Lindsay si lasciò cadere sul pavimento dall’altra parte.
— Mi si brucino le maniche — borbottò. A quel punto tutti avevano un’aria un po’ disfatta. Si diresse verso il capannello degli altercanti.
Il giovane mechanist era bloccato al centro del cerchio. Indossava un completo di raso dal taglio impeccabile con alamari neri e un accenno di merletto alla plasmatore intorno alla gola. Lindsay lo riconobbe per un discepolo di Ryumin, arrivato con l’ultima tournèe della Kabuki Intrasolar. Si faceva chiamare Wells.
Wells aveva l’aspetto impertinente dei cani solari: capelli corti e opacizzati, occhi scaltri, una sciolta posizione del corpo, da caduta libera. Aveva la sigla del Kabuki, la maschera, sulla spalla del suo completo. Pareva ubriaco.
— È un caso aperto e chiuso — insisteva Wells a voce alta. — Quando hanno usato gli investitori come pretesto per far cessare la guerra, quella era una cosa. Ma quelli di noi che hanno conosciuto gli alieni da quando eravamo bambini, sanno riconoscere la verità. Non sono santi. Ci hanno manipolati per ricavarne profitto.
Il gruppo non si era ancora accorto della presenza di Lindsay. Lui si era tenuto indietro, valutando le loro reazioni muscolari. La faccenda era spiacevole, greve: i plasmatori erano Afriel, Besetzny, Wardan, Parr e Leng, la sua classe di laureati in linguistica aliena. Ascoltavano il mechanist con cortese disprezzo, non si erano premurati di dirgli chi erano malgrado i loro sovrapanciotti predottorali indicassero con chiarezza il loro rango.
— Non ti sembra che meritino qualche credito per la distensione? — Era stato Simon Afriel a parlare, un freddo ed esperto giovane militante, che si stava già distinguendo nel complesso accademico militare dei Plasmatori. Una volta aveva confessato a Lindsay di aver messo l’occhio su un incarico diplomatico presso gli alieni. Così avevano fatto loro tutti: certamente fra diciannove razze aliene ce ne doveva essere una con cui i Plasmatori avrebbero potuto stabilire un concreto rapporto. E il diplomatico che fosse tornato sano di mente da quella missione avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi.
— Sono un ardente detentista — ammise Wells. — Voglio soltanto che l’umanità ne condivida il profitto. Per trent’anni gli investitori ci hanno comperato e venduto. Possediamo i loro segreti? Il loro motore stellare? Conosciamo la loro storia? No. Invece loro ci rifilano giocattoli e costosi voli di puro divertimento fino alle stelle. Questi artisti dell’imbroglio coperti di scaglie hanno approfittato delle debolezze e delle divisioni umane. Non sono il solo a pensarlo. C’è una nuova generazione di neocartelli oggigiorno, che…
— A che serve? — era stata Besetzny a parlare, una giovane donna benestante che già parlava otto lingue oltre all’investitore. Era l’immagine vivente del fascino d’una giovane plasmatrice, con le sue maniche aperte e senza lacci e l’alato copricapo di velluto. — Nei cartelli sei soverchiato dal numero dei tuoi vecchi. Loro ci tratteranno come hanno sempre fatto: è la loro routine. Senza gli investitori a farci da scudo…
— È proprio questo il fatto, dottore-designato. — Wells non era così ubriaco come sembrava. — Ce ne sono centinaia di noi che ardono dalla voglia di vedere gli Anelli per quello che sono. Voi non siete senza ammiratori, sapete. Abbiamo mode dell’Anello di terza mano, arte dell’Anello di quarta mano, fatte circolare in segreto. È patetico. Ci sono tante cose che potremmo offrire l’uno all’altro… Ma gli investitori hanno spremuto tutto quello che volevano dallo status quo. Hanno già cominciato ad aiutare i guerrafondai, riducendo gli intervoli Anello-Cartello, incoraggiando le guerre sui prezzi… Sapete, il solo fatto che io sia venuto qui basta a marchiarmi per tutta la vita, forse perfino come agente della Sicurezza dell’Anello: un bacillo, non è così che li chiamate? Non metterò mai più piede in un cartello senza occhi che mi osservino…
Afriel alzò la voce. — Buonasera, capitano-dottore. — Si era accorto di Lindsay.
Cercando di sfruttare al meglio la situazione, Lindsay avanzò con passo tranquillo. — Buonasera, dottore-designato. Signor Wells… Confido che non vi stiate amareggiando con del giovanile cinismo. Questo è un momento felice…
Ma adesso Wells era nervoso. Tutti i Mechanist avevano terrore degli agenti della Sicurezza dell’Anello, senza rendersi conto che il complesso accademico-militare permeava la vita dei Plasmatori in maniera così totalizzante che un buon quarto apparteneva alla Sicurezza in una maniera o nell’altra. Besetzny, Afriel, e Parr, per esempio, tutti capi focosi della gioventù paramilitare di Goldreich-Tremaine, costituivano una minaccia assai maggiore per Wells di quanto poteva costituirla lui stesso, Lindsay, con il suo riluttante capitanato. Wells, però, era galvanizzato dalla diffidenza. Borbottò facezie fino a quando Lindsay non si fu allontanato.
La cosa peggiore era che Wells aveva ragione. Gli studenti plasmatori lo sapevano. Ma non avevano nessuna intenzione di mettere in pericolo il loro dottorato conquistato a fatica mostrandosi pubblicamente d’accordo con un mech ingenuo. Nessuno avrebbe mai ricevuto dal Consiglio dell’Anello l’autorizzazione a visitare altre stelle, senza un’ideologia impeccabile.
Naturalmente gli investitori erano dei profittatori. Il loro arrivo non aveva portato il millennio che l’umanità si era aspettata. Gli investitori non erano neppure particolarmente intelligenti. Compensavano questa loro lacuna con una faccia tosta inflessibile e una bramosia da ladruncoli per ogni bottino luccicante. Erano semplicemente troppo avidi per diventare confusi. Sapevano quello che volevano, e questo era il loro vantaggio topico.
Erano stati dipinti molto più grandi della vita. Lindsay stesso l’aveva fatto in buona misura, quando lui e Nora avevano barattato la trappola mortale dell’asteroide con tre mesi di lezioni di lingua e un passaggio gratis fino al Consiglio dell’Anello. Con la sua improvvisa notorietà come amico degli alieni, Lindsay aveva fatto del suo meglio per gonfiare la mistica degli investitori. Era colpevole di frode come chiunque altro.
Aveva perfino defraudato gli investitori. Il nome con cui questi lo chiamavano era ancora un raschiamento e un fischio che significavano “artista”. Lindsay aveva ancora degli amici fra gli investitori, o per lo meno esseri che si sentiva sicuro di poter divertire.
Gli investitori avevano un senso che in qualche modo si avvicinava all’umorismo, un certo sadico godimento quando concludevano un affare con accorta perspicacia. Quella scultura che gli avevano dato, e che occupava il posto d’onore in casa sua, poteva benissimo essere costituita, in realtà, da due frammenti d’escrementi alieni corrosi dal gelo.
Dio soltanto sapeva a quale stordito alieno avevano venduto il suo pezzo artistico. C’era da aspettarselo che un giovane come Wells esigesse di sapere la verità, per poi diffonderla. Senza conoscere le conseguenze della sua azione, o senza che neppure gliene importasse; semplicemente troppo giovane per vivere nella menzogna. Bene, le falsità avrebbero retto ancora per un po’. Malgrado la nuova generazione, nata e allevata durante la Pace degli Investitori, lottasse per lacerare il velo, senza sapere che era proprio questa la tela sulla quale il loro mondo era dipinto.