La regina non seppe mai cosa l’avesse tradita. L’approccio che Lindsay aveva adottato con lei era stato ancora più subdolo, impegnando al massimo le sue capacità. Un dono di gioielli, fatto al momento opportuno, aveva contribuito, distraendola da quella sopraffacente avidità che per gli investitori era l’alito stesso della vita. Gli affari erano stati scarsi sulla nave, con il suo equipaggio degradato, e il disgraziato guardiamarina eunuco.
Lindsay era arrivato armato di grafici fornitigli da Wells, statistiche relative alla ricchezza che si poteva strizzare ad una città-stato indipendente dalle fazioni. Le loro curve esponenziali arrivavano ad una quantità complessiva di ricchezze semplicemente mozzafiato. Lui le aveva detto di non saper niente della sua disgrazia; soltanto che la sua stessa specie era smaniosa di condannarla. Con un gruzzolo abbastanza sostanzioso, le aveva fatto capire, avrebbe potuto ritornare nelle loro buone grazie.
Con pazienza, con un linguaggio sciolto, l’aveva aiutata a capire che quella era la sua migliore possibilità. Cosa avrebbe potuto fare da sola, senza equipaggio, senza guardiamarina? Perché non accettare l’aiuto industrioso dei piccoli e cortesi stranieri? L’istinto sociale dei minuscoli mammiferi gregari li aveva spinti a considerarla la loro regina, in realtà, e loro stessi i suoi sudditi. Già un Comitato di Consiglieri, ognuno che riconosceva per suo padrone l’investitore, provvedeva a soddisfare i suoi capricci, pregandola di permetter loro di coprirla di ricchezze.
La cupidigia l’avrebbe spinta soltanto fino a un certo punto. Era stata la paura a farla cedere alla sua volontà: la paura del piccolo alieno dalla pelle morbida con la plastica scura sopra gli occhi polposi, e le risposte che aveva per ogni cosa. Quell’alieno pareva conoscere la sua gente meglio di quanto la conoscesse lei.
L’annuncio era giunto una settimana dopo, e con esso un’improvvisa emorragia di capitale verso il luogo dell’esilio sorto da zero. Avevano chiamato la regina “Czarina”, un soprannome datole da Ryumin. E la sua città era la Repubblica Popolare Corporativa di Czarina-Kluster: in quattro mesi era già diventata una città in rapida espansione, crescendo dal nulla sul bordo interno della Cintura. La Repubblica Popolare Corporativa di Czarina-Kluster era balzata a un’improvvisa esistenza concreta sorgendo da un potenziale grezzo, con quello che Wells definiva un “Balzo Prigoginico”, una “fusione a un superiore livello di complessità”. Adesso il Comitato dei Consiglieri era inondato dagli affari, le linee di comunicazione erano in frenetica attività a causa dei potenziali disertori che manovravano per assicurarsi un asilo sicuro e un nuovo inizio. La presenza di un investitore proiettava un’ombra enorme, una muraglia di prestigio che nessun mechanist o plasmatore osava sfidare.
Improvvisate abitazioni abusive affollavano il rozzo Palazzo della Regina: reti di robusti sobborghi a bolla dei Plasmatori, i “sobolli”; sudici vascelli pirata copulavano formando una sorta d’immensa corolla floreale, con gallerie a fisarmonica, ad aggancio automatico; masse di ferro-nichel soffiate e crivellate, rimorchiate ai loro posti in una sorta di immenso favo, i cui fori fungevano da abitazione; capanne prefabbricate che si avvinghiavano come l’edera alle travi scheletriche di un complesso urbano che aveva appena lasciato il tavolo dei progettisti. Quella città sarebbe stata una metropoli, un porto franco circumsolare, la suprema, ultima zona per i cani solari. Lui l’aveva creata. Ma non era per lui.
— Uno spettacolo da far bollire il sangue, amico. — Lindsay guardò alla sua destra: l’uomo un tempo chiamato Wells era arrivato nella bolla da osservazione. Durante le settimane dei preparativi, Wells era svanito in una falsa identità accuratamente preparata. Adesso era Wellspring, duecento anni di età, nato sulla Terra, un uomo misterioso, un manovratore per eccellenza, un visionario… addirittura un profeta. Niente di meno sarebbe andato bene. Un colpo di quelle dimensioni esigeva una leggenda. Esigeva una frode.
Lindsay annuì: — Le cose progrediscono.
— È qui che comincia il vero lavoro. Non sono troppo felice con quel Comitato di Consiglieri. Sembrano un po’ troppo rigidi, troppo mechanist. Alcuni di loro hanno ambizioni. Bisognerà sorvegliarli.
— Naturalmente.
— Non è che vorresti prendere in considerazione il lavoro? Il posto di coordinatore è aperto per te. Tu sei l’uomo adatto.
— Mi piacciono le ombre, Wellspring. Un ruolo della grandezza del tuo è troppo vicino alle luci della ribalta per me.
Wellspring esitò. — Ho già abbastanza problemi con la filosofia. Il mito potrebbe essere troppo per me. Ho bisogno di te e delle tue ombre.
Lindsay guardò altrove, osservando due robot costruttori che eseguivano una giuntura facendo incontrare in un bacio bianco-incandescente i rispettivi becchi saldatori, — Mia moglie è morta — disse.
— Alexandrina? Mi dispiace. È uno shock.
Lindsay ebbe un sussulto. — No — replicò. — Non lei. Nora. Nora Mavrides. Nora Everett.
— Ah — fu la replica di Wellspring. — Quand’è che hai ricevuto la notizia?
— Le avevo detto — proseguì Lindsay — che avevo un posto per noi. Ricordi che ti avevo accennato che poteva esserci la possibilità di una scissione del Consiglio dell’Anello?
— Sì.
— L’ho tenuto nascosto quanto più potevo, ma non abbastanza. In qualche modo Constantine l’ha saputo, e ha denunciato la scissione. Lei è stata accusata di tradimento. Il processo avrebbe coinvolto il resto del suo clan. Così, ha scelto il suicidio. È stata coraggiosa.
— Era la sola cosa da fare.
— Suppongo di sì.
— Nora mi amava, Wellspring. Mi avrebbe raggiunto quaggiù. Stava tentando di farlo quando lui l’ha uccisa.
— Capisco il tuo dolore — dichiarò Wellspring. — Ma la vita è lunga. Non devi lasciarti accecare, distogliere dai tuoi fini ultimi.
Lindsay replicò, torvo: — Sai che non seguo quella linea post-cataclistica.
— Postumanista — insisté Wellspring. — Sei dalla parte della vita oppure no? Se non lo sei, allora lascia che il dolore ti sottometta. Ti metterai contro Constantine e morirai come ha fatto Nora. Accetta la sua morte e rimani con noi. Il futuro appartiene al postumanismo, Lindsay. Non alle nazioni-stato, non alle fazioni. Appartiene alla vita, e la vita si muove in clade.
— Ho sentito altre volte la tua musica, Wellspring. Se abbracceremo la perdita della nostra umanità, allora significherà disaccordi peggiori, lotte peggiori, guerre peggiori.
— No, se i nuovi clade potranno raggiungere un accordo come sistemi cognitivi del quarto livello prigoginico di complessità.
Lindsay, disperato, restò in silenzio. Infine replicò: — Qui, ti auguro sinceramente la miglior fortuna possibile. Proteggi i danneggiati, se potrai farlo. Forse, quel tuo quarto livello potrà dare qualche risultato.
— C’è un universo di potenzialità, Lindsay. Pensaci. Nessuna regola, nessun limite.
— No, fintanto che lui è vivo. Scusami.
— Questo dovrai farlo da solo.
— Questo non è il tipo di transizione commerciale che preferiamo — dichiarò l’investitore.
— Ci siamo già incontrati altre volte, guardiamarina — disse Lindsay.
— No. Una volta ho conosciuto uno dei tuoi studenti, il capitano-dottore Simon Afriel. Un gentiluomo molto raffinato.
— Ricordo bene Simon.
— È morto mentre lavorava all’ambasciata. — L’investitore lo fissò, i suoi bulbi oculari scuri luccicavano di ostilità sopra gli orli bianchi delle sue membrane nittitanti. — Peccato. Mi era sempre piaciuto conversare con lui. Però aveva quell’impulso irrefrenabile a immischiarsi, a interferire. Voi lo chiamate curiosità. Uno stimolo a dar valore a dati inutili. Un essere con un tale handicap corre un gran numero di rischi non necessari.