Выбрать главу

Lindsay si soffiò il naso. Con un brivido di profondo disgusto porse il fazzoletto sporco al servorobot della casa.

— Allora avrei osato qualunque cosa, ero pronto a morire. Ma non l’ho fatto. Ho continuato a cercare. E ho trovato qualcuno. Ho avuto una moglie e non c’è stata nessuna finzione tra noi. Insieme siamo stati felici.

— Ne sono felice per te, signor Dze.

— Quando il pericolo ci ha accerchiati, ho rotto e sono scappato. Adesso, dopo quasi quarant’anni, sono di nuovo un cane solare.

— Quarant’anni sono una vita umana, signor Dze. Non costringerti ad essere umano. Viene il momento in cui devi rinunciarci.

Lindsay guardò il proprio braccio prostetico, flette lentamente le dita. — L’amavo ancora. È stata la guerra a dividerci. Se ci fosse di nuovo la pace…

— Sono sentimenti detentisti. Sono fuori moda.

— Hai rinunciato alla speranza, Ryumin?

— Sono troppo vecchio per le passioni — rispose Ryumin. — Non chiedermi di correre rischi. Lasciami ai miei flussi di dati, signor Dze, o chiunque tu sia. Io sono quello che sono. Non c’è modo di tornare indietro, nessun modo per ricominciare. Quello è un gioco per chi ha ancora carne. Per chi può guarire.

— Mi spiace — disse Lindsay — ma io ho bisogno di alleati. Il sapere è potere, e io so cose che gli altri non sanno. Intendo combattere, non contro i miei nemici ma contro le circostanze. Contro la storia. Voglio riavere mia moglie, Ryumin. Mia moglie plasmatrice. La rivoglio libera e assolta, senza nessuna ombra su di lei. Se non mi vuoi aiutare tu, chi lo farà?

Ruymin esitò. — Ho un amico — disse infine. — Si chiama Wells.

Cartello Dembowska
31-10-’53

Prima dell’avvento dell’umanità, la cintura degli asteroidi si era assestata secondo la fisica dei detriti. I frammenti si erano distribuiti secondo le potenze di dieci. Per ogni singolo asteroide, ce n’erano dieci grandi un terzo, da Cerere (mille chilometri di diametro) giù giù fino, letteralmente, ai mille miliardi di macigni non segnati su nessuna mappa, che seguivano potenziali spaziotemporali a velocità relative di cinque chilometri al secondo.

Dembowska apparteneva alla terza categoria, con un diametro di duecento chilometri. Come altri corpi circumsolari, aveva reso omaggio alle leggi del caso. Ai tempi dei dinosauri, qualcosa di grosso aveva colpito Dembowska. Il visitatore era arrivato e sparito in una frazione di secondo, lasciando pezzi dei suoi pirosseni fusi per l’impatto sepolti nella crosta dell’asteroide mentre si frantumava in un torrente di fuoco. Nel punto dell’impatto la matrice di silicati di Dembowska si era spezzata, aprendo un frastagliato crepaccio verticale che scendeva a venti chilometri di profondità fino al nucleo di ferro e nichel dell’asteroide.

Adesso la maggior parte del nucleo non c’era più, divorata da un’industria sempre avida. Cartello Dembowska viveva dentro quel crepaccio, lunghe terrazze che scendevano livello dopo livello nella gravità sempre più debole, con la pendenza che mutava, finché quelle che erano pareti diventavano pavimenti, fino a quando le pareti e i pavimenti scomparivano completamente in qualcosa che era il più vicino possibile alla caduta libera.

Alla base del crepaccio, il mondo si espandeva in un enorme vano cavernoso, il cuore vuoto di Dembowska, dove generazioni di fuchi comandati a distanza avevano rosicchiato il metallo e il minerale grezzo che lo conteneva.

Il foro era troppo largo per trattenere l’aria. Lo trattavano come se fosse spazio aperto. All’interno del vuoto a caduta libera del nucleo dell’asteroide c’erano le nuove industrie: le fabbriche crioniche, dove indicazioni e ricordi sollecitati dalla mente distrutta di Michael Carnassus venivano tradotti in una crescita costante delle azioni del Cartello Dembowska sul monitor della borsa di cento mondi.

I segreti commerciali erano al sicuro dentro le viscere di Dembowska, al riparo sotto chilometri di roccia. La vita si era imposta a forza come lo stucco dentro la faglia di quel pianeta minore; ne aveva scavato fuori il cuore inerte e l’aveva riempito di macchine.

Visto dal nucleo industriale, il fondo del crepaccio era lo strato più alto del mondo esterno. Qui Wells aveva i suoi uffici, dove le squadre dei suoi impiegati in servizio ventiquattr’ore su ventiquattro monitoravano gli impulsi di dati dell’Unione dei Cartelli, sotto l’egida quasi nazionale della Rete Datacom di Cerere.

Gli uffici avevano le pareti di velcro e di video, pareti baluginanti con il loro incessante mormorio di notizie che scandivano il lavoro. Pezzi di copie-hard, riproduzioni al naturale dei documenti, venivano appesi dovunque, al velcro, sotto (i piedi) o sopra (la testa); i cronisti con le cuffie parlavano alle audiolinee oppure battevano energicamente sulle tastiere. Parevano giovani. C’era una stravaganza calcolata nel loro modo di vestire. Sopra il mormorio dei resoconti, lo scorrevole martellio dei tabulati, il ronzare dei nastri-dati che venivano innescati, si diffondeva una debole musica di fondo: il friabile lamento dei sintetizzatori. L’aria fredda sapeva di rose.

Una segretaria li annunciò. I suoi capelli si arricciavano fuori da un ampio berretto mech. Il suo gonfiore suggeriva possibili microspie craniali. Ostentava un distintivo patriottico sul risvolto della giacca, che mostrava la faccia con gli occhi spalancati di Michael Carnassus.

L’ufficio di Wells era più sicuro di tutto il resto. Le sue videopareti formavano uno straripante mosaico di titoli di testa, rettangoli di dati interconnessi che potevano venir immobilizzati ed espansi a volontà. Indossava un completo imbottito con laccetti alla plasmatore alla gola; il tessuto grigio era stampato in grigio più scuro con disegni stilizzati di euripteroidi. I suoi guanti erano ricoperti di anelli di controllo gonfi di circuiti.

— Benvenuto al RDC, revisore Milosz. Anche a te, moglie-poliziotta. Posso offrirvi un po’ di tè?

Lindsay accettò con gratitudine il caldo bulbo. Il tè era sintetico ma buono. Anche Greta accettò il bulbo, ma non bevve niente. Osservava Wells con tranquilla diffidenza.

Wells toccò un pulsante sull’appiccicosa superficie della sua scrivania a caduta libera. Una grande lampada a collo d’oca ruotò sulla sua spirale con sottile grazia da rettile, e fissò Lindsay. C’erano occhi umani nel cappuccio della lampada, incassati dentro una levigata matrice di carne scura. Gli occhi ammiccarono e si spostarono da Lindsay a Greta Beatty. Greta chinò la testa in segno di riconoscimento.

— Questo è un monitor di uscita per il Capo della Polizia — spiegò Wells. — Lei preferisce vedere con i propri occhi, quando le notizie hanno tanta importanza, quanto quella che tu affermi abbiano le tue. — Si rivolse a Greta. — La situazione è sotto controllo, moglie-poliziotta. — La porta a fisarmonica si aprì dietro di lei.

Con le labbra serrate, Greta fece un altro inchino verso la lampada, lanciò una rapida occhiata a Lindsay, e scalciando contro la parete uscì attraverso la porta. Questa tornò a chiudersi.

— Come ha fatto a impegolarsi con quella monaca? — gli chiese Wells.

— Scusi? — fece Lindsay.

— La Beatty. Non le ha parlato della sua affiliazione al culto Zen Serotonina?

— No. — Lindsay esitò. — Sembra molto padrona di sé.

— Strano. A quanto mi è dato di sapere, il culto è molto radicato nel suo mondo nativo, Bettina, non è vero?

Lindsay incrociò lo sguardo con Wells.

— Lei mi conosce, Wells. Pensi al passato. Goldreich-Tremaine.

Wells se ne uscì in una risatina compiaciuta con un lato della bocca, e spremette il suo bulbo di tè facendosi schizzare un fiotto ambrato fra le labbra. I suoi denti erano forti e quadrati, e l’effetto fu violento in maniera allarmante. — Mi pareva che ci fosse qualcosa del plasmatore in lei. Se lei è un cataclista, non cerchi di fare niente di disperato sotto gli occhi del Capo della Polizia.