Sennar riuscì ad aggrapparsi al parapetto, nonostante le folate che gli frustavano il viso. Alzò gli occhi. Ammutolì.
Un’enorme nube nera avanzava minacciosa dall’orizzonte. Non se ne vedeva la fine, correva verso la nave e cambiava continuamente forma. Sennar cadde al suolo senza fiato. Due mani lo afferrarono per la tunica.
«Che cos’è?» chiese Rool. Gli puntò addosso due occhi di fuoco.
«Non lo so.»
«È magia? Rispondi!»
«È... è probabile» balbettò Sennar.
Rool lasciò la presa e iniziò a impartire ordini, ma l’equipaggio era ancora impietrito per lo spavento.
«È rimasto qualche uomo a bordo o siete tutte femminucce?» ruggì il capitano. «Che ognuno vada subito al proprio posto o lo butto a mare all’istante!»
Nessuno aveva mai visto niente del genere. Sennar si sporse di nuovo ed ebbe solo il tempo di scorgere la nube che avanzava a una velocità spaventosa. Il vento gli mozzò il respiro. Chiuse gli occhi. Quando li riaprì, era calata la notte.
Su un cielo nero come una lastra d’ardesia si disegnavano lampi immensi. Una pioggia scrosciante iniziò a tempestare il ponte. Poi fu l’apocalisse.
Onde gigantesche si abbatterono sulla nave e la fecero inclinare ora su un lato ora sull’altro; ogni volta sembrava che fosse sul punto di sparire tra i flutti. Sennar fu scaraventato attraverso il ponte, finché la mano di Benares non lo agguantò per la collottola.
«Qui sei solo d’impiccio, ragazzino. Vattene nella stiva.»
Sennar non se lo fece ripetere due volte.
Più che andare nella stiva, ci cadde rovinosamente dentro, per poi correre a rannicchiarsi in un angolo. Il legno intorno a lui cigolava paurosamente e il rollio era violentissimo. La nave era in balia di venti che cambiavano di continuo direzione e di onde alte come mura.
Per un po’ Sennar se ne stette immobile, paralizzato dalla paura, ad ascoltare i passi concitati sul ponte, i tonfi dei corpi sbattuti a terra dalla tempesta e lo squittio dei topi, rintanati chissà dove. Poi iniziò a sentirsi un codardo. Non posso restare qui, devo andare a dare una mano. Le sue gambe però si rifiutavano di obbedire. Si costrinse a ragionare. In fin dei conti era un consigliere, negli ultimi tempi si era trovato in parecchie situazioni disperate e ne era uscito solo grazie alla sua lucidità. Provò a ripassare le magie che conosceva, ma nessuna corrispondeva all’apocalisse che si stava scatenando lì fuori. Era opera di un mago, nessun dubbio. Forse una formula creata ex novo, più probabilmente un sigillo. Perfetto. Se è una magia non c’è che da cercare di contrastarla , si disse con decisione.
Aggrappato alle assi della stiva, mentre la barca ondeggiava senza tregua, Sennar si sforzò di pensare. Fu il movimento della nave a dargli l’idea. Era un’impresa piuttosto complessa, ma era l’unica, nella situazione in cui si trovavano. Del resto lì avevano decisamente a che fare con una magia assai simile a quelle proibite. Si trattava dunque di riportare la natura nei suoi binari. Sennar pianificò con esattezza ciò che avrebbe fatto una volta fuori e si decise a uscire.
Le vele sembravano impazzite e Sennar si unì a un gruppo di pirati che cercava di domarle. Intravide tra gli scrosci la figura di Aires, dritta al timone, che si sforzava di mantenere la rotta. Ma non c’era più alcuna rotta da seguire. Il cielo e il mare si mescolavano, indistinguibili nelle tenebre che avvolgevano la nave. Nonostante l’aiuto di Rool, il timone le sfuggì di mano e prese a ruotare come una trottola.
Quando la vela maestra si squarciò, Sennar si attaccò alla murata e iniziò ad attraversare il ponte, mentre l’acqua lo inzuppava da capo a piedi. Dopo molti sforzi riuscì a raggiungere Aires, aggrappata al timone.
«Una corda» urlò Sennar, ma le sue parole furono risucchiate dall’ululato del mare.
«Cosa?» rispose Aires.
«Ho bisogno di una corda.»
Aires gli passò una cima e Sennar se la legò alla vita, quindi si avviò verso l’albero maestro. Alzò gli occhi e lo vide ondeggiare paurosamente. Ce la posso fare. Ce la devo fare.
Provò ad arrampicarsi, ma le mani scivolavano sul legno fradicio. Allora tirò fuori il pugnale di Nihal, quello che le aveva vinto in duello il giorno in cui si erano conosciuti. Lo conficcò in profondità nel palo, si strinse all’albero con la mano libera e iniziò a salire.
Gli sembrava di essere sempre sul punto di cadere e si aggrappava con più forza al legno. Le mani presero a sanguinargli.
Si ricordò che da piccolo i suoi amici si divertivano a salire sugli alberi. A lui non era mai piaciuto, era sempre stato un buono a nulla nei giochi che richiedevano agilità. E ora eccomi qui, appeso come un acrobata all’albero di una nave, nel bel mezzo della peggior tempesta che si sia mai vista. Gli venne quasi da ridere.
Si sforzò di non guardare in basso. Ci sono quasi, manca poco , si ripeteva per farsi coraggio, ma la coffa sembrava irraggiungibile. Quando infine vi si gettò, dalla gola gli uscì un grido di gioia. Era incredibile, ma ce l’aveva fatta.
Si legò all’albero e si alzò in piedi. Lassù il movimento ondulatorio era insopportabile. Sentì lo stomaco rivoltarsi ed ebbe un conato. Non adesso! Chiuse gli occhi e fece il possibile per concentrarsi, quindi alzò le mani sanguinanti al cielo e urlò una formula.
Dalle sue dita partirono dieci raggi d’argento, che fendettero le nubi e si aprirono a cupola, per poi avvolgere la nave in una sfera argentata. Era una formula difensiva piuttosto banale, un semplicissimo scudo. Però era grande come una nave intera ed erano proprio le dimensioni a rendere quell’incantesimo sovrumano.
Sul ponte all’improvviso scese la calma. Gli uomini si alzarono increduli e a uno a uno volsero gli occhi prima alla barriera, poi alla coffa.
Partì una salva di urla entusiaste.
«Sei straordinario, mago!» esclamò Aires.
Incitati da Rool, tutti ripresero i propri posti. Aires si rimise al timone e Dodi, aiutato da altri pirati, ammainò la vela maestra, ormai inservibile. Il resto dell’equipaggio estrasse dai fianchi della nave lunghi remi d’emergenza e prese ad azionarli con foga.
La nave si mosse lenta, come una bestia che si svegli dal letargo.
Al di fuori della barriera, i fulmini solcavano ancora il cielo e illuminavano un mare livido e sciabordante di schiuma grigia. I cavalloni si infrangevano con violenza sulla protezione argentata.
Sennar percepì la potenza dell’oceano che tentava di penetrare le sue difese. Svuotò la mente da tutto ciò che non era l’incantesimo che stava recitando. Non ci volle molto perché le braccia si indolenzissero e le mani iniziassero a formicolare. Presto non le sentì più. Rimase solo la sensazione dell’energia magica che fuoriusciva dalle dita come un fiume in piena.
«Si vede qualche spiraglio?» chiese disperato, nonostante sapesse che, dalla coffa, sarebbe stato lui il primo ad avvistarlo.
«Non ancora!» urlò Aires dal ponte. «Resisti!»
Più il tempo passava, più Sennar sentiva crescere lo sconforto. I contraccolpi delle onde si susseguivano senza sosta e la barriera intorno alla nave iniziava a restringersi. Non sarebbe riuscito a mantenerla ancora a lungo.
Erano tutti sfiniti: Aires e Benares che lottavano con il timone, Rool che scrutava l’oscurità alla ricerca di un segno qualsiasi che gli indicasse dove dirigersi, l’equipaggio che affondava i remi nelle correnti sfrenate dell’oceano.
Sennar si era inginocchiato e aveva appoggiato le braccia sul parapetto della coffa, con le mani aperte.
La barriera si restrinse vistosamente.
Fu Rool il primo ad accorgersene. «Forza, ragazzo! Forza!» urlò.
Ma il mago sembrava incosciente.
«Maledizione! Sta per crollare! Ecco che cosa si ottiene a mettersi nelle mani di un ragazzino» imprecò Benares.
Aires lo fulminò con lo sguardo. «Taci! Se non fosse per lui, saremmo già morti.» Poi alzò la voce. «Continua così, Sennar! Siamo fuori, siamo quasi fuori!»