Lei gli sorrise, aprì l’astuccio di legno con un cigolio di antichi cardini. — Sì, Abelard — annuì. Gli rivolse un’occhiata.
— Margaret Juliano — disse Lindsay. Non era riuscito a interpretare l’occhiata, e quell’incapacità fece rinascere in lui, all’improvviso, un ricordo di energia e di paura. — I cataclisti, Margaret. Ti avevano messo sotto ghiaccio.
— Proprio così. — La donna infilò la mano dentro l’astuccio e tirò fuori un dolce bruno scuro in un piccolo involucro di carta pieghettata. — Vuoi un cioccolatino?
La bocca di Lindsay si riempì di saliva. — Per favore — lui disse di riflesso. Lei gli cacciò il dolcetto in bocca. Era di un dolce nauseante. Lo masticò con riluttanza.
— Andate via — ordinò Margaret, rivolta ai due tecnici. — Me ne occupo io. — I due superintelligenti se ne andarono sogghignando.
Lindsay inghiottì.
— Un altro? — lei gli chiese.
— Non ho mai avuto una gran passione per i dolciumi — rispose Lindsay.
— È un buon segno — annuì lei, chiudendo l’astuccio. Poi esaminò lo schermo dell’analizzatore e tirò fuori una penna-luce dal folto della sua bionda capigliatura, che le ricadeva sciolta sulle orecchie. — Questi cioccolatini sono stati al centro della tua vita per gli ultimi cinque anni.
Lo shock fu brutto, ma lui sapeva che sarebbe venuto. Si sentì la gola secca. — Cinque anni?
— Sei fortunato che te ne siano rimasti — proseguì Margaret. — È stata una lunga cura: restaurare un cervello alterato da dosi massicce di PDKL-95. Il tutto complicato da mutamenti nella tua percezione spaziale, causati dal manufatto Arena. È stata una vera sfida. E costosa, per giunta. — Studiò lo schermo mordicchiando l’estremità della sua penna-luce. — Ma non ci sono problemi per questo. Il tuo amico Wellspring ha pagato il conto.
Lei era talmente cambiata da fargli quasi provare una sensazione di vertigine. Era difficile riconciliare la disciplinata pacifista della Congrega di Mezzanotte, Margaret Juliano, di Goldreich-Tremaine, con questa donna calma, trasandata, con chiazze d’erba sulle ginocchia e i capelli lunghi e incolti.
— Non sforzarti di parlare troppo — gli disse. — Il tuo emisfero destro si sta occupando delle funzioni del linguaggio attraverso le associazioni successive. Possiamo aspettarci neologismi, idiotismi, povertà intrinseca del lessico… non allarmarti. — Cerchiò qualcosa sullo schermo con la penna-luce e premette un tasto di controllo: sezioni trasversali del suo cervello scivolarono sullo schermo nei toni falsi di un azzurro e un arancione molto vividi.
— Quanta gente c’è in questa stanza? — gli chiese.
— Tu ed io — rispose Lindsay.
— Nessuna sensazione di qualcuno dietro di te, sulla sinistra?
Lindsay si torse per guardare, raschiandosi dolorosamente la testa su una prominenza interna dell’apparecchiatura. — No.
— Bene, vuol dire che l’approccio dell’associazione era quello giusto. Talvolta nei casi di dicotomia del cervello ci ritroviamo con una frammentazione della coscienza, un’immagine fantasma che guarda dall’alto l’io percettivo. Fammi sapere se avverti qualcosa del genere.
— No. Ma all’esterno ho sentito… — Avrebbe voluto dirle dell’istante in cui il risveglio era arrivato improvviso, della sua lunga introspezione epifanica nell’io e nella vita. La visione avvampava ancora dentro di lui, ma il vocabolario per descriverla era completamente al di fuori delle sue possibilità. Seppe d’un tratto che non sarebbe mai stato capace di raccontare a nessuno tutta la verità. Era qualcosa che non avrebbe mai potuto essere racchiuso in parole.
— Non lottare — intervenne Margaret. — Lascia che venga da solo. C’è tempo in abbondanza.
— Il mio braccio — disse Lindsay, tutt’a un tratto. Si rese conto, in preda alla confusione, che il suo braccio destro, quello metallico, era diventato di carne. Sollevò quello sinistro. Era metallico. L’orrore ebbe il sopravvento su di lui. Si era rovesciato come un guanto!
— Attento — disse Margaret. — Potresti avere qualche problema con le percezioni spaziali, la sinistra e la destra. È un effetto della dominanza associativa. E hai avuto un ringiovanimento. Abbiamo fatto un sacco di lavoro su di te durante gli ultimi cinque anni. Giusto per segnare il passo.
La noncurante facilità con cui lo disse lasciò stupefatto Lindsay. — Sei Dio? — le chiese.
Margaret scrollò le spalle. — Ci sono stati dei successi, Abelard. Molte cose sono cambiate. Socialmente, politicamente, in campo medico… Oggi è tutta la stessa cosa, lo so, ma considerala come un’autorganizzazione spontanea, un balzo prigoginico verso un nuovo livello di complessità…
— Oh, no — disse Lindsay.
Lei batté la mano sull’analizzatore, e questo si sfilò dalla sua testa muovendosi verso l’alto, ronzando. Margaret prese posto davanti a lui su un’antica sedia da ufficio di legno, piegando una gamba sotto di sé. — Proprio sicuro di non volere un cioccolatino?
— No!
— Ne prendo uno io, allora. — Ne tirò fuori uno dall’astuccio e gli diede un morso, masticando poi felice. — Sono buoni. — Parlava senza affettazione, con la bocca piena. — Questo è uno dei buoni periodi, Abelard. È per questo che mi hanno scongelato, credo.
— Sei cambiata.
— L’assassinio del ghiaccio produce questo effetto. Avevano ragione i cataclisti, ragione a mettermi in conserva. Mi stavo calcificando. Un momento prima stavo fluttuando attraverso la sala della matematica a Kosmosity, con dei tabulati in mano, diretta verso il mio ufficio, la mente piena di tanti piccoli problemi, preoccupazioni, programmi… Per un attimo mi sono sentita stordita. Mi sono guardata intorno e ogni cosa non c’era più. Deserto. Devastazione. I tabulati si stavano sbriciolando fra le mie dita, i miei vestiti erano pieni di polvere. Goldreich-Tremaine in rovina, i computer inoperanti, le classi tutte scomparse… in un attimo il mondo aveva compiuto un salto di trent’anni: era il cataclisma totale. Per tre giorni ho dato la caccia alle notizie, cercando di trovare la nostra congrega, apprendendo che ormai facevo parte della storia, e poi mi ha travolto come un’onda. Mi ha sbigottito, sconvolto, Abelard. Ogni mio preconcetto è andato in frantumi, il mondo non aveva bisogno di me, ed ogni cosa che ritenevo importante non c’era più. La mia vita era totalmente futile. E totalmente libera.
— Libera. — Lindsay assaporò la parola. — E Constatine? — chiese a un tratto. — Il mio nemico?
— È morto, in un certo senso — disse Margaret Juliano — ma tutto sta a intendersi sulle definizioni. Ho ricevuto le analisi della sua condizione dai suoi congenetici. Il danno è molto grave. È precipitato in uno stato di fuga protratta e ha patito d’una consapevolezza accelerata che dev’essere durata per molti secoli soggettivi, e non ha potuto sostentarsi con i dati ricevuti dal congegno conosciuto come Arena. È durata così a lungo che la sua personalità è stata raschiata via. Parlando metaforicamente, si potrebbe dire che abbia dimenticato se stesso un pezzo dopo l’altro.
— Ti hanno detto questo, i suoi germani?
— I tempi sono cambiati, Abelard. È tornata la distensione. La linea genetica di Constantine è nei guai, e noi li abbiamo pagati bene per avere questa informazione. La Skimmers Union ha una posizione centrale, e Jastrow Station è la capitale, ed è piena di Zen Serotonisti. Loro odiano l’eccitazione.
La notizia fece provare un brivido di eccitazione a Lindsay.
— Cinque anni — disse. Si alzò, agitato. — Be’, cosa sono cinque anni per me? — Cercò di camminare su e giù per la stanza, pur barcollando, in preda alle vertigini. La confusione fra l’emisfero sinistro e il destro lo rendeva impacciato. Si raddrizzò e cercò di assumere il controllo dei propri muscoli. Non ci riuscì.