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Lindsay cercò sua moglie. Lei era nel suo ufficio, appartata con la sua banda di cospiratori fatta di diplomatici addestrati. Il colonnello-professore Nora Mavrides proiettava una lunga ombra in Goldreich-Tremaine. Presto o tardi ogni diplomatico della capitale c’era finito dentro. Era la più conosciuta lealista della sua classe e fungeva loro da campione.

Lindsay si nascondeva dietro il conforto della propria mistica. Per quello che ne sapeva, era l’ultimo sopravvissuto della sezione straniera. Se altri diplomatici non Plasmatori erano sopravvissuti, ciò non era avvenuto perché avevano reclamizzato se stessi.

Entrò per qualche istante nella stanza, soltanto per una questione di cortesia, ma come al solito quei levigati movimenti muscolari lo rendevano nervoso. Li lasciò quasi subito, per passare nella saletta dei fumatori, nella quale due che gironzolavano intorno alla porta di servizio venivano iniziati a quel vizio alla moda dal cast di Sheperd Moons di Vetterling.

Qui Lindsay passò subito al suo ruolo d’impresario. Essi credevano in ciò che vedevano di lui: un vecchio, un po’ lento, forse senza il fuoco del genio che altri avevano, ma generoso e con una punta di mistero. Questo mistero si accompagnava al fascino; il dottor Abelard Mavrides aveva imposto la sua parte di tendenza.

Passò da una conversazione all’altra: la politica dei matrimoni genetici, gli intrighi della Sicurezza dell’Anello, le rivalità fra le città, le dottrine accademiche, i conflitti sui turni di lavoro giornalieri, le congreghe artistiche; tutti fili di un singolo tessuto. Il luccichio della cosa in sé, il levigato splendore del suo disegno sociale, l’avevano cullato inducendolo alla routine. A volte si meravigliava della placidità che provava. Quanto di essa era l’età, la dolcezza del decadimento? Lindsay aveva sessantun anni.

La festa del matrimonio era alla fine; gli attori se ne stavano andando per ripassare le parti, gli anziani strisciavano verso le loro antiche tane, le orde dei bambini sgambettavano verso gli asili delle loro rispettive linee genetiche. Lindsay e Nora si ritirarono finalmente nella loro camera da letto. Nora aveva gli occhi che le brillavano, era un po’ ebbra. Si sedette sull’orlo del loro letto, aprendo il fermaglio del suo indumento ufficiale, in alto sulle spalle. Lo tirò in avanti, e tutto quel complicato lavoro di traforo sgusciò sciogliendosi sulla sua schiena, in una ragnatela di fili.

Nora aveva avuto il suo primo ringiovanimento vent’anni prima, quando ne aveva trentotto, e il secondo a cinquanta. La pelle delle sue spalle era liscia come il vetro alla luce rosata della lampada sul comodino. Lindsay allungò la mano dentro il cassetto superiore del comodino, e tirò fuori il suo vecchio videomonocolo dalla scatoletta imbottita. Nora sfilò le sue esili braccia dalle maniche a grani dell’abito e sollevò la mano per togliersi il cappello. Lindsay cominciò a filmare.

— Non ti spogli? — Nora si girò. — Abelard, cosa stai facendo?

— Voglio ricordarti così — lui rispose. — Questo momento perfetto.

Lei scoppiò a ridere e buttò da parte il copricapo. Con pochi, agili movimenti sfilò gli spilloni ingioiellati dai capelli e liberò con una scrollata del capo una cascata di trecce scure. Lindsay si sentì eccitato. Mise da parte il proprio monocolo e sgusciò fuori a sua volta dai propri indumenti.

Fecero l’amore in modo lento e confortevole. Quella notte, però, Lindsay aveva sentito la puntura della mortalità, e ciò l’aveva spronato; la passione lo colse. Fece l’amore con ardente impazienza, e lei lo assecondò. Raggiunse l’apice con violenza, guardando durante tutti i battiti del suo cuore la propria mano di ferro sulla spalla liscia di lei. Giacque alla fine rantolante, con gli orecchi rimbombanti al ritmo delle pulsazioni cardiache. Un attimo dopo si spostò. Lei sospirò, si stiracchiò e rise.

— Meraviglioso — disse. — Sono felice, Abelard.

— Ti amo, tesoro — lui replicò. — Sei la mia vita.

Lei si sollevò su un gomito. — Stai bene, tesoro?

Lindsay si sentiva pungere gli occhi. — Ho parlato con Dietrich Ross, stasera — disse con cautela. — Ha un programma di ringiovanimento che vorrebbe che provassi.

— Oh — fece lei, deliziata. — Una buona notizia.

— È rischioso.

— Ascolta, tesoro, essere vecchi è rischioso. Il resto è soltanto questione di tattica. Tutto quello che ti serve è un po’ di catabolismo di minore intensità. Qualunque laboratorio può farlo. Non hai bisogno di niente di più ambizioso. Quello può aspettare altri vent’anni.

— Significherebbe lasciar cadere la mia maschera davanti a qualcuno. Ross dice che questo gruppo è discreto, ma io non mi fido di Ross. Vetterling e Pongpianskul hanno fatto una scena alquanto strana, stasera, e Ross li ha assecondati.

Nora disfece una delle sue trecce. — Tu non sei vecchio, tesoro, e hai finto troppo a lungo, ormai. La tua storia non sarà più un problema fra non molto. I diplomatici stanno riconquistando i propri diritti, e adesso tu sei un Mavrides. Il reggente Vetterling non è programmato, eppure nessuno pensa male di lui.

— Certo che lo pensano.

— Forse un po’. Ma non è questo il problema, comunque. Non è per questo che hai rimandato la cosa. Hai gli occhi gonfi, Abelard. Hai preso i tuoi antiossidanti?

Lindsay rimase silenzioso per qualche istante. Si rizzò a sedere sul letto, tenendosi sollevato con il suo infaticabile braccio prostetico.

— È la mia mortalità — disse. — Un tempo significava tanto per me. È tutto quello che mi rimane della mia vecchia vita, le mie vecchie convinzioni…

— Ma non rimani lo stesso lasciandoti invecchiare. Potresti restare giovane proprio per conservare i tuoi vecchi sentimenti.

— Ce un modo soltanto di farlo. Il modo di Vera Kelland.

Le mani di Nora si fermarono sulla treccia semidisfatta. — Mi spiace — disse Lindsay. — Ma è da qualche parte. L’ombra… Mi spiace, Nora, se sarò giovane di nuovo le cose cambieranno. Tutti questi anni, c’è stata tanta gioia per noi… io rimango qui immobile, giacendo nell’ombra, al sicuro con te, e felice. Essere di nuovo giovane, correre questo rischio… sarò di nuovo fuori all’aperto. Degli occhi mi sorveglieranno.

Lei gli accarezzò la guancia. — Tesoro, veglierò su di te, io ti proteggerò. Nessuno ti farà del male senza prima passare sopra il mio corpo.

— Sono felice, lo dico in tutta sincerità, ma non riesco a togliermi di dosso questa sensazione. È soltanto un senso di colpa. Colpa perché la vita è stata troppo buona con noi, perché noi abbiamo avuto l’amore, mentre tutti gli altri sono morti come sorci in un angolo.

La sua voce tremava; lanciò un’occhiata al tessuto color terra di Siena della coperta del letto, al tenue bagliore della lampada. — Quanto tempo può durare ancora, la Pace? I vecchi ci disprezzano, mentre i giovani non ci considerano nemmeno. Le cose devono cambiare, e come potrebbero esser migliori? Per noi possono soltanto peggiorare… tesoro… — Incontrò i suoi occhi. — Ricordo i giorni in cui non avevamo niente, neppure l’aria da respirare, e il putridume strisciava tutt’intorno a noi. Tutto quello che abbiamo guadagnato da allora è stato puro profitto per noi, ma non è stato reale… Quello che c’è fra noi due è reale, è tutto. Dimmi che se tutto questo dovesse sfasciarsi, tu sarai ancora con me…

Lei gli afferrò le mani, appoggiando quella di ferro sopra le sue. — Cos’è che ha causato tutto questo? È Constantine?

— Vetterling vuol portare uno degli uomini di Constantine nella Congrega.

— Che si bruci! Sapevo che quel despota doveva entrarci in qualche modo. È questo che ti spaventa, non è vero? Rimestare antiche tragedie… Ma adesso che ho saputo chi devo affrontare, mi sento meglio!