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Un duello vero e proprio avrebbe dovuto garantire il trionfo del migliore. Ma si era argomentato che ciò avrebbe richiesto un test per valutare la prontezza, la volontà e la flessibilità mentale, qualità che si trovavano al centro della vita moderna. Dei test oggettivi erano, sì, possibili, ma era difficile assicurarsi che uno dei contendenti non si preparasse anzitempo o influenzasse i giudici. Esistevano diverse forme di lotta diretta, mente contro mente, nella comunità delle teste-di-cavo, ma queste molto spesso duravano decenni e richiedevano una radicale modifica delle facoltà mentali. Si era deciso perciò di consultare gli investitori.

Dapprima gli investitori avevano avuto difficoltà ad afferrare il concetto. Poi, cosa in loro caratteristica, avevano suggerito una guerra economica, dove a ciascun contendente sarebbe stata data una posta e offerta la possibilità di aumentarla. Dopo un periodo di tempo prestabilito, l’uomo più povero sarebbe stato giustiziato.

Ma questo non era soddisfacente. Un altro suggerimento degli investitori comportava tentativi da parte di entrambi i contendenti di leggere la “letteratura degli ‘intraducibili’ ”. Ma era stato anche detto che il sopravvissuto avrebbe potuto ripetere qualcosa di ciò che aveva letto e diventare un pericolo per il resto dell’umanità. A questo punto l’Arena era stata riscoperta in una delle stive stracolme di bottino d’un vascello degli investitori presente nello spazio circumsolare.

Un rapido esame aveva subito mostrato i vantaggi dell’Arena. Le forme di esperienza aliena rappresentavano una sfida perfino per i migliori membri della società: gli emissari inviati sui mondi alieni. L’indice delle perdite, estremamente elevato fra gli appartenenti a questo gruppo, dimostrava che l’Arena sarebbe stata un test già in sé. Entro l’ambiente simulato dell’Arena, i duellanti si sarebbero battuti dentro due corpi alieni dei quali era garantita l’assoluta parità, assicurando così che la vittoria sarebbe senz’altro andata allo stratega di livello superiore.

Constantine era in piedi sopra una delle torreggianti tavole, intento a sorseggiare un calice d’argento auto-raffreddantesi d’acqua distillata. Come i suoi pacchiani congenetici, indossava calzoni morbidi con piccoli risvolti di pizzo e una giacca con cordoncini dorati, il suo alto colletto era tappezzato delle insegne del suo rango. Gli occhi rotondi e delicati luccicavano scuri a causa delle morbide lenti antiabbaglianti. Il suo volto, come quello di Lindsay, era scavato da rughe là dove gli anni della sua abituale espressione avevano tracciato la propria strada dentro i muscoli.

Lindsay indossava una tuta grigiobruna senza contrassegni. Il suo volto era unto d’olio per proteggersi dal bagliore azzurrobianco, e portava schermi solari scuri.

Attraversò la stanza per raggiungere Constantine. Calò il silenzio, ma Constantine fece un gesto educato ed i suoi compagni genetici ripresero il filo della conversazione.

— Ciao, cugino — disse Constantine.

Lindsay annuì. — Un bel gruppo di congenetici, Philip. Mi congratulo per i tuoi germani.

— Un buon ceppo, sano — fu d’accordo Constantine. — Se la cavano bene con la gravità. — Guardò deliberatamente la moglie di Lindsay, la quale, dando prova di tatto, si era spostata verso un altro gruppo, visibilmente afflitta da un dolore ai ginocchi.

— Ho passato molto tempo a occuparmi di politica genetica — disse Lindsay. — In retrospettiva, mi sembra un feticcio dell’aristocrazia.

Le palpebre di Constantine si strinsero sopra le nere lenti a contatto. — Un po’ di lavoro in più alla linea di produzione dei Mavrides non avrebbe fatto male.

Lindsay fu colto da un impeto di gelido furore. — È stata la loro lealtà a tradirli.

Constantine sospirò. — L’ironia non mi è sfuggita, Abelard. Se soltanto tu avessi conservato la fede che avevi giurato a Vera Kelland molti anni fa, non ci sarebbe stata nessuna di queste aberrazioni.

— Aberrazioni? — Lindsay sorrise acido. — Decente da parte tua aver fatto le pulizie dopo di me, cugino. Aver sistemato le cose che avevo lasciato in sospeso.

— Nessuna meraviglia, visto che ne avevi lasciate tante di perniciose in giro. — Constantine sorseggiò la sua acqua. — La politica della pacificazione, per esempio. La distensione. È stato tipico da parte tua portare una popolazione al disastro per canesolararti quand e arrivato il punto critico.

Lindsay si mostrò interessato.

— È questa, dunque, la nuova linea del partito? Incolparmi della Pace degli Investitori? Davvero lusinghiero. Ma è saggio far riaffiorare il passato? Perché ricordar loro che hai perso la Repubblica?

Le nocche di Constantine si sbiancarono sul calice.

— Vedo che sei ancora un antiquario. Strano che tu debba aver abbracciato Wellspring e il suo quadro di anarchici.

Lindsay annuì. — So che attaccheresti Czarina-Kluster, se ne avessi la possibilità. La tua ipocrisia mi stupisce. Non sei un plasmatore. Non soltanto non sei programmato, ma il tuo uso delle tecniche mech è tristemente famoso. Tu sei la dimostrazione vivente del potere della distensione. Ti appropri del vantaggio dovunque lo trovi, ma lo neghi a chiunque altro.

Constantine sorrise. — Io non sono un plasmatore. Sono il loro guardiano. È stato il mio destino, e io l’ho accettato. Sono stato solo per tutta la mia vita, tranne per te e Vera. Allora eravamo sciocchi.

— Lo sciocco ero io — ribatté Lindsay. — Ho ucciso Vera per niente. Tu l’hai uccisa per dimostrare il tuo potere.

— Il prezzo è stato amaro, ma la prova ne valeva la pena. Da allora ho fatto ammenda. — Svuotò del tutto il bicchiere e tese il braccio.

Vera Kelland prese il calice. Portava intorno al collo il medaglione in filigrana d’oro che aveva su di sé quand’era precipitata, il medaglione che avrebbe dovuto garantirla dalla morte.

Lindsay rimase senza parole. Non aveva visto il volto della ragazza, che prima gli voltava la schiena.

Lei non lo guardò negli occhi.

Lindsay continuò a fissarla affascinato e raggelato. La somiglianza era forte, ma non perfetta. La ragazza si girò e si allontanò. Lindsay si costrinse a scandire le parole: — Non è un clone completo.

— Certo che no. Vera Kelland non era programmata.

— Hai usato i suoi genetici.

— Sento echeggiare l’invidia nelle tue parole, cugino. Sostieni forse che le cellule amavano te e non me? — Constantine scoppiò a ridere.

Lindsay staccò lo sguardo dalla ragazza. La sua grazia e la sua bellezza lo ferivano. Si sentiva sconvolto, in preda al panico.

— Cosa accadrà qui, quando morirai?

Constantine sorrise senza scomporsi: — Perché non rimuginarci sopra, mentre combattiamo?

— Prenderò un impegno con te — disse Lindsay. — Giuro che se vincerò, risparmierò i tuoi congenetici, negli anni futuri.

— Il mio popolo è fedele al Consiglio dell’Anello. La tua marmaglia di Czarina-Kluster sono i loro nemici. È inevitabile che entrino in conflitto.

— Sicuramente la cosa è già abbastanza cupa senza che contribuiamo anche noi.

— Sei ingenuo, Abelard. Czarina-Kluster deve cadere.

Lindsay guardò altrove, studiando il gruppo di Constantine. — Non sembrano stupidi, Philip. Mi chiedo se non gioirebbero alla tua morte. Potrebbero venir spazzati via durante i festeggiamenti generali.

— Le ipotesi oziose mi hanno sempre annoiato — dichiarò Constantine.

Lindsay lo fissò furente. — Allora è giunto il momento che mettiamo la questione alla prova.

Delle pesanti tende furono stese sopra uno dei giganteschi tavoli alieni, ricadendo fino al pavimento. Sotto la distesa riparata dal tavolo, la luce abbagliante era più fioca, e vennero portati un paio di letti ad acqua come supporto per combattere la forza di gravità degli investitori.