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— Allora ti trovi in permanenza in uno stato alfa?

— Naturalmente.

— Sogni mai?

— Abbiamo la nostra visione. Possiamo vedere le nuove tecnologie che sconvolgono la vita umana. Ci lanciamo in quelle correnti. Forse ciascuno di noi non è altro che una particella. Ma insieme noi formiamo un sedimento che rallenta il flusso. Molti innovatori sono profondamente infelici. Dopo Zen Serotonina perdono il loro stimolo a intromettersi.

Lindsay sorrise truce. — Non è una coincidenza che ti abbiano assegnato al mio caso.

— Tu sei un uomo profondamente infelice. Ti ho causato questo guaio. Il Nonmovimento ha una forte voce nell’Harem. Unisciti a noi. Possiamo salvarti.

— Io ho conosciuto la felicità una volta, Greta. Tu non la conoscerai mai.

— Le emozioni violente non sono il nostro forte, Bela. Noi stiamo cercando di salvare la razza umana.

— Buona fortuna — disse Lindsay. Avevano raggiunto la fine del percorso.

Il vecchio acromegalico fece un passo indietro per ammirare la propria opera. — La cinghia va bene, cane solare? Puoi respirare?

Lindsay annuì.

La morsa-assassina scavava dolorosamente nella base del suo cranio.

— Legge il retrocervello — spiegò il gigante. Gli ormoni della crescita avevano distorto la sua mascella. Aveva un volto da bulldog e la sua voce era impastata. — Ricordati di strisciare i piedi. Niente movimenti improvvisi. Non tentare di muoverti in fretta, e la tua testa rimarrà intera.

— Da quanto tempo fai questo lavoro? — gli chiese Lindsay.

— Quel che basta.

— Fai parte dell’Harem?

Il gigante lo fissò. — Sicuro. — La sua enorme mano avvolse in una stretta l’intero viso di Lindsay. — Hai mai visto uno dei tuoi bulbi oculari? Forse te ne tiro fuori uno. Il Capo potrà fartene innestare un altro.

Lindsay sussultò. Il gigante sogghignò, rivelando dei denti irregolarmente distanziati. — Ho visto altre volte il tuo tipo. Sei un antibiotico plasmatore. Una volta i tipi come te mi hanno imbrogliato. Forse pensi di poter imbrogliare la morsa? Forse pensi di poter uccidere il Capo senza muoverti? Tienti bene a mente che devi passare davanti a me prima di uscire. — Strinse la sommità della testa di Lindsay e lo sollevò staccandolo dal velcro. — O forse pensi che io sia stupido?

Lindsay rispose in giapponese commerciale: — Risparmialo per le puttane, yazuka. O forse a Sua Eccellenza piacerebbe togliermi questa morsa e venire con me mano nella mano.

Il gigante rise, sorpreso, e mise giù Lindsay con cautela. — Mi spiace, amico. Non sapevo che eri uno dei nostri.

Lindsay entrò nella camera di equilibrio. All’interno l’aria aveva il calore del sangue. Sapeva di sudore profumato e dell’odore delle violette. L’incostante gemere d’un sintetizzatore s’interruppe all’improvviso.

La stanza era piena di carne. Era fatta di carne, carne abbronzata e satinata, interrotta qua e là da tappeti di lucidi capelli neri e lampi malva di membrane delle mucose. Ogni cosa era involuta, curva: poltrone da soggiorno, una massa arrotondata simile a un letto di carne, costellata di fori color malva. Il sangue pulsava attraverso un’arteria grossa come un tubo, sotto i suoi piedi.

Un altro congegno incappucciato a forma di lampada si alzò ruotando su un cardine a gomito, dalla pelle liscia. Degli occhi scuri lo osservavano. Una bocca si aprì sulla groppa morbida di uno sgabello accanto a lui. — Togliti quegli stivali di velcro, tesoro: mi fanno il solletico.

Lindsay si sedette. — Sei tu, Kitsune?

— Lo sapevi, quando hai visto i miei occhi nell’ufficio di Wells. — La voce sinuosa usciva dalla parete.

— Non fino a quando non ho visto la tua guardia del corpo, a dire il vero. È passato molto tempo. Mi spiace per gli stivali. — Si sedette e se li tolse, facendo attenzione, nascondendo il suo brivido al sensuale calore della poltrona di carne. — Dove sei?

— Tutt’intorno a te. Ho occhi e orecchi dappertutto.

— Dov’è il tuo corpo?

— L’ho fatto eliminare.

Lindsay sudava. Dopo quattro settimane al freddo di Dembowska, quell’aria riscaldata era soffocante. — Sapevi che ero io?

— Sei il solo che mi abbia lasciato e che m’interessava tenere, tesoro. Era molto improbabile che me ne dimenticassi.

— Te la sei cavata bene, Kitsune — commentò Lindsay, nascondendo il suo terrore sotto un improvviso assalto di discipline semidimenticate. — Grazie per aver ucciso l’antibiotico.

— È stato facile — rispose. — Ho finto che fossi tu. — Esitò. — La Banca Geisha ha creduto al tuo inganno. Sei stato premuroso a portar via la testa della yarite.

— Volevo farti un regalo di commiato — replicò Lindsay, cauto. — Di un potere assoluto. — Fissò le lisce masse di carne. Non c’era un viso da nessuna parte. Dal pavimento e dalle pareti giungeva l’ovattato tambureggiare sincopato d’una mezza dozzina di cuori.

— Eri sconvolto perché volevo più potere di te.

La sua mente partì al galoppo. — Hai guadagnato in saggezza da quei tempi. Sì, lo ammetto. Sarebbe venuto il giorno in cui avresti scelto fra me e le mie ambizioni. E sapevo cosa avresti scelto. Ho sbagliato ad andarmene.

Vi fu silenzio per qualche istante. Poi parecchie delle bocche della stanza si misero a ridere. — Tu sapresti rendere plausibile qualunque cosa, tesoro. Quello era il tuo dono. No, ho avuto molti favoriti da allora. Tu sei stato una buona arma, ma ne ho avute altre. Ti perdono.

— Grazie, Kitsune.

— Puoi considerarti non più in stato di arresto.

— Sei molto generosa.

— Adesso, cos’è questa follia circa gli investitori? Non sai che il sistema adesso dipende da loro? Qualunque fazione che si opponga agli investitori non farebbe altro che tagliarsi la gola da sola.

— Io avevo in mente qualcosa di molto più subdolo. Ho pensato che potremmo convincerli a mettersi gli uni contro gli altri.

— Cosa vorrebbe dire?

— Ricatto.

Alcune delle bocche emisero risatine incerte. — In che forma, tesoro?

— Perversione sessuale.

Gli occhi rotearono sulla loro montatura organica. Lindsay colse l’ampiezza delle loro pupille, il primo indizio cinetico, e seppe di aver colpito nel segno. — Hai le prove?

— Te le consegnerei subito — disse Lindsay — ma questa morsa mi ostacola.

— Toglitela. L’ho neutralizzata.

Lindsay si sfibbiò la morsa-assassina, appoggiandola delicatamente sul bracciolo fremente della poltrona. Poi si diresse, camminando sui calzini, verso il letto. Tirò fuori il videomonocolo da dentro la camicia.

Occhi scuri si aprirono dentro la testiera del letto. Un paio di braccia lisce emersero attraverso morbide fessure pelose. Un braccio prese il monocolo e lo piazzò sopra un occhio. Lindsay disse: — L’ho regolato sull’inizio della sequenza.

— Ma non è l’inizio del nastro.

— La prima parte è…

— Sì — disse lei, glaciale. — Capisco. Tua moglie.

— Sì.

— Non importa. Se fosse venuta con te, le cose avrebbero potuto essere diverse. Ma adesso si è messa contro Constantine.

— Lo conosci?

— Certo. Ha affollato lo Zaibatsu con le vittime delle sue purghe. Nel Consiglio dell’Anello i Plasmatori sono orgogliosi. Non saranno mai disposti a credere che un non pianificato possa far loro fronte, congiura per congiura. Tua moglie è una donna morta.

— Potrebbe esserci…

— Dimenticatene. Hai avuto i tuoi anni di pace. I prossimi appartengono a lui. Ah. — Lei esitò. — Questo è stato girato a bordo di una nave spaziale degli investigatori. Quella che ti ha condotto qui?