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Per un lungo istante Lindsay lottò con se stesso. Un doppio suicidio… le parole lo trafissero. Il volto di Vera gli aleggiò davanti agli occhi, aggravando la sua sensazione di nausea. Nell’esatto punto focale della memoria espansa. Si pizzicò il fianco, fu scosso da conati, e vomitò sul pavimento.

Le droghe lo sopraffecero. Non aveva più mangiato da quando aveva lasciato la Repubblica. L’acido gli raschiava la gola, d’un tratto si sentì soffocare e lottò per respirare.

Ryumin fu al suo fianco con un balzo. Calò con forza le rotule ossute tra le sue costole: l’aria esplose attraverso la trachea intasata di Lindsay come una raffica impetuosa. Lindsay rotolò sulla schiena. Inspirò convulsamente. Una formicolante sensazione di calore gli invase le mani e i piedi. Respirò di nuovo e perse conoscenza.

Ryumin prese il polso di Lindsay e rimase lì immobile per un attimo a contargli i battiti. Adesso che il giovane era crollato, una calma strana e sonnolenta calò sul vecchio mechanist. Si muoveva secondo i propri ritmi. Ryumin era molto vecchio da moltissimo tempo. La sensazione di esserlo cambiava le cose.

Le ossa di Ryumin erano fragili. Con cautela trascinò Lindsay sul tatami e lo coprì con una coperta. Poi si avvicinò lentamente a una cisterna di ceramica piena d’acqua, grande quanto una botte, raccolse un tampone di carta ruvida per filtri e ripulì il pavimento dal vomito di Lindsay. I suoi movimenti decisi nascondevano il fatto che, senza input video, era quasi cieco.

Ryumin s’infilò gli oculari. Meditò sul nastro che aveva fatto su Lindsay.

Le idee e le immagini gli ritornavano più facilmente alla memoria attraverso i cavi.

Analizzò i movimenti del giovane cane solare fotogramma per fotogramma. L’uomo aveva lunghe braccia e stinchi ossuti, mani e piedi grandi, ma gli mancava qualunque movimento impacciato. Studiati da vicino, i suoi movimenti mostravano una sinistra fluidità, il segno sicuro di un sistema nervoso soggetto ad una sottile e prolungata alterazione. Qualcuno aveva dedicato grandi cure e grandi spese per quella contraffazione di scioltezza e di grazia.

Ryumin trattò il nastro con la facilità automatica di un secolo di pratica. Il Sistema era ampio, pensò Ryumin. In esso c’era lo spazio per mille modi diversi di vita, mille mostri speranzosi. Provava tristezza per ciò che era stato fatto all’uomo, ma nessun allarme o paura. Soltanto il tempo avrebbe potuto dire la differenza fra l’aberrazione e il progresso.

Ryumin non esprimeva più giudizi. Quando poteva, porgeva la mano.

I gesti amichevoli erano pericolosi, naturalmente, ma Ryumin non riusciva mai a resistere all’impulso di farli, osservandone poi i risultati. La curiosità aveva fatto di lui un cane solare. Era intelligente; c’era stato un posto per lui nel soviet della sua colonia. Ma si era sentito stimolato a fare domande scomode, a pensare pensieri scomodi.

Un tempo un senso di correttezza morale gli aveva dato la forza. Ma adesso quella giovanile compiacenza era da tempo scomparsa; sapeva però ancora provare pietà ed era disponibile ad aiutare il prossimo. Per Ryumin, da vecchio, la decenza morale era diventata un’abitudine.

Il giovane cane solare si agitò nel sonno. Il suo volto parve incresparsi, torcersi in maniera bizzarra. Ryumin strizzò gli occhi per la sorpresa. Quell’uomo era strano. In questo non c’era niente di straordinario; il Sistema era pieno di stranezze. Era quando sfuggivano al controllo che le cose diventavano interessanti.

Lindsay si svegliò gemendo. — Per quanto tempo sono rimasto privo di sensi? — chiese.

— Tre ore, dodici minuti — l’informò Ryumin. — Ma qui non c’è né giorno né notte, signor Dze. Il tempo non ha importanza.

Lindsay si sollevò su un gomito.

— Affamato? — Ryumin passò a Lindsay una scodella di minestra.

Lindsay fissò con inquietudine quella calda brodaglia. Cerchi d’olio punteggiavano la sua superficie e bianchi grumi galleggiavano dentro di essa. Ne provò un cucchiaio. Era migliore di quanto sembrasse a vederla.

— Grazie — disse. Mangiò in fretta. — Mi spiace darti dei fastidi.

— Non importa — replicò Ryumin. — La nausea è comune, quando i microbi dello Zaibatsu aggrediscono lo stomaco di un nuovo venuto.

— Perché mi hai seguito con quella telecamera? — chiese Lindsay.

Ryumin si versò una scodella di minestra. — Curiosità — spiegò. — Controllo con il radar l’ingresso dello Zaibatsu. La maggior parte dei cani solari viaggiano a gruppi. I passeggeri singoli sono rari. Volevo conoscere la tua storia. Dopotutto, è così che mi guadagno da vivere. — Trangugiò la sua minestra. — Parlami del tuo futuro, signor Dze. Quali sono i tuoi progetti?

— Se te li dirò, mi aiuterai?

— Potrei farlo. Di recente qui le cose sono state piuttosto noiose.

— Ci sono soldi in gioco.

— Di bene in meglio — commentò Ryumin. — Potresti essere più specifico?

Lindsay si alzò in piedi. — Reciteremo un po’ — disse, lisciandosi i polsini. — Prendere gli uccelli con lo specchietto è la trappola ideale… come avevano l’abitudine di dire i miei insegnanti plasmici. Sapevo dei Medici Neri da quand’ero nel Consiglio dell’Anello. Non sono geneticamente alterati. I Plasmatori li disprezzavano, così si sono isolati. È la loro abitudine, perfino qui. Ma smaniano di essere ammirati, così mi sono trasformato in uno specchietto e gli ho esibito davanti al naso i loro stessi desideri. Gli ho promesso prestigio e influenza, come patroni del teatro. — Infilò la mano dentro la giacca. — Ma cosa vuole la Banca Geisha?

— Denaro… potere — rispose Ryumin. — E la rovina dei suoi rivali che, guarda caso, sono per l’appunto i Medici Neri.

— Tre linee di attacco — sorrise Lindsay. — È a questo, appunto, che mi hanno addestrato. — Il suo sorriso esitò, sbiadì un poco, ed egli si portò la mano al ventre. — Quella minestra — fece. — Proteine sintetiche, non è vero? Non credo che andranno d’accordo con me.

Ryumin lo fissò e annuì, rassegnato. — Sono i tuoi nuovi microbi, come ho detto. Farai meglio a cancellare tutto dalla tua agenda degli appuntamenti, per qualche giorno, signor Dze. Hai la dissenteria.

2

Zaibatsu Circumlunare
del Popolo del Mare della Tranquillità
28-12-’15

La notte non scende mai nello Zaibatsu. La cosa diede alle sofferenze di Lindsay un’atmosfera senza tempo: un febbricitante idillio con la nausea.

Gli antibiotici l’avrebbero guarito, ma presto o tardi il suo corpo avrebbe dovuto venire a patti con la nuova flora intestinale. Per fargli passare il tempo fra uno spasimo e l’altro, Ryumin l’intrattenne con aneddoti e pettegolezzi locali. La sua era una storia complessa e deprimente, cosparsa di tradimenti e di inutili giochi di potere.

I coltivatori di alghe erano la fazione più numerosa, cupi fanatici, affetti dallo spirito di clan e ignoranti, i quali, stando alle voci, praticavano il cannibalismo. Poi venivano i matematici, un gruppo di dissidenti protoplasmatori, i quali passavano la maggior parte del loro tempo immersi nelle più astruse congetture sugli insiemi infiniti. Le cupole più piccole dello Zaibatsu erano occupate da una profusione di pirati e corsari: i Dissidenti di Hermes, i Radicali del Torus Grigio, i Grandi Megalici, gli Eclettici della Soyuz, e molti altri ancora, che cambiavano nome e affiliati con la stessa facilità con cui tagliavano la gola alla gente. Le faide tra loro erano una costante, ma nessuno osava sfidare i Medici Neri Nefrini o la Banca Geisha. Tentativi erano stati fatti in passato. In proposito si raccontavano storie orripilanti.