Выбрать главу

— Noi non pensiamo come vorrebbero loro — dichiarò la ragazza. — E per questo loro ci uccideranno. Ma prima noi spalancheremo il cranio del mondo infilandoci dentro i nostri aghi.

— Aspetta — disse Lindsay. — Forse la Pace è condannata. Ma voi potreste salvarvi. Siete intelligenti. Potreste…

— La vita è un gioco, amico. La morte è il punto culminante. — Sollevò la mano e scomparve.

Lindsay rantolò. — Cos’hai… — D’un tratto cessò di parlare. La propria voce gli suonava strana. L’acustica stessa gli parve diversa. Le macchine, però, producevano gli stessi tranquilli ronzii e sommessi bip.

Si avvicinò. — Ehi! Ragazzina, prima parliamo. Credimi, io posso capire. — La sua voce era cambiata. Aveva perduto il sottile raschiamento dell’età. Si toccò la gola con la sinistra. Il suo mento aveva una folta barba. Scosso, la tirò. Sì, erano peli suoi, non c’era dubbio.

Fluttuò più vicino alle macchine, ne toccò una. Frusciò sotto le sue mani. L’afferrò in preda al furore: subito si accartocciò, mostrando un’esile intelaiatura di cellulosa e di plastica. Affondò la mano nella macchina vicina, lacerandola. Un altro modellino. Al centro del complesso c’era un registratore da bambini, che ronzava e bippava debolmente. Lo sollevò da terra con la sinistra, e divenne d’un tratto conscio del suo braccio sinistro: un dolore gli persisteva ancora nei muscoli.

Si strappò di dosso la camicia e la giacca. Il suo stomaco era teso e piatto; i peli grigi sul suo petto erano stati accuratamente depilati. Ancora una volta si toccò il viso. Lui non si era mai lasciato crescere la barba, ma al tatto quella pareva di due settimane.

La ragazza doveva averlo drogato, lì sul posto. Poi qualcuno gli aveva fatto un lavaggio delle cellule, aveva invertito il suo catabolismo, dando una regolata al limite di Hayflick della sua pelle e degli organi più importanti, esercitando nello stesso tempo il suo corpo inconscio per ristabilire il tono muscolare. Poi, quando tutto era stato completato, l’aveva rimesso nella stessa posizione, riportandolo in qualche modo all’immediata coscienza.

Lo shock ritardato lo colpì: il mondo tremolò davanti ai suoi occhi. Paragonata a questa, quasi qualunque altra cosa poteva essere motivo di dubbio: il suo nome, il suo lavoro in quel luogo, la sua vita. Mi hanno lasciato la barba come calendario, pensò, stordito. A meno che anche quella non fosse falsa.

Tirò un profondo sospiro. Si sentiva i polmoni tirati, tesi. Li avevano ripuliti dal catrame dovuto al fumo.

— Oh, Dio! — esclamò, a voce alta. — Nora. — Ormai doveva aver superato il momento del panico, doveva essere piena di un odio spietato nei confronti di chi l’aveva catturato, chiunque fosse. Si affrettò subito verso l’uscita della bolla.

L’ammasso di gonfiabili economici simile a un grappolo era agganciato ad una tubostrada interurbana. Lindsay subito fluttuò lungo il corridoio laccato ed emerse attraverso una porta a filamenti in un trasparente e rigonfio complesso d’incroci. Sotto, c’era Goldreich-Tremaine, con le sue ruote di Besetzny e di Patterson che ruotavano con lenta maestosità. Con i bitorzoli e gli anelli simili a molecole degli altri sobborghi che risplendevano d’una luce purpurea, dorata oppure verde, circondando la città come una trama imperlata. Per lo meno, lui si trovava ancora a Goldreich-Tremaine. Si diresse subito verso casa.

Consiglio di Stato
di Goldreich-Tremaine
18-9-’53

Il caos ripugnava a Constantine. Le evacuazioni erano una faccenda disordinata. Il porto di ormeggio era cosparso di spazzatura: indumenti, orari delle navi, imballi a iniezione, pieghevoli di propaganda. Il limite dei bagagli diventava sempre più rigoroso al passare di ogni ora. Non lontano da lì, quattro plasmatori stavano tirando fuori degli articoli dalle loro valige troppo pesanti, fracassandoli per dispetto contro le pareti e i banchi di ormeggio.

Lunghe file erano in attesa al terminal interazione. I terminal sovraccarichi si facevano pagare al secondo. Alcuni dei profughi stavano scoprendo che gli costava di più vendere i loro titoli vacillanti, di quanto costassero i titoli stessi.

Una voce sintetica al sistema di altoparlanti per il pubblico annunciò il prossimo volo diretto alla Skimmers Union. Subito, un nuovo pandemonio spazzò il porto. Constantine sorrise. La sua nave, la Friendship Serene, aveva quella destinazione. A differenza degli altri, il suo letto era sicuro. Non soltanto a bordo della nave, ma anche nella nuova capitale.

Goldreich-Tremaine aveva osato più di quanto potesse, e aveva fallito. Si era appoggiata troppo alla mistica della propria posizione di città-capitale. Sparita questa, soppiantata dai militanti di una città rivale, la rete di crediti di Goldreich-Tremaine non aveva avuto più niente in grado di sorreggerla.

A lui piaceva la Skimmers Union. Galleggiava in un’orbita circumtitaniana, sopra il sanguinolento luccichio delle nubi di Titano. Nella Skimmers Union la fonte della ricchezza della città era sempre vicina in maniera rassicurante: l’inesauribile massa di sostanze organiche aveva soffocato il cielo di Titano. Draghe alimentate a fusione nucleare scorrazzavano attraverso la sua atmosfera, raccogliendo centinaia di tonnellate di sostanze organiche. Metano, etano, acetilene, cianogeno: un costante stock planetario per le fabbriche di polimeri dell’Unione,

Dei passeggeri stavano sbarcando. Una manciata al confronto di quelli che se ne stavano andando, e non una manciata piacevole a vedersi. Un gruppo con addosso delle uniformi sformate passò galleggiando davanti ai doganieri. Cani solari, chiaramente, e neppure cani solari plasmatori: la loro pelle luccicava di olii antisettici.

Le guardie del corpo di Constantine mormorarono fra loro, giudicando i nuovi arrivati. Le sentì con il suo auricolare. Le quattro guardie non erano affatto felici, a causa della riluttanza che Constantine mostrava a volersene andare. Molti nemici locali di Constantine erano prossimi alla disperazione con le banche di Goldreich-Tremaine vicine al collasso. Le guardie erano in preda al più febbrile allarme.

Ma Constantine si attardava ancora: aveva sconfitto i Plasmatori sul loro stesso terreno, e il piacere che ne aveva tratto era stato intenso. Lui viveva per momenti come quello. Forse era l’unico uomo calmo in mezzo a una folla di quasi duemila persone. Mai prima di allora si era sentito così completamente padrone della situazione.

I suoi nemici erano stati rovinati dalla loro sottovalutazione. L’avevano valutato in un certo modo, e si erano completamente sbagliati. Constantine stesso non conosceva quella misura: era quello il tormento che lo stimolava a continuare.

Considerò i suoi nemici uno ad uno. I militanti l’avevano scelto per attaccare la Congrega di Mezzanotte, e il suo successo era stato totale e impressionante. Il reggente Charles Vetterling era stato il primo a cadere. A Vetterling piaceva considerarsi un sopravvissuto. Incoraggiato da Charles Zeuner, aveva appoggiato con la sua fazione i militanti. Il potere della Congrega di Mezzanotte era stato infranto dall’interno. Si era frazionato in tanti piccoli campi di battaglia. Quelli che avevano mantenuto le loro posizioni erano stati denunciati da altri più disperati.

Quel disertore mechanist, Sigmund Fetzko, si era “dissolto”. In quei giorni, tutti quelli che si presentavano alla sua residenza ricevevano soltanto ingegnose scuse con la preghiera di ripassare ad altra data, e temporeggiamenti dell’esperto sistema della casa. L’immagine di Fetzko continuava a vivere; l’uomo in quanto persona era morto, ma era troppo cortese per ammetterlo.

Neville Pongpianskul era morto, assassinato nella Repubblica per ordine di Constantine.