la base di qualunque creatura fruttificante. Era stata l’umanità a portarlo nello spazio.
Ma l’umanità e i suoi simbionti avevano buttato via la coltre dell’atmosfera. I livelli delle radiazioni erano aumentati. I mondi circumlunari avevano schermi fatti di detriti lunari importati, profondi parecchi metri, ma non potevano evitare le raffiche delle esplosioni solari e gli impatti casuali delle radiazioni cosmiche.
Senza batteri, il suolo sarebbe stato un mucchio senza vita di polvere lunare importata. Ma, con essi, rischiava costantemente un evento mutazionale.
La Repubblica lottava per tenere sotto controllo i suoi Agri. Nello Zaibatsu, l’acidificazione era diventata epidemica. I funghi mutanti si erano diffusi a macchia d’olio, formando una crosta miceliale sotto la superficie esposta del terreno. Questa crosta gommosa respingeva l’acqua, soffocando gli alberi e l’erba. La vegetazione morta veniva attaccata dalla putrescenza. Il terreno si era inaridito, l’aria era diventata eccessivamente umida, e la muffa fioriva sui campi e i frutteti morenti, grige capocchie di spillo che si coagulavano a sciami formando chiazze di corruzione, pelose come licheni…
Quando le cose raggiungevano questo stadio, soltanto sforzi disperati potevano rimettere in sesto un mondo. Zaibatsu avrebbe dovuto esser evacuato, tutta la sua aria decompressa nello spazio, e l’intera superficie interna avrebbe dovuto esser ripulita carbonizzandola nel vuoto, e poi riseminata da zero. Ma la spesa per tutto questo era rovinosa.
Le colonie che si erano trovate davanti a prospettive del genere avevano sofferto scissioni e defezioni di massa, durante le quali a migliaia gli abitanti erano fuggiti verso le frontiere dello spazio più profondo. Con il passare del tempo, questi profughi avevano formato delle società proprie. Si erano uniti in Consorzio politico economico, i cartelli Mechanist della Cintura degli Asteroidi, oppure al Consiglio dell’Anello dei Plasmatori, in orbita intorno a Saturno.