Il traffico era tutto verso l’esterno. Gigantesche navi di ghiaccio, racchiuse in scafi di cristallo, scendevano verso la superficie del pianeta in ampi archi, per sprofondare lentamente attraverso nuovi crepacci. Vera, sua figlia, era a bordo di una di esse. Se n’era già andata.
La popolazione si era ridotta a una sparuta manciata, l’ultima per la trasformazione. Circumeuropa era ridotta a una serie di laboratori, dove gli ultimi trasformati galleggiavano nella fumosa acqua marina di Europa.
Lindsay si soffermò fuori da una camera di equilibrio, osservando l’attività all’interno, attraverso uno schermo montato nel corridoio. Chirurghi trasformati assistevano alla nascita degli Angeli, seguendo la crescita dei nuovi nervi attraverso la carne alterata. Le loro braccia ardenti erano agitate da un rapido tremolio, il loro modo di conversare.
Lui doveva indossare soltanto un’acqualungo, varcare quella camera di equilibrio e accedere all’acqua calda come il sangue, e raggiungere gli altri. L’aveva fatto Vera. E così Gomez e gli altri. Lo avrebbero accolto con gioia. Non ci sarebbe stato nessun dolore. Sarebbe stato utile.
Il passato rimase sospeso in bilico in quel momento.
Non poteva farlo.
Si voltò.
Poi la sentì. — Sei qui — disse. — Mostrati.
La Presenza fluì giù dalla membrana della parete color verde-mare. Una pozza lucida come uno specchio sgocciolò attraverso il pavimento, filtrando giù a poco a poco e assumendo una forma.
Lindsay l’osservò meravigliato. La Presenza aveva una propria gravità; aderiva al pavimento come se vi fosse attirata. Si contorceva e s’increspava, prendeva forma per fargli piacere. Divenne una creatura piccola e furtiva, sospesa su quattro gambe, rannicchiata come un animale. Come una donnola, pensò Lindsay. Come una volpe.
— Se n’è andata — le disse Lindsay. — E tu l’hai lasciata andare.
— Rilassati, cittadino — gli disse la volpe. La sua voce non creava nessuna eco, poiché non produceva nessun suono. — Non è il mio lavoro quello di tenermi aggrappata alle cose.
— Europa non è di tuo gusto?
— Ah, diavolo — replicò la Presenza. — Sono sicura che è favoloso, laggiù, ma io ho visto la cosa vera, ricordi? Sulla Terra. E tu, cane solare? Non mi pare che ci sia molto entusiasmo neppure da parte tua.
— Sono vecchio — disse Lindsay. — Loro sono giovani. Dovrebbe essere il loro mondo. Non hanno bisogno di me.
La creatura si stiracchiò, increspandosi. — Pensavo che tu avresti detto proprio questo. Cosa ne dici, allora? Adesso che hai la possibilità di riflettere.
Lindsay sorrise, vedendo il proprio volto distorto riflesso dalla lucida superficie della Presenza. — Non ho niente da fare.
— Oh, molto bene. — C’era una risata in quella voce inaudibile. — Suppongo che adesso morirai.
— Pensi che dovrei farlo? — Esitò. — Potrebbe essere prematuro.
— Potrebbe — fu d’accordo la Presenza. — Allora rimarrai qui qualche altro secolo. E aspetterai la trascendenza finale.
— Il Quinto Livello Prigoginico di Complessità.
— Se vuoi chiamarlo così. Le parole non hanno importanza. È tanto al di là della vita almeno quanto la vita lo è dalla materia inerte. L’ho visto accadere molte altre volte. Posso sentire il suo movimento anche qui, lo posso annusare nell’aria. La gente… le creature… gli esseri, per me sono tutta gente… Loro fanno le Domande Finali. E ottengono le risposte finali, e poi è l’addio. È la Divinità, o talmente vicino ad essa che non fa nessuna differenza per quelli come te e me. Forse è quello che vuoi, cane solare? L’Assoluto?
— L’Assoluto — rifletté Lindsay. — Le Risposte Finali… Quali sono le tue risposte, allora, amica?
— Le mie risposte? Non ne ho. Non m’importa di ciò che accade sotto questa pelle, voglio soltanto vedere, percepire. Le origini e i destini, le predizioni e i ricordi, le vite e le morti, io li schivo. Sono troppo liscia perché il tempo riesca ad afferrarmi, mi capisci, cane solare?
— Cos’è che vuoi allora, Presenza?
— Voglio ciò che già possiedo! L’eterna meraviglia, eternamente soddisfatta… Neppure l’Eterno, in effetti, soltanto l’Indefinito, è là che sta tutta la bellezza… Aspetterò la morte termica dell’universo per vedere ciò che accadrà poi! E nel frattempo, non è forse qualcosa, il tutto?
— Sì — fu d’accordo Lindsay. Il cuore gli martellava nel petto. Il suo robot-infermiere si protese verso di lui con un ago pieno di sostanze chimiche calmanti; ma Lindsay spense il robot, si stiracchiò e rise. — È tantissimo, il tutto di qualcosa.
— Me la sono passata benissimo, qui — dichiarò la Presenza. — È un posto notevole, quello che avete qui intorno a questo piccolo sole.
— Grazie.
— Ehi, i ringraziamenti vanno tutti a te, cittadino. Ma ci sono altri posti che aspettano. — La Presenza esitò. — Vuoi venire anche tu?
— Sì.
— Allora aggrappati a me.
Lindsay tese le braccia verso di essa, che lo avvolse come un’onda argentea. Un gelo stellare, uno sciogliersi, una liberazione.
E ogni cosa divenne fresca e nuova.
Vide i suoi indumenti galleggiare dentro il corridoio. Le sue braccia metalliche uscirono dalle maniche, dalle protesi penzolavano fili di costosi circuiti. In cima alla scala bianca e pulita delle sue vertebre, il suo cranio vuoto affondò sogghignante dentro il colletto della sua giubba.
Un investitore comparve in fondo al corridoio. Avanzava a saltelli in caduta libera. Di riflesso Lindsay si schiacciò contro la parete, assottigliandosi a poco più d’una macchia, per sfuggire alla sua vista. L’investitore sollevò la frangia: rovistò, affascinato come una gazza, nel groviglio d’ossa, ficcando tutti gli oggetti che l’interessavano nella borsa rigonfia.
— Sono sempre qui intorno a raccogliere i pezzi — commentò la Presenza. — Ci sono utili, vedrai.
Lindsay percepì il suo nuovo se stesso.
— Non ho mani — disse.
— Non ne avrai bisogno — rise la Presenza. — Su, vieni, lo seguiremo. Tra breve andranno da qualche altra parte.
Pedinarono l’investitore lungo il corridoio.
— Dove? — chiese Lindsay.
— Non ha importanza. In qualche posto meraviglioso.