— Michael sta bene. Ad ogni ringiovanimento, ripariamo un po’ più dei danni causati dalla frammentazione. Lascia il suo extraterrario per periodi di tempo sempre più lunghi, oggi. Si sente al sicuro nei miei corridoi. Adesso può parlare.
— Ne sono lieto.
— Mi ama, credo.
— Be’, il fatto non va disprezzato.
— Talvolta, quando penso a tutti i guadagni che ho realizzato grazie a lui, provo una curiosa sensazione di calore. Non ho mai fatto un affare migliore. Lui era così meravigliosamente malleabile… Anche se adesso è inutile, provo ancora un’autentica soddisfazione quando lo guardo. Ho deciso che non lo butterò mai via.
— Molto bene.
— Per essere un mechanist, era molto brillante, ai suoi tempi. Come ambasciatore presso gli alieni, doveva essere uno dei migliori. Ha molti figli qui da noi, congenetici, e sono tutti molto soddisfacenti.
— L’ho notato quando ho incontrato il colonnello Martin Dembowska. Un ufficiale molto capace.
— Lo pensi davvero?
Lindsay si mostrò giudizioso. — Be’, è giovane, naturalmente. Ma non possiamo farci niente.
— No. E questa… questa scatola parlante è ancora più giovane. Ha soltanto diciannove anni. Ma i miei murofigli devono crescere in fretta. Intendo fare di Dembowska il mio nido genetico. Tutti gli altri dovranno andarsene. E questo comprende la tua amica plasmatrice arrivata dalla Skimmers Union.
— Te la toglierò dai piedi quando ti farà comodo.
— È una trappola, Abelard. I figli di Constantine non hanno nessuna ragione per amarti. Non fidarti di lei. Come Carnassus, è stata con gli alieni. Hanno lasciato il loro marchio su di lei.
— Devo confessare che sono curioso. — Sorrise. — Suppongo sia dovuto alle droghe.
— Droghe? Non può essere la vasopressina, la tua vecchia preferita. Altrimenti avresti una miglior memoria.
— Delirio Verde, Kitsune. Ho certi progetti a lunga scadenza… Delirio Verde tiene desto il mio interesse.
— La tua terraformazione.
— È un problema di tempo, capisci? Il fanatismo a lungo termine è un duro lavoro. Senza Delirio Verde la mente erode il fantastico fino a ridurlo a un luogo comune.
— Capisco — replicò Kitsune. — Il tuo fantastico e il mio estatico… Il parto è una cosa meravigliosa.
— Mettere una nuova vita al mondo… è il mistero. Davvero un evento prigoginico.
— Devi essere stanco, tesoro. Ti ho ridotto a parlare di banalità cicadiane.
— Mi spiace. — Sorrise. — È in perfetta armonia con lo sfondo.
— Tu e Wellspring avete un’immagine molto abile ed efficace. Siete entrambi grandi oratori. Sono sicura che saresti perfettamente in grado di tener lezione per ore. O per giorni. Ma… secoli?
Lindsay scoppiò a ridere. — Talvolta sembra uno scherzo, vero? Due cani solari che abbracciano il non plus ultra. Wellspring ne è proprio convinto, credo. E in quanto a me, faccio del mio meglio.
— Forse lui pensa che tu ci credi.
— Forse sì. Forse anch’io ci credo. — Lindsay tirò una lunga ciocca di capelli con le dita di ferro. — Come tutti i sogni, il postumanismo ha i suoi meriti. L’esistenza dei quattro livelli di complessità è stata dimostrata matematicamente. Ho visto le equazioni.
— Risparmiami, tesoro. Certamente, noi non siamo vecchi al punto da doverci mettere a discutere equazioni.
Le parole lo attraversarono senza che lui le udisse. Sotto l’influenza del Delirio Verde, il suo cervello soccombette temporaneamente all’attrazione della matematica, il più puro fra i piaceri intellettuali. Nel suo normale stato mentale, malgrado gli anni di studio, trovava fonte di sofferenza le formule, una massa di simboli che gl’intorpidiva il cervello. Sotto l’effetto del Delirio Verde, riusciva a comprenderle, anche se dopo ricordava soltanto la pura gioia della comprensione. La sensazione era qualcosa di prossimo alla fede. Alcuni istanti passarono. Ne uscì fuori di colpo. — Scusa, Kitsune… stavi dicendo?
— Non ti ricordi, Abelard… Una volta ti ho detto che l’estasi era meglio che essere Dio.
— Me ne ricordo.
— Mi sbagliavo, tesoro. Essere Dio è meglio.
L’alloggio di Vera Constantine era una misura della diffidenza di Kitsune. La giovane donna del clan dei Plasmatori era da settimane agli arresti domiciliari. La sua abitazione consisteva in celle di pietra e di ferro, tre locali in tutto, fuori dall’abbraccio di Kitsune che consumava il mondo.
Sedeva davanti a un monitor incassato nella parete, intenta a studiare il flusso delle transazioni su un grafico tridimensionale. Non aveva mai avuto a che fare con il mercato prima di allora, ma Abelard Gomez, un giovane e cortese cicada, le aveva dato una quota finanziaria, così da permetterle di passare in qualche modo il tempo. Non sapendone di più, stava applicando allo scorrere del mercato i princìpi della dinamica atmosferica che aveva imparato su Fomalhaut IV. Stranamente, questi parevano funzionare. Era chiaro che stava realizzando dei guadagni.
La porta si dissigillò, spalancandosi. Un vecchio entrò nella stanza, alto, magro, con addosso un abito cicada poco appariscente: una lunga giacca, calzoni scuri con spacchetto alla caviglia, anelli da portare sopra i guanti bianchi. Il suo volto rugoso era barbuto, e una coroncina argentata adorna di foglie dava rilievo ai capelli striati di bianco che gli arrivavano fino alle spalle. Vera si alzò dalla sedia a staffe e s’inchinò, imitando la riverenza cicada. — Benvenuto, Cancelliere.
Lindsay esplorò a fondo la cella con lo sguardo, le sue sopracciglia irsute si sollevarono per la perplessità. Pareva guardingo, non nei confronti della giovane donna, ma di qualcosa nella stanza. Poi lo sentì anche lei, e seppe che la Presenza era tornata. Suo malgrado, pur sapendo che era inutile, la cercò rapidamente intorno a sé. Qualcosa guizzò all’angolo dei suoi occhi, sfuggendo alla sua vista.
Lindsay le sorrise. Poi continuò a ispezionare la stanza. Lei non voleva dirgli della Presenza. Dopo un po’, lui avrebbe rinunciato a cercarla, proprio come avevano fatto tutti gli altri. — Grazie — disse in ritardo. — Confido che lei stia bene, Capitano-Dottore.
— I suoi amici, il dottor Gomez e il sottosegretario Nakamura, sono stati molto premurosi. Grazie per i nastri e gli altri doni.
— Non erano niente — si schermì Lindsay.
D’un tratto, lei provò il vivo timore di deluderlo. Erano quindici anni, dal giorno del duello, che lei non lo vedeva. Allora, lei era molto giovane, solo vent’anni. Aveva ancora gli zigomi e il mento appuntito dei Kelland, ma il tempo l’aveva cambiata, e il suo genotipo non era puro. Lei non era il clone di Vera Kelland.
Il suo kimono senza maniche mostrava spietatamente i cambiamenti apportati in lei dagli anni trascorsi come emissario presso gli alieni. Due dotti circolatori incavavano la carne del suo collo, e la sua pelle aveva ancora un peculiare colorito cereo. All’interno dell’ambasciata di Fomalhaut, era vissuta nell’acqua per anni.
Gli occhi grigi di Lindsay non avevano smesso di scrutare intorno. Era convinta che lui fosse in grado di sentire la Presenza, di avvertirne l’esistenza che tutto impregnava, arcana e inquietante. Presto o tardi avrebbe attribuito a lei l’origine di quella sensazione, e allora le sue possibilità di conquistare il suo favore sarebbero andate in fumo. Parlò in maniera astratta. — Mi spiace che le faccende non possano venir risolte in fretta… Nel campo delle defezioni è meglio non essere affrettati.
Le parve di aver sentito un velato riferimento al destino di Nora Mavrides. Questo la raggelò. — Capisco il suo punto di vista, Cancelliere. — Vera non aveva nessun appoggio ufficiale da parte del clan di Constantine, poiché non potevano rischiare nessuna denuncia nell’ambito del Consiglio dell’Anello. A quei tempi la vita era dura nella Skimmers Union, alla perdita del ruolo di città capitale si era accompagnata una lotta sorda e rabbiosa per il controllo degli scampoli di potere rimasti e la caccia ai capri espiatori. I membri del clan di Constantine ne erano stati le maggiori vittime.