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— La vita dev’essere stata difficile per lei, Madame. Buttata fuori, senza risorse, nella Matrice Disaggregata.

Lei ammiccò più volte, le palpebre bianche come porcellana le scesero sugli occhi come tapparelle di carta. — Le cose non sono poi andate tanto male da quando ho raggiunto i cartelli. Ma non posso fingere di aver conosciuto la felicità. Non ho dimenticato la mia casa, gli alberi, i giardini.

Lindsay intrecciò le dita ignorando la confusa sensazione di prurito che gli veniva dalla mano destra. — Non posso incoraggiare false speranze, Madame. La legge neotecnica è molto rigorosa. La Repubblica non ha nessun interesse in quelli della nostra età, quelli che in qualunque maniera si siano estraniati, allo stato brado, dall’umanità. È vero che ho trattato alcune faccende per il governo neotecnico. Queste riguardavano il reinsediamento di cittadini neotecnici che avevano raggiunto l’età di sessant’anni. “Morire dentro il mondo” lo chiamano loro. Il flusso dell’emigrazione è rigorosamente a senso unico, mi spiace molto.

Lei rimase silenziosa per un momento. — Conosce bene la Repubblica, Revisore? — Il tono con cui aveva parlato gli disse che aveva accettato la sconfitta. Adesso stava dando la caccia ai ricordi.

— Quel tanto per sapere che la moglie di Abelard Lindsay è stata diffamata. Là, il suo defunto marito è considerato un martire preservazionista. Lei invece viene descritta come una collaboratrice dei Mechanist, che ha spinto Lindsay all’esilio e alla morte.

— È terribile. — I suoi occhi si riempirono di lacrime. Si alzò in piedi tutta agitata. — Mi spiace moltissimo. Posso usare il suo biomonitor?

— Le lacrime non mi allarmano, Madame — le disse Lindsay, con voce gentile. — Io non sono uno Zen Serotonista.

— Mio marito… — lei proseguì. — Era un ragazzo così intelligente! Pensavamo di far bene, quando l’abbiamo mandato dai Plasmatori con una borsa di studio. Non ho mai capito quello che gli hanno fatto, ma è stato orribile. Ho cercato di fare in modo che il nostro matrimonio funzionasse. Ma lui era così abile, così conciliante e plausibile, da riuscire ad alterare qualunque cosa io dicessi o facessi, per usarla a qualche altro scopo. Terrorizzava gli altri. Loro giuravano che avrebbe lacerato il nostro mondo. Non avremmo mai dovuto mandarlo dai Plasmatori.

— Sono certo che a quell’epoca è parsa una decisione giusta — disse Lindsay. — La Repubblica era già nell’orbita dei Mechanist, e loro volevano ristabilire l’equilibrio.

— Allora non avrebbero dovuto farlo al figlio di mia cugina. C’era plebe in abbondanza da mandare, gente come Constantine. — Portò una nocca alle labbra. — Sono spiacente. È un pregiudizio aristocratico. Mi perdoni, Revisore, sono sconvolta.

— Capisco — replicò Lindsay. — Per quelli della nostra età, i vecchi ricordi possono arrivare con intensità insospettata. Sono molto spiacente, Madame. Lei è stata trattata ingiustamente.

— Grazie, signore. — Accettò un fazzoletto di carta dal servorobot. — La sua comprensione mi tocca profondamente. — Si asciugò gli occhi con movimenti precisi, simili a quelli d’un uccello. — Mi pare quasi di conoscerla.

— Uno scherzo della memoria — disse Lindsay. — Un tempo sono stato sposato a una donna molto simile a lei.

I loro sguardi s’intrecciarono lentamente. Molto venne detto al di sotto del livello delle parole. La verità emerse fugacemente, venne ammessa, e poi sparì sotto la necessità del sotterfugio.

— Questa moglie — lei disse, il volto arrossato. — Non l’ha accompagnato nel suo viaggio fin qui?

— Il matrimonio a Dembowska è una situazione diversa — rispose Lindsay.

— Io sono stata sposata qui. Un contratto matrimoniale di cinque anni. Poligamo. È scaduto lo scorso anno.

— Attualmente è disimpegnata?

Lei annuì. Lindsay indicò la stanza con un ronzio della mano destra. — Anch’io. Può vedere lo stato della mia vita domestica. La mia carriera ha reso la mia vita piuttosto arida.

Lei sorrise titubante.

— Sarebbe interessata alla direzione della mia casa? Un posto di assistente-revisore le renderebbe assai più della sua posizione attuale, credo.

— Sono sicura di sì.

— Diciamo sei mesi come periodo di prova per un contratto di cinque anni di direzione congiunta, termini standard, monogamo? Posso far stampare un contratto al mio ufficio entro domattina.

— Questo è piuttosto improvviso.

— Sciocchezze, Alexandrina. Alla nostra età, se rimandiamo le cose, non concluderemo mai niente. Cosa sono cinque anni per noi? Abbiamo raggiunto l’età della discrezione.

— Posso avere quel bicchierino? — lei chiese. — Non fa bene al mio programma di manutenzione, ma penso di averne bisogno. — Lo guardò nervosa, il fantasma d’una forzata intimità si stava svegliando dietro i suoi occhi.

Lindsay fissò la sua pelle, liscia come la carta, la friabile precisione della sua capigliatura. Si rese conto che il suo atto di espiazione avrebbe aggiunto un altro gesto meccanico alla sua vita, una nuova forma di routine. Trattenne un sospiro. — Lascio a te stabilire la nostra causa della sessualità.

Consiglio di Stato
della Skimmers Union
26-3-’83

Constantine guardò dentro il serbatoio. Dietro la finestra di vetro, sotto la superficie dell’acqua, c’era la testa impregnata di Paolo Mavrides. I capelli scuri e ricci, uno dei tratti maggiormente caratteristici della linea genetica dei Mavrides, gli galleggiavano inzuppati intorno alle spalle e al collo. Gli occhi erano aperti, verdastri e iniettati di sangue. Le iniezioni gli avevano paralizzato il nervo ottico. Una morsa spinale gli permetteva di percepire ma non di muoversi. Cieco e sordo, intorpidito dall’acqua riscaldata dal sangue, Paolo Mavrides si trovava in isolamento sensorio da due settimane.

Veniva alimentato a ossigeno grazie a un’inserzione tracheale. Delle flebo gli impedivano di morire di fame.

Constantine toccò un interruttore nero sul serbatoio saldato e gli improvvisati altoparlanti entrarono in funzione. Il giovane assassino stava parlando fra sé, una litania borbottata con voci diverse. Constantine parlò nel microfono: — Paolo.

— Ho da fare — disse Paolo. — Torno dopo.

Constantine ridacchiò. — Molto bene. — Batté sul microfono per riprodurre il rumore d’un interruttore che scattava.

— No, aspetta! — disse subito Paolo. Constantine sorrise a quella traccia di panico. — Non importa. La recita è comunque rovinata. Le Lune del Pastore di Vetterling.

— Sono anni che non c’è una recita — replicò Constantine. — Allora dovevi essere soltanto un bambino.

— L’ho memorizzata quando avevo nove anni.

— Sono molto impressionato dalle tue risorse. Comunque i cataclisti ci credono, no? Saggiare il mondo interiore della volontà… Sei là dentro da un bel po’. Da un bel po’.

Vi fu silenzio. Constantine aspettò.

— Da quanto tempo? — sbottò infine Mavrides.

— Quasi quarantott’ore.

Mavrides esplose in una breve risata.

Constantine si unì alla risata. — Naturalmente noi sappiamo che non è così. No, è passato quasi un anno. Ti sorprenderebbe vedere quanto sei magro.

— Dovresti provarci una volta o l’altra. Potrebbe aiutare i tuoi problemi di pelle.

— Quella è la minore delle mie difficoltà, giovanotto. Ho commesso un errore tattico quando ho scelto la miglior sicurezza possibile. Ha rappresentato una sfida per me. Ti sorprenderebbe sapere quanti sciocchi si sono trovati in questo serbatoio prima di te. Hai commesso uno sbaglio, giovane Paolo.